Il Bosco Pantano di Policoro – Lungo il Tratturo del Re. La storia del bosco, dai privati a bene pubblico
di Antonio Bavusi (Agosto 2023) – Creative Commons Attribuzione – Non commerciale citando la fonte
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L’affidamento in gestione nel 1995 da parte del Comune di Policoro al WWF Italia di 21 ettari ha segnato una svolta per la storia millenaria del Bosco Pantano di Policoro. Ma nonostante l’istituzione della riserva naturale orientata con legge regionale nel 1999, ancora oggi, 255 ettari dei complessivi 550 ettari restano di proprietà privata. Sarebbe auspicabile che essi vengano acquisiti al patrimonio pubblico.

L’articolo è dedicato ai discendenti dei primi pacifici e civili abitanti di Siris. Essi vennero sconfitti e costretti ad abbandonare Siris in preda alla diaspora dei colonizzatori dei secoli successivi. E’ dedicato anche agli amici del Bosco Pantano di Policoro che scevri da carriere e interessi personali ed immuni all’ambientalismo speculativo, hanno lottato perchè il Bosco Pantano di Policoro ritornasse ad essere “bene pubblico”.

Il bosco Pantano di Policoro (Foto di Ottavio Chiaradia)

Il Tratturo del Re (in rosso) attraversava dopo il guado del fiume Sinni il bosco di Policoro. Cartografia tratta da Rizzi Zannoni (1807)

Il Tratturo del Re attraversava parte del Bosco sottano e il Bosco soprano di Policoro

La località “Bufaleria” nella foto aerea del 1943 circondata dal Bosco Soprano (completamente tagliato dal taglio della SIBA nel 1958 su richiesta del barone) le cui terre dissodate furono affidate assegnate dalla Riforma Fondiaria ai contadini negli anni 60. Visibile il Tratturo del Re

Grande farnia nel Bosco Pantano di Policoro (da Buccianti, Op.cit)

Muta di cani del barone Berlingiieri lungo il fiume Sinni (sullo sfondo il Bosco Pantano di Policoro). Il bosco era riserva di caccia del barone. A destra, stemma famiglia Berlingieri (Crotone)

immagine aerea scattata dal volo militare nel 1943 era notevolmente più esteso e che attualmente è ridotto a pochi lembi residui

A sinistra, la copertina del libro di Giuseppe Settembrino “Gli anelli del Bosco” con foto di Ottavio Chiaradia (1988). A destra, convegno sul Bosco di Policoro (1988)

Cartoncino inaugurazione Oasi WWF Italia Bosco di Policoro Herakleia (20 luglio 1995)

Una pagina triste per la storia del bosco: dopo appena un anno di gestione naturalistica affidata al WWF Italia dell’Oasi, il 18 giugno 1996 viene appiccato un incendio al bosco. Contro l’atto di chiara matrice dolosa vi fu la ferma presa di posizione dei cittadini di Policoro e della Basilicata (foto di Ottavio Chiaradia, all’epoca responsabile dell’Oasi WWF)

Articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno il 18 giugno 1996

Alcune specie-simbolo del Bosco Pantano di Policoro che ne caritterizzano la grande biodiversità e peculiarità: da sinistra, Giglio palustre, Pancrazio marittimo e Rosalia alpina (simbolo dell’Oasi WWF Italia)

Ex Concio della liquirizia di Policoro, utilizzato come segheria dalla ditta S.I.B.A. per la lavorazione degli alberi tagliati nel Bosco Pantano di Policoro

Gli alberi colossali di Frassino tagliati presso il Bosco di Policoro, vennero utiulizzati nelle finiture in legno dell’automobile “Giardiniera” della FIAT (1950)

Mario Buccianti. Spetterà a lui l’ingrato compito di stilare l’ultima e dolente lista delle specie arboree presenti nella foresta Pantano di Policoro. Buccianti scriverà “l’avvenire di questo bosco sembra ormai segnato dall’uomo”. Con la gestione del WWF Italia di una parte del bosco è stata, invece, determinata una svolta per il “destino del bosco” grazie a “visionari”, semplici cittadini e attivisti della natura, che ne hanno compreso il vero valore salvaguardandolo

Bosco di Policoro, i protagonisti della Riforma Fondiaria sulla Costa Jonica: da sinistra, Amintore Fanfani, Emilio Colombo, Decio Scardaccione e Carlo Cormio

I nuovi documenti di archivio sull’esproprio e il taglio del bosco di Policoro

Fonte: A.S.C. Roma

Occupazione delle Terre a Melissa. A destra, Giuseppe Novello

Stralcio documenti (Fonte: A.S.C. Roma)

Articolo di Carlo Cormio sulla rivista dell’ALSIA “Agrifoglio” n.18 – Anno III – Novembre – Dicembre 2006

Michele Strazzella, I Consiliatura Consiglio Regionale di Basilicata (1970)

Fase di costruzione della Piazza Eeraclea, centro della Riforma Fondiaria. In basso, costruzione di casa colonica nell’agri di Policoro

Il ministro dell’interno, Mario Scelba e il presidente del consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi

GAZZETTA UFFICIALE n. 16 del 21 gennaio 1953. Decreto di esproprio Bosco di Policoro

Ente per lo Sviluppo dell’Irrigazione e la Trasformazione Fondiaria in Puglia e Lucania

Perimetro della Riserva Naturale Orientata Bosco Pantano di Policoro (cliccare per ingrandire)

Area SIC Bosco Pantano di Policoro e Foce Fiume Sinni

Quadro attuale delle proprietà delle particelle catastali pubbliche e private della Riserva Naturale Orientata Bosco Pantano di Policoro

Tra le problematiche per il bosco di Policoro, oltre agli incendi, vi sono l’inquinamento chimico delle acque superficiali, l’intrusione della falda di acqua salmastra, e lo stress idrico per il mancato apporto di acque dolci. (foto canale idrovora – O.Chiaradia)

Urgente appare la riperimetrazione dell’area protetta (numerosi cartelli perimetrali sono stati divelti o sono scomparsi) mentre sono ripresi i tagli abusivi sui quali è necessario intensificare la vigilanza da parte di volontari e istituzioni con l’acquisizione al patrimonio pubblico delle particelle private all’interno della Riserva Naturale Regionale Orientata attenzionando le concessioni demaniali soprattutto lungo la costa

Nei bilanci regionali e provinciali, dopo i primi anni di gestione, non sono presenti fondi pubblici da destinare alla gestione ordinaria delle attività della Riserva Naturale regionale gestita dalla Provincia di Matera per la manutenzione ordinaria di flora e fauna, dei sentieri, per la pulizia, la vigilanza e l’educazione ambientale

[Foto in fase di inserimento]

Il Bosco Pantano di Policoro

Fino al 1943, epoca della fotografia aerea militare, il bosco Pantano di Policoro si estendeva quasi senza interruzioni, dalla foce del fiume Sinni a quella dell’Agri. Considerato sacro dai greci, il bosco divenne nel XIX riserva di caccia del barone. Ad attraversarlo, non senza paura e stupore, c’era una sola via di comunicazione, il Tratturo del Re, che risaliva dal guado del Sinni verso Policoro interamente sommerso nell’oscurità delle chiome dei maestosi alberi. Un tratto, riferiscono alcuni viaggiatori del passato, dove si scorgevano nella penombra ogni specie d’animali e di piante. Dopo la distruzione per “fame di terra” degli anni 1950-1960 e l’affidamento dei terreni disboscati ai contadini, solo nel 1999, con legge regionale, quel che restava dell’esteso bosco è diventato area protetta regionale. Di recente, però, sul bosco Pantano di Policoro si assiste ad una distorsione degli avvenimenti storici con lo scopo di far prevalere i vecchi interessi privati. Diventa perciò necessario riproporre documenti e fatti che mostrano come il bosco è ritornato ad essere un bene della collettività.

