La transumanza nell’antica terra del mito
di Antonio Bavusi e Vito L’Erario *

Vaso Enotrio (simboli che rappresentano le barche solari trainate – secondo la mitologia – da cigni)

Chiaromonte: kouros

Anglona (Pandosia): simboli della triplice fonte, montagna sacra e lamentatrici funebri

Sala Consilina: kernos e kantharos. vasi utilizzati durante i rituali e i cerimoniali enotri

Cofanetti femminili con simboli femminili e divinità solari (necropoli Guardia Perticara)

Sistema costruttivo di oikoi – capanna (ricostruzione tratta dat da N.Ruggieri, Op.cit.)

L’archeologo prof. Lorenzo Quilici

Il cartografo Giovanni Antonio Rizzi Zannoni (Padova 1736 – Napoli 1814)
Il popolo degli Enotri proveniva dalla Grecia, forse dalla mitica Micene, città fondata da Perseo, figlio di Zeus, uccisore della gorgone Medusa. Gli Enotri giunsero nel territorio compreso tra il mar Jonio e il mar Tirreno, tra il XVI e l’XI secolo a.C. (cfr A. Russo, L’età arcaica. Enotria. In Schede di Documentazione Consiglio Regionale di Basilicata) insediandosi assieme ai Choni (gruppo etnico enotro) all’interno dell’attuale Lucania meridionale. Secondo lo storico Dionigi di Alicarnasso (antichità romane I, 11-12) “diciasette generazioni prima della guerra di Troia” e prima della seconda colonizzazione greca in Magna Grecia, giunsero tra le valli dei fiumi Basento – Agri e Sinni e lungo i torrenti Sauro e Salandrella, popolando anche la Calabria settentrionale. Il popolo misterioso prende il nome da Enotrio, uno dei cinquanta figli del leggendario Licaone che, nella mitologia greca, era figlio di Pelasgo. Licaone venne trasformato da Zeus in lupo per avergli offerto a sua insaputa carne umana, così come tramanda lo scrittore romano Ovidio nelle Metaforfosi.
Gli Enotri abbandonarono la madre patria a causa dell’invasione dei Dori e dei popoli del mare. Erano dediti alla pastorizia e all’agricoltura ma erano anche guerrieri, fedeli ad Eracle (il forte nelle virtù eroiche) portandone il culto in occidente (sull’introduzione del culto in occidente leggasi: A. Capano, il mito e il culto di Eracle/Ercole nella Magna Grecia e nella Lucania antica. Basilicata Regione Notizie, rivista del Consiglio Regionale di Basilicata, 2014). Eracle era l’eroe esaltato dalle gesta omeriche, nel viaggio degli Argonauti e quello di Ulisse. Fu venerato dai pastori Enotri ma anche dai popoli nativi italici.
Il mito narra che “quando Ercole si apprestava ad attraversare le grandi acque verso l’isola di Eritia per andare a rubare i buoi di Gerione, dapprima rivolse il suo arco contro e le sue frecce contro Elio, il Sole, che spaventato diede all’eroe una grande coppa d’oro, su cui egli ogni sera saliva per raggiungere l’oriente. La coppa d’oro o la barca del sole ricorda l’uovo d’oro che galleggia sulle acque del Caos, entro cui risiede Brahma. L’eroe era già salito sulla barca del Sole, il dio Oceano levò a tumulto le acque, quelle del diluvio originario. L’Eroe tese minaccioso l’arco verso il cielo o verso una determinata costellazione e dopo fu ristabilita la calma. Dove punta l’arco con la freccia Ercole non è dato a saperlo, ma da miti simili, l’arco è una parte della costellazione dell’Arciere e il bersaglio è Sirio, legato al movimento delle acque. Il mito non lo dice esplicitamente, il tumulto delle acque era solo un’avvisaglia di cosa doveva in seguito succedere, un Diluvio. Ercole ebbe il tempo di ritornare in Europa sulla barca del Sole, con i buoi”.