La storia bosco dal XVII al XVIII secolo

Il feudo di Policoro fu acquistato a pubblico incanto, come bene burgensatico, dai principi Serra-Gerace per 402mila ducati nel 1792 (atto notato Vincenzo Portanova di Taranto del 23 ottobre 1792). L’ex feudo dei principi Sanseverino principi Bisignano era stato posseduto per lungo tempo dalla Compagnia di Gesù, che lo tenne come sua grancia, gestendo due mulini, un concio per la produzione della pasta di liquirizia e diverse masserie. Si ha notizia come presso il Concio della liquirizia venissero portati ingenti quantitativi di legname estratti presso il Bosco di Policoro: dal 13 gennaio al 28 aprile 1838 sono indicate le quantità di legna “…colli traini, colli carri di buffali, a catena e colli carri di bovi…” pari a 9.133 cantaja, corrispondenti a 814 tonnellate circa (Cfr. M. Sansone. I Serra a Policoro.Storia di un declino?. Edizioni Sacco, 2007). Scacciati i Gesuiti dal Regno delle Due Sicilie nel 1797, il feudo era stato incorporato all’ Azienda dell’Educazione ed affittato ai montalbanesi Giuseppe Domenico dei baroni Federici ed a Pietro Troyli, dottore in legge che ne curavano gli interessi per il nuovo proprietario Serra principi di Gerace. Nel 1809 sia il Comune di Montalbano che quello di Tursi pretesero in favore delle rispettive popolazioni l’esercizio degli usi civici nelle terre policoresi. Dopo aspra lite, la casa Serra-Gerace vinse la causa con sentenza dell’11 gennaio 1810 innanzi all’ex Commissione Feudale, e Policoro venne assegnata amministrativamente a Tursi, pagando invece la contribuzione fondiaria a Montalbano Jonico. Da documenti presso l’Archivio di Stato di Napoli è possibile risalire allo sfruttamento del legname del bosco già nel 1806 con la richiesta fatta dalla 4a Divisione. 1° Burò “atti pel servizio dell’Artiglieria” all’amministrazione generale di ponti, strade, acque, foreste e caccia. Analogamente fece la 3a Divisione. 1° Burò destinando il bosco di Policoro per il “taglio e marca d’alberi per uso della Regia Marina ed Artiglieria nei boschi di Policoro e Noci. Ministero della Guerra e Marina. Intendente di Bari e di Basilicata, Ferdinando de Curtis, e Giuseppe Melograni“(A.S.N., Amministrazione generali di ponti, strade, acque, foreste e caccia anni 1778 – 1839 – Taglio di boschi di proprietà particolare). Nel 1850 con editto del Maresciallo di Campo Marchese D. Ferdinando Nunziante, Gentiluomo di Camera di S. M. D. G., Cavaliere Gran Croce del Real Ordine di Francesco  fu disposto (art.5) che “ …il Comandante Circondariale di Cassano dalle due Compagnie Cacciatori che gli dipendono, preleverà due distaccamenti i quali saranno piazzati uno in Corigliano che si terrà in corrispondenza con le Forze esistenti in Longobucco, Rossano, e Cassano istesso, e l’altro in Rocca Imperiale con piccolo posto intermedio in Francavilla, mettendosi in relazione col sig. Tenente Lopez della Guardia di Pubblica Sicurezza Comandante le Forze riunite in Policoro e paesi circostanti della Provincia di Basilicata, con lo scopo di tener netti da Briganti i boschi di Policoro e Pantano. L’Uffiziale destinato in Corigliano sarà Comandante di quel Circondario, e dipenderà direttamente dal Comandante Distrettuale di Rossano”. Contro l’accatastamento di Policoro a Montalbano, il Comune di Tursi aveva ricorso senza risultato, sia nel 1827 e sia nel 1860, sino a quando, con Decreto Reale del 25 dicembre 1870 il tenimento di Policoro venne distaccato dal Comune di Tursi ed aggregato a quello di Montalbano a decorrere dal 1 marzo del 1871 rimanendo tale sino al 26 aprile 1959, data in cui Policoro venne dichiarato Comune autonomo con Decreto del Presidente della Repubblica Italiana 26 febbraio 1959, n. 124. Le vicende legate al “tenimento terriero” di Policoro vide la vendita dai principi Serra-Gerace al barone Luigi Berlingieri di Crotone nel 1887 al prezzo di 3,4 milioni di lire con atto del notaio Ruo registrato a Napoli il 9 maggio dello stesso 1893. L’ex feudo era stato affidato in fitto dal barone Luigi Berlingieri, già a decorrere dal 1887, al cav. Francesco Padula di Moliterno sino all’epoca della riforma fondiaria, prima di morire di malaria, forse contratta a Policoro. Con il figlio Giulio Berlingieri, la società “Padula e soci” continuò a tenere in appalto la tenuta di Policoro. Vi introdusse l’agricoltura intensiva e dell’allevamento di bufale, bovini, ovini e suini. I formaggi di produzione Padula, conservati nei grandi magazzini a Moliterno, furono esportati anche in America. Il tenimento di Policoro, nel 1869, era stimato in 5.068 ettari e 10 are di terra. Il barone Giulio Berlingieri vi si recava solo per brevi periodi dell’anno, soprattutto per praticare la caccia nel bosco Pantano di Policoro e per regolare i propri conti con l’appaltatore (sulle descrizioni dei viaggiatori a Policoro, leggasi l’articolo sul “Tratturo del Re”). Durante il periodo fascista venne costituito nel luglio del 1925 per iniziativa della società “Francesco Padula e soci” di Moliterno un tentativo di bonifica che prevedeva interventi su una superficie di 42.000 ettari pianeggianti e irrigabili. Per bonifiche, trasformazioni fondiarie, opere irrigue, redigendo un progetto di massima che prevedeva una spesa di circa 162 milioni di lire di cui 48 previsti per la costruzione di due dighe sull’Agri e sul Sinni. Francesco Padula (1848 – 1915) pagava al barone Giulio Berlingieri un canone di affitto della tenuta in parte in denaro e in parte in grano e prodotto, introducendo le prime macchine meccaniche per l’aratura dei terreni. Era riuscito, attraverso una rete di manodopera organizzata da caporali, a reclutare un gran numero di lavoratori fissi, avventizi e stagionali provenienti da numerose località lucane e pugliesi. (Cfr Nino Calice. La politica agraria fascista in Basilicata. In Studi Storici, n. 2 Apr. – Jun., 1978).