Un discendente degli Enotri, il re Italo, diede il nome alla penisola, introducendo la diffusione della pianta di vite dalla quale si produceva il vino, bevanda sacra agli dei nei banchetti rituali. Italo trasformò i bellicosi pastori – guerrieri nomadi in agricoltori, introducendo la legge dei “sissizi” di usanza spartana, ovvero i banchetti in cui veniva servita carne e vino bevuto in coppe sacre (mesonphalos) servito da kantharos in kernos (recipienti più piccoli), o durante il gioco del kottabos (scopo del gioco consisteva nel colpire un bersaglio, un piatto o un vaso, con il vino rimasto sul fondo della coppa). Nei sissizi venivano consolidati i vincoli tra le generazioni e con le elites. I nativi e gli stranieri, potevano partecipare al rituale dei “sissizi” solo se “motaci”, ovvero se figli di madre straniera.
Le rappresentazioni del sacro
Nel cerimoniale sacro degli Enotri veniva esaltato il “kouros”, il giovane ragazzo appartenente al ceto ricco degli oikoi (vedasi la bella testimonianza di decorazione di kouros rinvenuta a Chiaromonte), secondo il modello di “kalokagathia”, ovvero l’ideale di perfezione fisica e morale, dove il bello e il buono erano il dono fatto agli uomini dagli dei. Questo modello di perfezione costituirà il fondamento filosofico e poetico nelle religioni politiche in occidente, a partire dai Romani e dalla conquista e dell’impero. Nel modello figurativo enotrio primigenio l’uomo veniva rappresentato da figure geometriche. E’ spesso contornato da archetipi e da simboli magici, dove prevalevano segni astratti quali linee discontinue a forma di “M”(acqua), quadrati, rombi, circonferenze e semicirconferenze, talvolta inscritte in quadrati. In alcuni simboli compaiono le navi solari che traghettano i defunti e scadiscono il ritmo del tempo, delle stagioni e della natura (bellissimi i simboli impressi sui pesi da telaio rinvenuti presso la cosiddetta casa-tempio delle tessitrici a Francavilla Marittima (CS) e il peso da telaio rinvenuto ad Amendolara rappresentante il ciclo divino del micro.macrocosmo). Il ciclo della morte e della rinascita – secondo gli Enotri – vedeva l’uomo al centro della natura, tra le piante e gli animali, che gli offrivano sostentamento durante la vita.
Bellissimi gli archeo-simboli rappresentati sui cofanetti femminili trasportabili con significati riconducibili alla sfera femminile, alla protezione della casa da parte delle divinità e a elementi costruttivi (gli Enotri praticavano il nomadismo pastorale tra le valli) contenenti forse unguenti e monili rinvenuti a Guardia Perticara (contrada San Vito). Secondo alcuni autori (N. Ruggieri. La carpenteria lignea nella cultura italica in età arcaica, note meccanico-costruttive intorno alle raffigurazioni fittili di Guardia Perticara. In Bollettino Ingegneri, n.4, 2012) rappresenterebbero modellini di oikoi (casa) che mostrano anche in alcuni disegni “sistemi costruttivi lignei, evidenziando nello specifico l’intelaiatura e la struttura di copertura di legno. Tali manufatti raffigurano una complessa organizzazione gerarchica delle varie membrature con la presenza di aste di controventamento e quindi dispositivi atti ad aumentare la rigidezza trasversale assicurando, all’ossatura portante, una migliore risposta ad azioni di tipo orizzontale. Inoltre risultano rappresentati, in maniera coerente e compatibile alle caratteristiche del materiale, della configurazione strutturale e del sistema dei carichi, la perdita di equilibrio e l’instabilità flessionale di alcuni elementi portanti (ndr sistema di capriate che sorreggono il tetto e pannellature laterali realizzate in legno impellicciato con materiali isolanti, paglia e argilla realizzati su su palafitta)”.
Il rituale magico – religioso serviva ad aiutare l’anima ad ascendere verso dio: dalle montagne sacre, rappresentate nella ceramica a tenda, l’anima seguiva vie concentriche e saliva in alto, verso la dea madre, padrona della triplice fonte di energia (sui simboli leggasi il saggio di F. Sciacca e U. Bosco, Segni decorazioni e simboli nelle ceramiche antiche. Segnicreativi Edizioni). Bellissima testimonianza di questo tipo di ceramica è il vaso rinvenuto ad Anglona dell’VIII sec.a.C. (Pandosia) ove sono visibili montagne e sorgenti sacre dove il viaggio del defunto, dopo la morte, veniva accompagnato dalle lamentatrici (prèfiche).
Il territorio dell’Enotria nelle fonti storiche
Strabone, geografo del I secolo a.C. scriveva che “…prima dell’arrivo dei Greci la regione non era abitata dai Lucani, ma da Enotri e Choni. Dopo che i Sanniti raggiunsero una grande potenza, cacciarono i Choni e gli Enotri e insediarono in quella parte i Lucani… “Gli antichi chiamavano col nome di Italìa l’Enotria, che si estendeva dallo stretto di Sicilia fino al golfo di Taranto e di Posidonia; ma il nome Italia col tempo prevalse…”. Secondo Dionigi di Alicarnasso (Antichità romane, I, 11-12)” .. Enotro lasciò la Grecia non essendo soddisfatto dell’eredità paterna: avendo infatti Licaone 22 figli, era stato necessario dividere in altrettante parti la terra degli Arcadi. Lasciato per questi motivi il Peloponneso e preparata una flotta, Enotro traversò lo Ionio, e insieme a lui anche Peucezio, uno dei suoi fratelli. Li accompagnavano molti della loro stessa stirpe, poiché si dice che anticamente gli Arcadi fossero un popolo assai numeroso e quanti tra gli altri Greci possedevano terra insufficiente alle loro necessità. Peucezio, sbarcata la sua gente nel punto stesso del loro primo approdo in Italìa, al di sopra del capo Iapigio, vi si insediò, scacciandone la popolazione locale, e da lui gli abitanti di quella regione furono chiamati Peucezi. Enotro, invece, con la maggior parte della spedizione, giunse all’altro golfo che si allarga da occidente sulle coste dell’Italìa e che allora era chiamato Ausonio… Trovando molta terra adatta al pascolo, ma anche molto idonea per l’agricoltura, per lo più inoltre deserta o poco densamente abitata, dopo aver scacciato i barbari da alcune zone, fondò numerose piccole città sulle montagne, contigue le une alle altre, secondo quella che era l’abituale disposizione degli abitati degli antichi. E chiamò tutta la terra che aveva occupato, e che era assai estesa, Enotria, ed Enotri tutti coloro sui quali ebbe il governo…” (Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 11-12). Stefano Bizantino, grammatico del V secolo d.C., riporta delle fonti sull’etimologia del coronimo Oinotrìa e i nomi di alcune città: Arinthe: città degli Enotri nell’entroterra … Artemision, città degli Enotri nell’entroterra …Erimon, città degli Enotri dell’entroterra … Ixiàs, città degli Enotri nell’entroterra … Menekine, città degli Enotri nell’entroterra… Kossa: città degli Enotri nell’entroterra … Kyterion, città degli Enotri nell’entroterra …Malanios, una città dell’entroterra degli Enotri …Ninaia, città degli Enotri nell’entroterra … Lokroi Epizephyrioi, città dell’Italìa…Medma, città dell’Italìa … Kaulonia, città dell’Italìa …Krotalla, città dell’Italìa, Lametinoi, (città dell’Italìa) …Skyllaion, rocca…”. Altri toponimi, non qualificati come enotri, rientrano in quel territorio: Chone, Petelia, Krimissa, considerate dalla tradizione come fondazioni di Filottete (Geografia, VI, 1, 3), Lagarìa, ritenuta fondazione di Epeo (Geografia, VI, 1, 14), Makalla. Altre fonti riportano il toponimo di Pandosia nel Bruzio e Pandosia nella Siritide.”. Pisandro nel libro tredicesimo dice che l’Enotria aveva tratto il nome dall’uso del vino (oinos-Oinotrìa). (Per le fonti storiche e gli insediamenti Enotri leggasi l’interessante saggio di S. Bianco: Enotria, processi formativi e comunità locali. La necropoli di Guardia Perticara. Edizioni Tip. Zaccara, Lagonegro 2011).