Il bosco di Policoro dal dopoguerra ad oggi

Va ascritto a Giuseppe Settembrino (G.Settembrino, “Policoro, Gli anelli del Bosco”. A cura del WWF e Legambiente. Fotografie di O. Chiaradia. BMG, Matera, 1988) il merito di aver fatto chiarezza sulla “verità storica” che riguarda le vicissitudini del bosco, dai primi anni del dopoguerra fino al 1995. E’ grazie al suo impegno e quello degli attivisti aver ottenuto in quegli anni la salvaguardia delle aree protette in Basilicata, ivi compreso il Bosco Pantano di Policoro. In sede locale va ricordato l’impegno di Pino Mele e del compianto studioso del bosco, Gianni Gobbi assieme a Franco Tassi, Fulco Pratesi, Grazia Francescato, Antonio Canu del WWF Italia. Ed ancora, Nicola Locuratolo, Giuseppe Vena, Albano Garramone, Paolo Donadio, Luigi Agresti, Ottavio Chiaradia e chi scrive; ed ancora Nicola Nastro, Domenico Lence, non più tra noi, che profusero il loro impegno per la salvaguardia del bosco. E’ infatti “storia” come il primo decreto di apposizione del vincolo floro-faunistico per il Bosco Pantano di Policoro venne cancellato dalla sentenza del TAR Basilicata n. 465 del 30 dicembre 1986. Il ricorso venne presentato da alcuni proprietari privati del bosco. Settembrino, assieme alle associazioni ambientaliste promosse, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, la salvaguardia di quel che restava dell’antico bosco, sacro alle divinità della Magna Grecia, situato tra le foci del fiume Sinni e Agri. Iniziò così il coinvolgimento della società civile, dei cittadini e degli studiosi, con iniziative pubbliche che culminarono nel convegno tenutosi a Potenza il 29 aprile 1988 (vedi invito a lato), che vide come organizzatori l’Università degli Studi della Basilicata e il suo rettore Cosimo Damiano Fonseca, il WWF Italia e la Lega per l’Ambiente, di cui sono stati pubblicati gli atti approvando in quella occasione all’unanimità una mozione per l’istituzione dell’area protetta. Ma è a partire dalla stipula della convenzione tra il Comune di Policoro e il WWF Italia datata 13 giugno 1995 (Cfr Atto di convenzione depositato in visione presso gli enti sottoscrittori) che prende corpo la salvaguardia attiva del Bosco Pantano di Policoro. La convenzione reca la firma dell’ex sindaco di Policoro, Mario Arbia e l’ex presidente del WWF Italia, Grazia Francescato. I 21 ettari di proprietà comunale affidati al WWF Italia, erano ritornati in possesso del comune dopo un contenzioso con una società turistica interessata a realizzare un complesso alberghiero. All’inizio dell’estate del 1996 e dopo appena un anno di gestione dell’Oasi da parte del WWF Italia, un incendio di natura dolosa distrusse 25 ettari di bosco di alto fusto e macchia mediterranea, facendo lanciare l’allarme sui rischi legati alla conservazione del patrimonio naturale in gran parte di proprietà privata esposto a pressioni antropiche e speculative (Cfr. La Gazzetta del Mezzogiono del 18 giugno 1996, Policoro incendio doloso) mentre i media riportavano la notizia della richiesta di nuovo decreto di salvaguardia da parte della Regione Basilicata. Notevole importanza assume la gestione affidata ad una associazione di protezione ambientale dell’Oasi Bosco di Policoro Herakleia, perché rappresentava il punto di svolta per l’area, facendo prevalere l’interesse ambientale pubblico del bene rispetto all’interesse privato. Infatti, la gestione dell’Oasi Bosco Pantano di Policoro (primo responsabile fu Ottavio Chiaradia di Policoro, coadiuvato inizialmente per le attività da Carmelo Rogolino e dal compianto Giuseppe Cancelliere, prematuramente scomparso, Antonio Celano, Giuseppe Guida, tutti di Policoro) dovettero affrontare la salvaguardia attiva istituendo un servizio di sorveglianza dell’area con campi di vigilanza antincendio e l’attivazione del servizio civile. La convenzione tra il Comune di Policoro e il WWF Italia venne sottoscritta in una fase in cui era stato cancellato da una seconda sentenza del TAR Basilicata, la n.319 del 5 Novembre 1991,  anche il secondo Decreto del Presidente della Giunta Regionale di Basilicata di apposizione del vincolo sull’area Protetta Bosco Pantano di Policoro (Decreto Presidente Giunta Regionale n.1581 del 24/11/1987 e DGR n.5857 del 17/11/1987), con ricorso questa volta presentato da una società turistica. La stessa che è ancora oggi proprietaria di particelle catastali che si trovano nell’area protetta. Le iniziative proseguirono con richieste presso gli enti pubblici proprietari di particelle del bosco di affidamento in gestione (ALSIA, Demanio Marittimo – Capitanerie di Porto competenti – particelle affidate all’Università degli Studi di Bari) con segnalazioni di occupazioni abusive del demanio pubblico da parte di privati. Ventotto anni fa, le lancette della “nuova” storia per il bosco Pantano di Policoro, hanno ripreso a muoversi, dopo esser rimaste ferme per responsabilità riconducibili ad interessi privati e speculativi, ancora presenti tuttora, che si spera qualcuno non abbia intenzione di far nuovamente prevalere. La Riserva Naturale Orientata venne istituita solo nel 1999, con Legge Regionale n. 28 del 8 Settembre 1999,  dopo anni di azioni di sensibilizzazione, iniziative pubbliche, e soprattutto dopo la gestione dell’Oasi affidata al WWF Italia, le cui attività sono oggi coordinate per conto della stessa associazione di Protezione Ambientale dalla soc. Poleion di Antonio Colucci coadiuvato dai giovani di Policoro.