Dal mare alle montagne: le vie istmiche e le traversali delle valli fluviali
Dalla costa jonica e dalla città di Siris, situata alla foce del fiume Sinni, attraverso la valle omonima la via commerciale dei greci giungeva a Pissunte (Policastro), passando nei pressi dell’attuale Rotondella (centro enotro di Monte Coppola) e nei pressi di Pandosia (Anglona). Attraverso la Timpa del Ponto (punta di roccia) a Valsinni, dopo l’attuale Senise, superate le valli del Sarmento e del Serrapotamo raggiungeva l’abitato di Chiaromonte – Colle dei Greci. Erano queste le valli popolate dagli Enotri Tirreni, che seppellivano i loro morti in posizione supina in tombe a fossa, tipiche delle culture ausonie, a differenza degli Enotri – Choni delle pianure (leggasi in proposito il saggio di Lorenzo Quilici, Dallo Jonio al Tirreno: il percorso della via istmica nella Valle del Sinni, Carta Archeologica della Valle del Sinni, Fasc. IV – VIII). Punto di riferimento della ricerca di Quilici è stata la “magnifica” pianta dell’Alante Geografico del Regno di Napoli disegnata da Giovanni Antonio Rizzi Zannoni nel 1812, fondamentale per ricostruire la viabilità e la toponomastica antica, sulla quale venne realizzata la viabilità ottocentesca. E’ lo è stato anche nel nostro studio sul “Cammino degli Enotri” o trasversale delle valli lucane che metteva in collegamento i tre mari. L’Enotria della prima età del ferro sulla linea degli insediamenti antichi che dalla Valle del Basento raggiungeva l’asse tirrenico con gli insediamenti di Pisticci, Ferrandina, Craco, Anglona e le valli del Sauro, con i centri e le necropoli di Guardia Perticara e Gallicchio Vetere.
Il Cammino degli Enotri e il Tratturo delle Montagne
La seguente descrizione toponomastica ha come base cartografica le tavolette IGM 25k serie ED50 (del 1930); l’Atlante Geografico del Regno di Napoli di Giovanni Rizzi Zannoni del 1812 (David Rumsey Map Collection); le mappe catastali d’impianto del portale RSDI della Regione Basilicata; le ortofoto del 2006.
I Fossi di Castronuovo e Roccanova
Sono le probabili vie che seguivano gli Enotri. Partendo da Chiaromonte, dove sono attestati numerosi siti archeologici (necropoli), il cammino doveva, per l’appunto, seguire questi due fossi per raggiungere la Val d’Agri (L’età arcaica, A. Russo – 2000). Partiva dalla località Sotto La Croce, seguendo dei sentieri e carrarecce sino alla località Manca di Intocca per poi biforcarsi verso il Fosso di Castronuovo e verso il Fosso di Roccanova. Dopo aver attraversato il Torrente Serrapotamo, grazie alle cartografie IGM 25k, il tentativo di ricostruzione di queste antiche vie è stata possibile solo in piccola parte: per il Fosso di Castronuovo la traccia si ferma nei pressi della località Tempone Crocecchiola, mentre per il Fosso di Roccanova la traccia si ferma nei pressi della Fontana Lardereio.
Tratturo delle Montagne
Il Tratturo comunale delle Montagne, sottoposto a vincolo ai sensi degli artt. 10 e 13 del Dlgs 42/2004, si sviluppa per diversi chilometri nel territorio di Ferrandina. Parte dalle località Pantaniello – Piana del Finocchio lungo una carrareccia, passando a poca distanza dalla Masseria e Iazzo Varisana. Il tracciato, dopo aver attraversato il Torrente Vella, si dirige verso le località Venita, Manca di Monsignore, per poi deviare verso Pantone della Fica e Piano della Codola e Appetto o Petto del Principe dove con una mulattiera prosegue verso la Masseria la Vecchia, attraversa il Torrente Gruso e con un sentiero a passo giunge a Isca di Piana d’Oro e quindi il Torrente Salandrella.
Destinazione Craco
Pur non essendo censito come tratturo, esso poteva seguire il tracciato che abbiamo ipotizzato: dal Torrente Salandrella risale verso Craco con un sentiero e poi mulattiera, passando per la località Chianedda, attraversa il Fosso di Sabbato (mappe Rizzi Zannoni) lungo un sentiero denominato Strada vicinale Mesola-Sansone che conduce all’ingresso NE di Craco.