La storia della distruzione del bosco 1950 – 1960

Di seguito, si ripropone alla lettura l’intero paragrafo del testo “Policoro, gli anelli del bosco” che riguarda gli anni 1950-1960. Settembrino riporta alcuni contenuti della tesi di Laurea presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Bari della Dott.ssa Maria Teresa Costanza che fanno luce sui protagonisti della distruzione del bosco dell’epoca e sui fatti sui quali è doveroso un approfondimento sugli avvenimenti alla luce di nuove fonti di archivio su ulteriori e significativi dettagli. Di seguito il paragrafo di Settembrino: “… Il barone, che non credeva nelle possibilità della riforma e che si oppose all’esproprio per lungo tempo, decise di cedere l’utilizzazione del bosco a due ex soci della Società Successori Padula, i quali ne acquistarono il solo taglio forestale, restando autorizzati alla costituzione della Società S.I.B.A. (Società Industrie Boschive ed Affini), con la riserva, da parte del barone, di accettare soci o partecipanti ad altro titolo. «Fu fatta la regolare martellata del primo lotto situato in località Filici – scrive Maria Teresa Costanza in un pregevole saggio sulla storia del bosco di Policoro ” – precisando: «A causa delle difficoltà nella determinazione del volume degli assortimenti, fu preferita la vendita a misura a quella a corpo, con un prezzo di macchiatico unitario per tutte le specie legnose, espresso in metri cubi per il legname da lavoro ed in quintali per il tronchettame e la legna da ardere. Per la lavorazione del legname, il barone concesse i locali del Concio, un tempo utilizzati per la lavorazione della liquirizia, che divennero quindi la sede della segheria della S.I.B.A., dotata anche di due moderne seghe Lowis-Brenta». «Le utilizzazioni del bosco però vennero bloccate – riferisce Maria Teresa Costanza – perché l’esproprio era esteso anche al frutto pendente del bosco». Per evitare ulteriori controversie si pervenne ad un accordo tra le parti in causa (Berlingieri, S.I.B.A. ed Ente di Riforma): il barone rinunciava all’impugnazione del suo diritto, accettando che la S.I.B.A. continuasse la sua attività, previo il pagamento del materiale al barone ai prezzi stabiliti ed il versamento del 50% all’Ente di Riforma. La S.I.B.A., su cui gravava l’obbligo di utilizzate tutto il bosco in 10 anni, aderì all’accordo versando 30 milioni al barone. Fu così che il bosco «liberato dal vincolo idrogeologico, fu passato a taglio raso con diccioccamento». I lavori furono ultimati alla fine del 1961. Tra gli acquirenti del bosco Maria Teresa Costanza ricorda le ditte G. Feltrinelli e Fratelli Feltrinelli, che acquistarono gran parte degli assortimenti di Olmo, destinati soprattutto alle costruzioni navali. L’Ontano trovò collocazione sul mercato di Bari e provincia per la costruzione di cofani funebri; mentre i migliori assortimenti di Frassino, insieme a quelli di altre specie pregiate, trovarono impiego nell’industria mobiliare. Il Pioppo fu venduto quasi tutto alla ditta Scannapieco di Catania. La Fiat di Torino acquistò dalla S.I.B.A. 3.000 m3 di Frassino per le rifiniture della Giardinetta, allora in produzione. Dagli assortimenti peggiori sia di Frassino ché di Olmo vennero ricavate traversine ferroviarie che, dopo prove di collaudo, furono accettate dalle Ferrovie dello Stato ed equiparate come prezzo a quello del Faggio. La legna da ardere (2 milioni di quintali in 10 anni) venne venduta dalla S.I.B.A. sui mercati del Nord ed ai camionisti locali che scendevano con carichi vari da Bari, Brindisi, Foggia e Lecce. Dalla quantità di assortimento ritirato a taglio ultimato Maria Teresa Costanza ricostruisce il grado di mescolanza del soprassuolo, asserendo clic questo era costituito per il 45% da Frassino, per il 30% da Olmo, per il 15% da Ontano e per il 10% da Pioppo, Querce e specie minori. Furono ricavati – conclude – 200.000 m3di legname da lavoro, di cui 150.000 m3 di tronchi lisci, dritti e senza nodi. La produzione del tronchettame e della legna da ardere ammontò in 10 anni a circa 3 milioni di quintali. In totale furono prelevati dunque circa 500.000 mi di massa legnosa, corrispondente ad una provvigione per ettaro di 350 m3. Sul luogo giunse anche, insieme ad altri, lo studioso Mario Buccianti, appena in tempo ad annotare «la presenza di un capriolo o un cinghiale che usciti d’improvviso dalle macchie attraversano il nastro d’asfalto e fuggono via pieni di paura» mentre «l’accetta è già al lavoro» e «potenti trattori trascinano i tronchi abbattuti». A Buccianti spetterà l’ingrato compito di stabilire l’ultima e dolente lista delle specie arboree presenti nella foresta Pantano di Policoro. Tra le specie arboree più importanti egli documenta: Acer campestris L., Alnus glutinosa, Gaertn, Carpinus betulus, L.; Ficus carica, L.; Fraxinus excelsior, L. varietà oxycarpa W (F. ro- strata Guss.); Laurus nobilis, L.; Olea europaea var. oleaster, Hoffnegg.; Pirus malus, L.; Pirus piraster, Medic.; Populus alba, L.; Populus nigra, L.; Prunus avium, L.; Quercus cerris, L.; Quer- cus peduncolata, Ehrh. ( = Quercus robur L.); Quercus sessilis, Ehrh. ( = Quercus petraea Mattuschka-Lieblein); Salix alba, L.; Salixfragzlis, L.; Ulmus campestris Auct. ( = Ulmus minor Miller). Lo studioso giustamente osserva come «la particolare stazione del bosco tra i fiumi Agri e Sinni, con la presenza di una ricca falda freatica d’acqua dolce, molto bassa e talora affiorante abbia consentito, sebbene in un clima arido come quello che contraddistingue la zona non solo un eccezionale sviluppo della vegetazione ma anche la presenza e l’affermazione, quasi in riva al mare, della farnia, del cerro e della rovere che accusano spesso incrementi eccezionali. I soggetti più belli – aggiunge Buccianti – si riscontrano tra i frassini che spesso superano i trenta metri di altezza con diametri di oltre ottanta centimetri misurati a m. 1,30 da terra; ma piante notevolissime si notano anche tra le farnie, i cerri ed il pioppo bianco». «Purtroppo – conclude Buccianti – l’avvenire di questo bosco sembra ormai segnato dall’uomo. Infatti ne è stato iniziato di recente l’abbattimento da parte della Riforma Fondiaria, che si estenderà su una superficie di ha 1.000 circa. Al vecchio proprietario, il barone Giulio Berlingieri, rimarrà una superficie di Ha 480 circa; ma in quella parte – osserva – sono stati eseguiti alcuni tagli di carattere colturale che, sebbene condotti con oculatezza, hanno fatto perdere al soprassuolo il suo aspetto naturale alterandone la composizione». Si racconta – sostiene Maria Teresa Costanza – che il barone, al quale rimasero i resti del grande bosco ed il castello con le relative pertinenze delle casette a schiera adibite ad abitazioni per i salariati nei diversi periodi di lavorazione dell’azienda, nel rientrare da Milano in Calabria, per il dolore, non mettesse più piede nella zona disboscata ed evitasse di attraversarla, compiendo un lungo giro in treno, da Metaponto a Battipaglia sino a Paola, per recarsi a Crotone. Fu così, comunque, che «una delle più ricche ed orride foreste d’Italia, una vera foresta vergine cresciuta in millenni di selvatichezza nel clima caldo umido, afoso e stagnante delle paludi e degli acquitrini», come la definì Lorenzo Quilici “, cadde in gran parte sotto i colpi dell’accetta e dei motosega ed inutili furono le proteste, poche in verità, che si levarono contro la distruzione e lo scempio di un bene che soggiaceva alle nuove esigenze sociali ed alle solite regole dello sfruttamento intensivo delle risorse e del territorio.

La planimetria aerea del territorio di Siris ed Eraclea, datata 1954 ed esposta nell’atrio di ingresso del Museo Nazionale della Siritide di Policoro, ancora documenta con evidenza la significativa presenza della foresta Pantano e di altri boschi, sulle rispettive sponde di destra e di sinistra dei fiumi Agri e Sinni, sino al mare e nel resto del territorio; un’evidente protezione naturale, idraulica e forestale, climatologica, ecologica, esercitata dalla foresta e dai boschi anche nei confronti dei cangianti letti degli antichi fiumi Aciris e Siris. Nell’agosto del 1957 la maggior parte dei superbi alberi erano già silenzioso legname, scriverà più tardi Franco Tassi”, definendo la scelta effettuata senza mezzi termini «un fatto criminoso, che non scosse se non qualche coscienza più eletta, e passò nell’indifferenza quasi generale per essere dimenticato immediatamente dai più. E non era stato un privato a commettere il misfatto – aggiunge con amarezza -, bensì il potere pubblico che, agendo con tutti i crismi della legalità formale annullava in un attimo un biotopo di eccezionale valore naturalistico, costituitosi nei millenni». «Nell’agosto 1957 inoltre – ricorda Franco Tassi – quando la maggior parte dei superbi alberi era già silenzioso legname, tagliato ed accantonato (…) fosse il caso, la colpa o la volontà umana, fu facile ad una scintilla diventare incendio divampante e ridurre nello spazio di poche ore tutto a cenere e carbone». Due anni dopo vi fu l’alluvione, nella notte tra il 24 ed il 25 novembre 1959. Alcuni giorni prima, ironia della sorte o vendetta della natura, si era celebrata la festa degli alberi con la partecipazione di tutte le scolaresche del neonato Comune di Policoro. Un evento, quello delle alluvioni, destinato purtroppo a ripetersi negli anni in diverse località del territorio italiano, laddove alle leggi della natura l’uomo ha inteso sostituire l’artificiale alterazione del regime idrico, con la completa distruzione di immense foreste. A Policoro il fiume Agri straripò all’altezza del disboscato bosco della Rivolta, allagando tutte le zone sottostanti, dalla Madonnella, alla litoranea jonica, allo Zuccherificio; mentre la diga della traversa Sinni, costruita sul fiume omonimo all’altezza dell’inizio dell’ex bosco Pantano Soprano, si ruppe inondando le zone del Pantano Sottano e della zona Trieste.

Una bambina morì annegata nella zona di Madonnella e le famiglie degli assegnatari, la popolazione, i poderi, il raccolto delle campagne, subirono danni ingenti con la morte di numerosi animali. Una vicenda penosa e drammatica allo stesso tempo che non può essere chiusa, come pure è stato scritto, con l’amara constatazione che l’avvenimento dell’alluvione fu: «l’elemento determinante per un più consistente intervento della Cassa per il Mezzogiorno nel settore della bonifica per gli anni successivi».

I nuovi documenti storici sul taglio del bosco di Policoro

Le nuove carte presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma (nel prosieguo dell’articolo, indicato con A.S.C.R.) rinvenute dall’amico Adriano Castelmezzano, che ringrazio, (Castelmezzano è guida ambientale materana, tricaricese di origine, appassionato naturalista) fanno luce su aspetti ancora non noti relativi alla storia del Bosco Pantano di Policoro. Essi riguardano il taglio sul quale, a partire dall’epoca, si è tentato di rimbalzare responsabilità sulla distruzione tra ex Ente Riforma ed ex proprietari del bosco. A partire dal 2015, ma anche oggi nuovamente, vengono riproposte ricostruzioni fantasiose, ipotesi romanzate sugli avvenimenti che riguardarono il taglio del bosco, con suggestioni non attinenti agli avvenimenti e i personaggi protagonisti, nonostante la verità storica sul taglio del bosco sia stata già magistralmente descritta nel libro di Settembrino e viene confermata e ulteriormente delineata dai nuovi documenti rinvenuti presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma.

Gli ettari del bosco di Policoro prima della Riforma

Nel 1915, durante il primo conflitto mondiale, l’Arsenale Militare di Taranto, realizzò nel bosco alcuni tagli per interesse della Marina Militare. Analogamente nel 1941, venne effettuato un taglio imposto dal Commissariato Militare che interessò superfici di modesta entità. Le nuove carte presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma si riferiscono alla fase immediatamente precedente l’esproprio del bosco ad opera dell’Ente Riforma nei confronti del barone Giulio Berlingieri e la corrispondenza tra organi governativi, ministeri ed enti periferici. Questi nuovi documenti sono importanti per comprendere i fatti. In risposta alle notizie richieste dal Ministro dell’Agricoltura e Foreste, Amintore Fanfani, al Prefetto di Matera con nota del 29 novembre 1949, vengono da quest’ultimo fornite le stesse con nota del 10 dicembre 1949. Scriverà il Prefetto di Matera al Ministro nella nota citata: “…in merito al bosco di Policoro di proprietà del Barone Berlingieri dell’estensione di 1.708 ettari in agro di Montalbano Jonico è composto da due appezzamenti che si estendono il primo lungo la sponda destra del basso tronco del fiume Agri, ed il secondo lungo la sponda sinistra del Sinni… Le zone sono ricoperte da essenze boschive di alto fusto più o meno dense, con buona vegetazione ma prive da ogni manutenzione. Attualmente parte é adibito a pascolo, in particolar modo di animali bufalini, e parte, la più importante, a riserva di caccia del Barone Berlingieri, ricco latifondista. Trattandosi di bosco di pianura, con assenza di apprezzabili pendenze, non si notano fenomeni di franamento e erosione. Per la stessa natura del terreno, per il clima marino e temperato, per la giacitura e per la ricchezza di acque continue, ottimamente utilizzabili per irrigazione e per la vicinanza alla grande strada Nazionale che congiunge Taranto a Reggio Calabria, le due zone si presterebbero egregiamente per una proficua e rapida messa a coltura, consentendo l’instaurazione di ordinamenti produttivi attivi ed intensivi con cospicuo impiego di mano d’opera bracciantile e salariati fissi, e con un ottimo reddito economico. La razionale messa a coltura di detti terreni, secondo un piano esecutivo appropriato, che dovrebbe essere sollecitamente predisposto dai tecnici, ne faciliterà di molto il risanamento idraulico ed igienico, e potrà permettere, in un avvenire non lontano – finalmente – la stabile permanenza sul posto di una fitta popolazione rurale, risolvendo così adeguatamente la questione dello sbocco dell’esuberanza di disoccupati agricoli, che affligge cronicamente i Comuni limitrofi e viciniori a Montalbano Jonico, già molto ricco per il suo agro e per le grandi aziende agricole bene attrezzate e dirette; fra i centri rurali popolosi vanno compresi: Pisticci, Bernalda oltre Nova Siri, a Rotondella e Valsinni”(Fonte: A.C.S.R., Bosco di Policoro, anno 1949).

Il taglio del bosco di Policoro richiesto dal barone nel 1947

Sempre la nota del Prefetto di Matera del 10 Dicembre 1949 (A.S.C.R., Bosco di Policoro, anno 1949) fornisce altri importanti dettagli che furono considerati per gli espropri successivi a tale data al barone Giulio Berlingieri anche in sede di indennizzo. Secondo la nota del Prefetto, il barone aveva richiesto il taglio del bosco già nel 1947: “…Nella primavera del 1947, funzionari dell’Opera Nazionale Combattenti fecero un sopralluogo per una eventuale trasformazione a coltura del Bosco di Policoro, e nel maggio 1947 lo stesso proprietario Barone Giulio Berlingieri avanzò formale istanza alla Camera di Commercio, Industria ed Agricoltura di Matera per essere autorizzato a mettere a coltura detti terreni, ai sensi dell’art.21 del Regolamento 16/5/1946 nr. 1126. Sulla domanda l’Ispettorato Prov.le dell’Agricoltura di Matera dette parere favorevole, salvo alcune cautele di ordine tecnico. L’Ispettorato Ripartimentale del Corpo delle Foreste di Matera espresse invece parere contrario alla diversa utilizzazione del bosco ad onta dello stato di manutenzione in cui é stato sinora mantenuto. Dati i contrastanti giudizi, la decisione fu rimessa al Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, che, con foglio nr.5035 del 20 marzo 1948 (Direzione Generale dei Servizi Forestali), non ritenne di potere autorizzare la richiesta trasformazione.

La nota del Prefetto svela un dettaglio non di poco conto, riguardante la visita del Ministro Fanfani presso il bosco di Policoro: “…nel febbraio del 1949 S.E. il Ministro stesso dell’Agricoltura si é potuto personalmente rendere conto della situazione con diretto sopraluogo al Bosco di Policoro. Prego, pertanto, codesto On. Ministero di volere svolgere il massimo cortese interessamento perché sia autorizzata la richiesta trasformazione o, quanto meno, sia attuata la procedura di espropriazione, onde arricchire questa Provincia di una ottima zona coltiva”.

La visita al bosco di Policoro del ministro dell’Agricoltura e Foreste, On. Fanfani mostra il grande interesse del governo circa l’operazione del taglio del bosco, fortemente voluto anche in sede locale per motivi economici e sociali.