La via del Canziniere verso Ferrandina
Un’ulteriore via della transumanza che si ritiene considerare in questo studio è il tracciato che Rizzi-Zannoni indica da Craco a Ferrandina, ed in particolare: Santa Maria la Stella, Canziniere, San Benedetto, Difesa della Retagna (Coste della Cretagna per IGM 25k), Serra di Sant’Antonio (Serre delle Fergole per IGM 25k). La ricostruzione del tracciato ha tenuto conto degli antichi e attuali toponimi, mentre non è stato facile individuare il percorso, soprattutto in virtù delle arature e del rifacimento di strade moderne. Partendo da Craco, la via seguiva la Strada nazionale di Val d’Agri sino al trivio della località Carrara Bianca per svoltare verso la Strada comunale San Mauro in Forte – Craco ed attraversare il Fosso della Madonna (per IGM 25k) o Fosso Giunchite (per mappe catastali d’impianto). Proseguiva sino a Isca della Rotella e dopo aver attraversato il Torrente Misegna e superato le rovine della Cappella di Santa Maria, Masserie e Jazzi, si innestava sulla Strada comunale Salandra – Craco sino a Masseria San Benedetto e Serra della Vena per poi seguire a la Strada comunale Vella e vicinale Piana di Buono. Il tracciato antico di Rizzi-Zannoni doveva poi giungere nei pressi di Masseria Tredicicchio e attraversare il Torrente Vella. A questo punto la via doveva proseguire verso un sentiero-passo che chiameremo “Passo del Morrone” prima di giungere al trivio di Serra San’Antonio (Serre delle Fergole per IGM 25k) e giungere quindi a Ferrandina.
Gannaro, Fiume Agri e la Rabatana di Tursi
Lasciato Craco alle spalle, si sono considerate due possibilità: la prima ipotizzata segue una mulattiera che attraversa Fosso Bruscata, le rovine di Casa Giammaria, segue Valle Molino per arrivare nella località Manca Fiorentino e innestarsi su una carrareccia che attraversa la località Undici Casette per biforcarsi con la Strada comunale Montalbano Jonico (coincidente con il Tratturo Aliano-Montalbano) nei pressi di Gannaro del Monte. A questo punto la via della transumanza poteva giungere in territorio di Tursi (che sarebbe la seconda ipotesi) e/o in territorio di Aliano dove è censito il Tratturo Aliano – Montalbano che si dirige alla confluenza del Torrente Sauro con il Fiume Agri. La seconda ipotesi – che tiene conto delle mappe dell’800 di Rizzi Zannoni appunto, doveva lasciare Craco attraverso la Strada comunale Craco-Tursi (per mappe catastali di impianto) mentre per le carte IGM 25k viene utilizzata la dicitura Strada di Craco – superare il Monte Tre Confini, costeggiare il Fosso dei Lupi, seguire le attuali Strade provinciali Scalo di Montalbano e Craco-Gannaro per passare vicino allo Iazzo Gannaro e Masseria Gannaro di Sotto dove si biforca ad Est verso loc. Giardini Isca e verso la Stazione Calabro-Lucana di Montalbano Jonico e a Sud verso Tursi dopo aver attraversato l’Agri e seguendo una mulattiera, parallela al Canale di Rabatana, che supera le località Giardini di Monte, una serie di masserie, per giungere alle porte della Rabatana di Tursi.
Sant’Arcangelo, Roccanova e la Cantoniera del Titolo a Castronuovo Sant’Andrea
Il tracciato, giunto nel territorio di Aliano, si staccava dal Tratturo Aliano-Montalbano, attraversava il Pantano di Alianello (Pantano di Aliano per Rizzi Zannoni) e quindi il Fiume Agri, al Ponte Roccolone per entrare in territorio di Sant’Arcangelo, sino a Timpone della Torre dove si innestava al Tratturo di Roccanova per poi tangere in più punti la Strada provinciale Agri-Sinni, attraversare Cozzo Schifardo, sino alle località Ermo Russo e Spicchio d’Aglio (Costa di Scorticato per Rizzi Zannoni), proseguire con mulattiera sino a loc. Urlando e con carrareccia raggiungere Tempone Crocecchiola, Masseria Baccalà a la Cantoniera del Titolo (Bosco della Molangiola per Rizzi Zannoni).