I movimenti per la terra e l’occupazione dei contadini del Bosco di Policoro

Non è noto se l’onorevole Fanfani ebbe modo in quell’occasione, nel mese di febbraio 1949, di incontrare anche membri della famiglia Berlingieri, considerato che il “sopralluogo” certamente avvenne in occasioni non pubbliche e ufficiali, in un clima rovente dovuto all’occupazione delle terre anche in Basilicata. Del resto, il clima politico del momento era tale da destare preoccupazioni circa l’ordine pubblico, dopo l’occupazione dei terreni di altri componenti della famiglia Berlingieri a Melissa in Calabria il 29 ottobre 1949, dove la forza pubblica sparò sugli occupanti facendo tre vittime civili e diverse decine di feriti e a Montescaglioso, dove venne ucciso dalle forze dell’ordine il bracciante Giuseppe Novello nel dicembre del 1949 a seguito delle occupazioni di terre seguiti da arresti dei manifestanti. Sul Pollino, area che prestava braccia di lavoro ai latifondisti della pianura Jonica, si era costituito O.V.P. (Opera Valorizzazione Pollino) un ente che era già stato costituito nel 1947, con lo scopo di affidare terre incolte ai contadini. La descrizione dell’occupazione del Bosco di Policoro vide “…circa 3.000 persone provenienti da Bernalda, Montescaglioso, Pisticci, Ferrandina alle quali si aggiunsero manifestanti provenienti dalle masserie di Andriace, Scanzano, Policoro si mossero per portarsi, con le forze dell’ordine vigili e distanti, nel bosco di Policoro per occuparlo simbolicamenteː il lungo corteo, circa tre chilometri, fatto di centinaia di biciclette, di motocicli e numerosi carri, con centinaia di donne a piedi sventolava vessilli rossi e cantava la marsigliese o bandiera rossa, con qualche grido di terra terra o pane e lavoro” (Cfr Dino D’Angella, Terra terra. La questione della terra nel metapontino attraverso i secoli, Pisticci, IMD Lucana, 2008, pp. 224-227).

I manifestanti restarono nel bosco quasi un paio d’ore abbattendo i cartelli recanti la scritta “riserva di caccia”, mentre Michele Strazzella, coordinatore di Federterra e segretario provinciale del P.C.I., teneva il suo comizio. Nel pomeriggio il corteo si ricompose per far ritorno ai vari paesi, ripercorrendo la statale 106 litoranea. Anche in altri comuni il movimento contadino si mise in agitazione, nel melfese, a Venosa e altrove. Ma il culmine di questa tensione si ebbe il 7 dicembre, quando i montesi decisero di passare alle vere occupazioni delle terre incolte, soprattutto pascoliː verso le dieci della mattina circa cento contadini e braccianti di Montescaglioso si recarono alla località Tre Confini, occupando i terreni della famiglia Lacava per procedere all’aratura. Gli agenti delle forze dell’ordine, cercarono inutilmente di allontanare i contadini dai campi, ma il sopraggiungere di una trentina di donne, guidate da Anna Avena e Nunzia Suglia, dissuasero le forze dell’ordine, che si ritirarono. Il giorno seguente un centinaio di persone, con la presenza di una decina di donne, si riuniva in piazza alle prime luci dell’alba e si portava sui terreni, diversi dal giorno prima, per ararli e seminarliː secondo cifre approssimative, intorno al 10 dicembre, in tutta la provincia circa ventimila lavoratori avevano occupato oltre 14.000 ettari. S’imponeva, dunque, un tavolo di trattative tra agrari e contadini con la mediazione della Prefetturaː nell’incontro del 13 dicembre il rappresentante degli agrari non si mostrò disponibile a trattare seriamente, mentre l’autorità, per spezzare il fronte della lotta, dispose di procedere ad alcuni arresti tra il 12 e il 13 dicembre a Montescaglioso. Nel dicembre 1947 a San Cataldo, frazione del comune di Bella ma vicina ad Avigliano, i contadini occuparono il bosco del principe Ruffo (T. Russo, 2000). Il 9 dicembre 1947, i contadini della frazione Frusci di Avigliano (PZ) iniziavano arbitrario dissodamento terreno boschivo vincolato località Monte Caruso di Lagopesole di proprietà principe Doria Pamphyli (T. Russo, 2000). Alcune di queste occupazioni furono pacifiche ed ebbero solo valore simbolico, altre assunsero la forma di veri e propri dissodamenti previo disboscamento della superficie occupata, altri ancora si risolsero nella messa a coltura di piccoli spazi di terreno non occupato dalle piante, detti chiarìe. Per allentare la fame di terra nel territorio di Avigliano, l’Ente Riforma attuò una colonizzazione di contadini aviglianesi nella Piana Metapontina, sulla quale inedite sono le testimonianze di una migrazione interna forzata”, vissuta dagli attori come vera e propria “deportazione” di massa (furono circa 300 le persone che vi si trasferirono), mentre le compagnie di ricerca di idrocarburi promossero il “Progetto Avigliano” un progetto di sviluppo di comunità avviato dalla Esso Standard Italiana per le aree rurali dell’aviglianese, all’interno del quale si occupa di istruzione professionale ed assistenza sociale destinata ad agricoltori e contadini che vide impegnati il la studiosa Angela Zucconi e il fotografo Aldo La Capra quest’ultimo impegnato assieme all’archeologo Dinu Ademesteanu, a documentare le testimonianze che emergeva dai dissodamenti praticati dalle arature nei terreni dell’arco Jonico Lucano.  Erano gli anni dell’arrivo in Basilicata Il 15 maggio 1935, dello scrittore Carlo Levi che pubblicò nel 1943 tradotto in inglese del suo celebre “Cristo si è fermato ad Eboli” con le opere pittoriche sui contadini del sud, gli scritti del sindaco-poeta di Tricarico Rocco Scotellaro, mentre Gaetano Ambrico di Grassano, fondatore della D.C. in Basilicata, conduceva l’inchiesta parlamentare sulla miseria, prendendo in seguito le distanze dal gruppo dirigente nazionale e lucano dell’epoca. Studi e scritti che richiamarono in Basilicata studiosi e sociologi americani per studiare le condizioni di povertà durante la ricostruzione post bellica quali Donald S. Pitkin, Friedmann (Matera), George Peck e Ann Cornelisend (Tricarico), John Davis (Pisticci) seguiti da Edward C. Banfield (sul “familismo amorale” a Montegrano – Chiaromonte), L. W. Moss, W. H. Thomson, Adriano Olivetti (progetto UNRA Casas di risanamento dei Sassi), l’antropologo Ernesto De Martino,  Enrico Mattei (industrializzazione e chimica in Val Basento), etc. Anche a seguito dell’occupazione del bosco di Policoro da parte dei contadini che Mario Scelba con propria nota riservata trasmessa al Prefetto di Matera del 30 Novembre 1949 si premurava di chiedere al Prefetto di Matera “…opportuni interventi ai fini di una eventuale assegnazione in favore dei contadini delle terre” (Cfr, A.S.C.R., Bosco di Policoro, 1949).

Il taglio del bosco

In pieno stato di emergenza sociale, in un clima di tensione, il “prezioso” legno del bosco di Policoro divenne così da un lato “ammortizzatore” delle tensioni sociali causato dalla fame di terra dei contadini e, dall’altro, merce di scambio per gli interessi economici dei privati e dei latifondisti. Il ministro dell’Interno, Mario Scelba nella VII Legislatura con Capo del Governo Alcide De Gasperi, chiese al Ministero dell’Agricoltura l’8 Dicembre 1949 “…di voler esaminare quali provvedimenti sia possibile promuovere al fine di una utilizzazione del bosco più rispondente alle locali necessità, anche secondo l’intenzione del proprietario, e di cortesi notizie in proposito” (Cfr A.S.C.R. Bosco di Policoro, anno 1949)  

Il Ministro dell’Interno Scelba rinnoverà la stessa richiesta al Ministero dell’Agricoltura e Foreste con propria nota del 29 aprile 1951, svelando come il proprietario fosse riuscito ad ottenere anche l’autorizzazione dell’Ispettorato Provinciale Foreste, in precedenza contrario al taglio del bosco “…in merito alla predetta domanda, a modifica delle determinazioni precedentemente adottate da codesto Ministero che dato il disparere fra gli Organi tecnici, non ritenne di poter dare seguito alla proposta trasformazione fondiaria, si sono ora espressi favorevolmente e concordemente sia l’ Ispettore Agrario sia l’Ispettorato Forestale della Provincia, per l’accoglimento. La Giunta della Camera di Commercio, pertanto, prima di adottare le conseguenti determinazioni di competenza, ha ritenuto opportuno chiedere il preventivo avviso di codesta Amministrazione…”.

Non sappiamo, almeno da fonti ufficiali, se siano intervenuti accordi con la proprietà privata del bosco che, invece, alcuni studiosi (non citando però le loro fonti storiche e l’epoca a cui si riferiscono) affermano esservi stato, così come riportato da G.Settembrino che citando a sua volta le tesi della Dott.ssa Maria Teresa Costanza afferma: “… per evitare ulteriori controversie si pervenne ad un accordo tra le parti in causa (Berlingieri, S.I.B.A. ed Ente di Riforma): il barone rinunciava all’impugnazione del suo diritto, accettando che la S.I.B.A. continuasse la sua attività, previo il pagamento del materiale al barone ai prezzi stabiliti ed il versamento del 50% all’Ente di Riforma. La S.I.B.A., su cui gravava l’obbligo di utilizzare tutto il bosco in 10 anni, aderì all’accordo versando 30 milioni al barone. Fu così che il bosco «liberato dal vincolo idrogeologico, fu passato a taglio raso con diccioccamento». I lavori furono ultimati alla fine del 1961”.

Più preciso in proposito è la testimonianza scritta di un protagonista dell’Ente Riforma, scomparso nel 2015, Carlo Cormio, ex funzionario dell’Ente Riforma ed ex Consigliere Regionale di Basilicata eletto con la D.C.  il quale, in risposta alle affermazioni contenute nel libro di Nicola Buccolo su Policoro che imputa all’Ente Riforma il taglio del bosco di Policoro nel suo articolo afferma (non riportando però la fonte e l’ubicazione dei documenti che cita, che abbiamo comunque cercato negli archivi locali in Basilicata): “…Non è vero, infatti, che versò lacrime amare al vedere seghe e ruspe nel “suo” bosco. Documenti alla mano, già il 16 maggio 1947, forse temendo l’esproprio coatto sotto la spinta dei contadini, dei partiti e dei sindacati, il barone Berlingieri, anticipando i tempi, chiese alla Camera di Commercio di Matera l’autorizzazione a ridurre a coltura agraria “parte del bosco di Policoro di sua proprietà, soggetto a vincolo forestale”. La Camera di Commercio di Matera, dopo aver negato la sua autorizzazione, sentito il Ministero dell’Agricoltura e Foreste, che invece si espresse favorevolmente, alla fine concesse la richiesta autorizzazione. Era il 9 aprile 1951. Incominciava così, per volontà e desiderio del barone Berlingieri, il deprecato disboscamento, operato dalla SIBA – Società Industrie Boschive e Affini – cui il barone aveva venduto le piante con contratto stipulato a Pisticci in data 5 dicembre 1952. Perciò, quando l’Ente Riforma, in data 25 febbraio 1953, in virtù dell’esproprio, si immise nei terreni di Bosco pantano, trovò sul posto gli operai della SIBA, che abbattevano piante a vantaggio della SIBA e del Barone Berlingieri. Altro che “lacrime di rabbia”! Dico ciò per amore della verità e per una riconsiderazione più serena ed equilibrata di quegli eventi, per me gloriosi, che vanno giudicati nel particolare contesto di quegli anni, fondamentali per la storia della nostra regione e dell’Italia”.  (Carlo Cormio. Le lacrime del Barone. In Agrifoglio, rivista dell’ALSIA Basilicata, n.18, anno 3, 2006, pagg. 12 – 13). Nella sostanza Cormio conferma che il disboscamento venne eseguito su richiesta del barone Berlingieri dalla S.I.B.A., una società a responsabilità limitata ancora oggi esistente ma in liquidazione.

Sarebbe opportuno che i documenti dai quali vengono tratte queste testimonianze scritte vengano resi pubblici da chi gestisce gli archivi dell’Ente per lo Sviluppo delll’Irrigazione e la Trasformazione Fondiaria in Puglia e Lucania – Sezione Speciale per la Riforma Fondiaria, o quanto meno vengano indicati dove essi sono reperibili per poterli consultare. Le “responsabilità” sul taglio del bosco rappresentano aspetti troppo importanti per lasciare campo libero a interpretazioni, visioni di parte e ricostruzioni non attinenti la realtà, così come recenti testi presentati anche in sede locale. Esse richiedono massima attenzione sulla certezza delle fonti che ancora oggi sugli aspetti controversi restano in parte non chiariti, anche se è possibile affermare che aver voluto sacrificare il bosco fu certamente il convergere di opposti interessi, sia economici e sia sociali che emergono dai nuovi documenti di archivio.

Il giallo sugli ettari effettivi del bosco espropriato

Dai documenti dell’Archivio Centrale dello Stato (Bosco di Policoro, anno 1951) emergono ulteriori importanti elementi sui quali lasciamo ai lettori trarre giudizi sull’operato di Ministeri e pubbliche istituzioni. In una lettera datata 14 maggio 1951 avente oggetto “Bosco di Policoro” inviata dal Ministro dell’Agricoltura e Foreste, On. Fanfani, al Ministro dell’Interno, Mario Scelba venne fornita la seguente risposta in merito al parere sul taglio del bosco di Policoro:  “… In risposta alla nota n. 14381/15194 in data 29 aprile scorso di codesto Ministero con la quale si comunicava che è stata di recente riprodotta alla locale Camera di Commercio la domanda per ottenere, ai fini della trasformazione agraria, lo svincolo idro-forestale della zona costituente il bosco di Policoro, di circa 1.708 Ha. ricadenti in agro di Montalbano Jonico, questo Ministero fa presente che la domanda è stata inoltrata non dal proprietario, ma dall’Ente per l’Irrigazione e la Trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania. Quest’ultimo, infatti, a mezzo della Sezione Speciale, di recente istituita, provvedere all’espropriazione, alla bonifica, alla trasformazione ed all’assegnazione dei terreni ai contadini ed all’uopo ha già compreso, per la quasi totalità dell’estensione, il bosco Policoro nei piani particolareggiati di espropriazione”. Fin qui la lettera del ministro Fanfani del VII Governo presieduto da Alcide De Gasperi.

Ma a leggere il decreto di esproprio del 27 dicembre 1952, n.3789 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21/1/1953 dietro l’indennizzo di Lire 20.325.248,75 (75 centesimi) pagato al barone Giulio Berlingieri situati nel comune di Montalbano Jonico, è possibile constatare che gli ettari espropriati complessivamente per il “Bosco di Policoro” non sono 1.708, così come dichiarati anche dello stesso ministro Fanfani nella nota, ma complessivamente 1.284 e di questi solo 938 ettari sono costituiti dal “piano di esproprio” da “bosco di alto fusto” (bosco di Policoro).

Nel successivo Decreto di Esproprio al barone Giulio Berlingieri del 30 Agosto 1951, n.818 riguardante il Comune di Montalbano Jonico per 6.474 ettari, infatti, non risultano particelle censite nel piano come “bosco di alto fusto”, nè risultano nel Decreto 30 Agosto 1951, n.813 per complessivi 282 ettari nel comune di Tursi. Il barone Giulio Berlingieri venne espropriato dall’Ente per lo Sviluppo delll’Irrigazione e la Trasformazione Fondiaria in Puglia e Lucania – Sezione Speciale per la Riforma Fondiaria nel Comune di Montalbano per 7.755 ettari, di cui solo 938 ettari erano costituiti da “bosco di alto fusto”.