Coda di Volpe e Coste del Cammino
Dalla Cantoniera del Titolo il tracciato proseguiva con mulattiera verso Serra San Chirico – Coste del Cammino (Rizzi Zannoni) – che coincide con il limite amministrativo dei comuni di Carbone e San Chirico Raparo. Segue la Strada provinciale Sella del Titolo per Fontana dei Ladri per poi giungere al Toppo Coda di Volpe e sino al Monte Asprello e Monte Coccari e Asprella (per Rizzi Zannoni) in territorio di Carbone per proseguire verso Serra Pelata e Monte Armizzone in territorio di Castelsaraceno.
Ulteriore via per Tursi
In località Timpone della Torre in territorio di Sant’Arcangelo attraverso il Tratturo di Rosano e la Strada comunale di Colobraro e del Procaccio si poteva proseguire per Tursi attraverso una serie di mulattiere, sentieri e carrarecce. Una possibile via, con mulattiera e poi carrareccia, poteva anche raggiungere località Caprarico in territorio di Tursi, sulle sponde del Fiume Agri con la Strada comunale Colobraro-Caprarico.
Il Muro dei Giardini (la Cavallerezza) e Santa Maria Orsoleo
Un’ulteriore via della transumanza poteva ancora interessare i territori di Sant’Arcangelo e Roccanova con le Strade comunali di Caliuvo di Sopra e di Sotto (quest’ultima attraversava il centro abitato di Roccanova) per proseguire verso La Fiumarella e Santa Maria Orsoleo in territorio di Sant’Arcangelo con la Strada comunale di Orsoleo sino in località Il Muro dei Giardini ad attraversare l’Agri, giungere in località Pantano di Alianello (il cui sentiero leggibile dalle carte IGM 25k è stato stravolto dalle colture) raggiunge Jazzo e Masseria Mastrosimone, per poi innestarsi con una carrareccia (oggi non più presente a causa di colture che hanno cancellato i connotati della strada) o con un sentiero (oggi carrareccia) al Tratturo Aliano-Montalbano.
Il Tratturo Aliano-Montalbano e la via Appiett u’ Castiedd
Uno dei problemi riscontrati nell’editing delle tracce relative alle vie della transumanza riguardava i nodi di attraversamento del Fiume Agri. A tal fine si è ritenuto opportuno tracciare il Tratturo comunale Aliano – Montalbano Jonico che, assume rilievo come asse trasversale di congiunzione con le altre vie della transumanza. Seppur venga censito tale solo nell’agro di Aliano, questa via della transumanza proseguiva con vari “rami” di strade sino a Montalbano Jonico. Partendo da Aliano, il tratturo seguiva l’attuale Strada provinciale Aliano-Alianello sino alla località Santa Maria degli Angeli per poi proseguire lungo una mulattiera in località Cretazzo che conduce alla Masseria Panevino (abbandonata). Il tratturo attraversava la località Falsa Maiore per poi diventare una carrareccia sino a giungere allo Jazzo Mastrosimone e omonima masseria. Proseguiva lungo l’Agri sino alla confluenza del Torrente Sauro, lo attraversava per tenersi in pertinenza al Fiume Agri, risalire verso Borgata Sant’Antonio, in territorio di Stigliano, Gannaro del Monte (subito dopo è attestato un vecchio mulino abbandonato) e innestarsi alle attuali Strade provinciali Scalo di Montalbano e Craco-Gannaro, attraversare il Fosso del Lupo per poi seguire e successivamente tangere la Strada statale n.598 di Fondo Valle d’Agri, sino ad intersecare la Strada di Craco o Strada comunale Craco-Tursi. A questo punto il Tratturo si manteneva parallelo al Fosso del Lupo, per poi attraversarlo, superare Masseria Gannaro di Sotto per poi deviare verso Est in direzione Isca dei Giardini e della Stazione ferroviaria Calabro-Lucana di Montalbano Jonico e quindi, alla relativa cittadina ionica, risalendo con una carrareccia e poi con un antica mulattiera – che le popolazioni locali chiamato “Appiett u’ Castiedd” (a piedi al castello) – e proprio al Castello di Montalbano Jonico si narra che vi era una stazione di Posta.
di Antonio Bavusi e Vito L’Erario
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