I conti sugli ettari del bosco di Policoro effettivi non tornano: mancano all’appello ben 770 ettari del bosco di alto fusto costituente il bosco di Policoro nel Comune di Montalbano Jonico, così come riportato dalla lettera a firma di Fanfani e da altri documenti.

Domande ancora senza risposta

Che fine hanno fatto questi 770 ettari di bosco di alto fusto del bosco di Policoro. Sono quelli che il barone Berlingieri avrebbe assegnato per l’esbosco alla ditta S.I.B.A.? E’ possibile che si sia trattato di un errore dei tecnici incaricati che abbiano erroneamente stimato l’estensione del bosco pagato nel piano di esproprio?.  Oppure possono essere fatte ulteriori ipotesi, che si tratti degli ettari non dissodati di cui 550 circa costituiscono oggi l’area protetta?

Sarebbe utile ricomporre questo “giallo” sugli effettivi ettari del bosco di Policoro disboscati, anche alla luce delle successive svendite effettuate ai privati di parte dell’antico bosco che, come mostra l’immagine aerea scattata dal volo militare nel 1943 era notevolmente più esteso e che attualmente è ridotto a pochi lembi residui.

Le operazioni di deforestazione ebbero termine nel dicembre del 1961 e dell’antica foresta fu risparmiato l’attuale lembo superstite; la superficie disboscata, trasformata in zona agricola fu suddivisa in appezzamenti di circa 5 ettari assegnati a famiglie di agricoltori. Vi si trasferirono nei poderi nuclei contadini che presentarono la domanda a Montalbano Jonico e presso il centro di Scanzano, e tra questi alcuni nuclei anche lucani provenienti da altre zone interne della Basilicata e da altre regioni. I luoghi di nascita dei titolari dei poderi in territorio di Policoro sono i seguenti: 400 nei comuni del Metapontino ma solo 95 a Montalbano Jonico; 70 negli altri comuni del Materano; 86 in ventuno comuni della provincia di Potenza; 55 nei centri della Puglia, di cui 31 dalla provincia di Lecce; 21 dalla provincia di Cosenza; 4 dalla Sicilia e uno dall’Abruzzo. (Cfr in proposito leggasi di E. Cesareo, Per una storia sociale del Metapontino 1950-59. In «Itinerari di ricerca storica», XXX, 2016, 1 (nuova serie).

Legittimità dell’esproprio al barone Giulio Berlingieri

in merito alla legittimità dell’atto di esproprio al barone Giulio Berlingieri, c’è da registrare la diffida da parte del legale di alcuni parenti del barone datata 14 Agosto 1951 (A.C.S.R., Bosco di Policoro anno 1951) circa il diritto di proprietà legittimamente vantato sul possesso dei terreni espropriati per una superficie complessiva di 7.758,93,20 della tenuta di Policoro nel territorio comunale di Montalbano Jonico. In sostanza veniva espressa diffida legale nei confronti “della la Sezione Speciale per al Riforma Fondiaria di Bari, a non proseguire nell’espropriazione della tenuta « Policoro » a nome del solo barone Giulio Berlingieri, ma rivedendo il piano particolareggiato nei confronti degli altri legittimi proprietari. Come lo si diffida ad emettere alcun provvedimento in pregiudizio agli interessi e diritti dei ricorrenti, e significare loro tempestivamente l’eventuale occorrenza di qualsiasi documentazione che si ritenesse necessaria produrre, oltre quella già esibita in visione e che si offre ancora in comunicazione, come comprovante il legittimo diritto di proprietà di essi ricorrenti”. Il ricorso-diffida non ebbe alcun esito.

L’attuale proprietà del bosco e prospettive future

Solo nel 1971 il residuo risparmiato al taglio fu individuato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal gruppo Conservazione della Natura della Società Botanica Italiana quale biotopo avente importanza Nazionale per la componente botanica e per l’interesse entomologico.

Nel 1973 – 1974 gli eredi Berlingieri misero in vendita il residuo di bosco del Pantano di Policoro per 253 ettari circa che venne acquistato da privati, unitamente al Castello di Policoro, alla Chiesa Madonna del Ponte ed altri beni in Policoro, posseduti anche e nome e per conto di una società turistica privata.

Nel gennaio del 1981 un incendio distrusse circa una ventina di ettari di bosco nell’area del Pantano soprano.

Dopo varie vicissitudini legate ai ricorsi alla Giustizia Amministrativa da parte dei proprietari privati, dopo l’affidamento in gestione al WWF da parte del Comune di Policoro di 21 ettari, La Riserva Naturale Orientata verrà istituita solo nel 1999, con Legge Regionale n. 28 del 8 Settembre 1999. La gestione del WWF dell’Oasi ha segnato e segna un punto di svolta per il Bosco Pantano di Policoro da bene esclusivamente dei privati a bene pubblico (con i greci costituiva il bosco sacro di Dioniso e Atena che poteva essere solo tenuto in fitto, così come testimonia la Tavola bronzea di Herakleia).

Il Piano di Gestione dell’Area Protetta è stato approvato con Deliberazione di Giunta Regionale n. 787 del 26 luglio 2017.

Attualmente l’estensione della Riserva Naturale Orientata Bosco Pantano di Policoro risulta essere complessivamente di 505 ettari, la cui proprietà è suddivisa tra privati ed enti pubblici: circa 250 ettari sono di proprietà privata, l’azienda Agricola Sperimentale Dimostrativa Pantanello possiede 150 ha (trasferita all’ALSIA dall’ESAB nel 1999), 84 ha sono di proprietà demaniale e/o affidati a enti (Capitaneria di Porto di Taranto e Università degli Studi di Bari) e solo 21 ha appartengono al Comune di Policoro dati in gestione dal 1995 al WWF Italia.

L’area del SIC (Sito di Importanza Comunitaria) è invece di 949 ha ed include delle zone ad uso agricolo, la foce del fiume Sinni con le aree golenali, la zona dunale e l’ex Pantano Sottano, e per essa sono state emanate le Misure di Conservazione dalla Giunta Regionale di Basilicata, stipulando apposita Intesa tra Regione Basilicata e sindaci dell’arco Ionico Lucano per la tutela dei Siti di Importanza Comunitaria istituiti nel tratto lucano della costa ionica. L’Unione Europea tiene aggiornata la liste delle specie presenti in apposito Data Base 

Ma per fare in modo che questo bosco permanga nella forma pubblica anche per il futuro non basta solo la legge della riserva ma è necessario rafforzarne gli scopi previsti dalla normativa. Non è stato ancora picchettato il suo perimetro con l’apposizione di nuova cartellonistica (i vecchi cartelli sono stati divelti e si vi continuano ad essere sconfinamenti vari, tagli abusivi, pascolo, incendi e rilascio di rifiuti).

Mancano soprattutto iniziative stabili per azioni di vigilanza ecologica con un programma per l’acquisizione al patrimonio pubblico delle particelle ancora possedute dai privati sui quali potrebbero esercitarsi pressioni speculative. E’ quindi necessario vigilare e mantenere alto il profilo culturale e sociale, facendo conoscere la storia e le peculiarità del bosco, assieme ai protagonisti di ieri e di oggi.

* Si ringrazia, Adriano Castelmezzano, per le ricerche sul Bosco di Policoro presso l’Archivio Centrale di Stato – Roma, Vito L’Erario per la Cartografia sul Tratturo del Re, Ottavio Chiaradia, per le notizie sull’oasi e le fotografie a corredo dell’articolo, Giuseppe Settembrino per gli aspetti salienti delle vicende sul bosco, Felice Santarcangelo per gli aspetti della toponomastica relativa a Policoro