di Lorenzo Cristofaro
Nel Mar Adriatico è ripresa una intensa attività di ricerca di idrocarburi che potrebbe rappresentare, assieme ai sonar, una delle cause probabili di questo recente spiaggiamento di cetacei che segnala il malessere in cui versa l'ambiente marino. Pandosia ripropone alla lettura il saggio di Lorenzo Cristofaro che delinea alcuni aspetti importanti della problematica…
«Molti ritengono il mare il mondo del silenzio, ma non è così»(1). Il suono si propaga sotto la superficie dell’acqua in modo più efficiente e veloce che nell’aria e su distanze molto maggiori (2). Non deve meravigliare, dunque, che suoni e rumori nell’ambiente marino, più che l’eccezione, rappresentino la regola. Alcuni di questi hanno natura geofisica, come la pioggia, le onde, i movimenti dei ghiacci e i terremoti, altri invece, biologica, come quelli prodotti da numerose specie marine per orientarsi, nutrirsi, comunicare e proteggersi (3). A questi suoni naturali, negli ultimi anni, se ne sono aggiunti molti altri prodotti dall’uomo, caratterizzati da un’intensità e una diffusione tali, da aver quasi completamente coperto i rumori dell’ambiente marino. Le fonti principali sono state individuate nella navigazione, nell’attività di estrazione di gas e petrolio dai fondali, in quella di ricerca dei relativi giacimenti e, soprattutto, nell’utilizzo dei sonar attivi da parte delle navi militari e commerciali. Si deve considerare, inoltre, il rumore prodotto durante le attività di dragaggio e di costruzione di qualunque struttura in mare, quello causato dall’utilizzo dei dispositivi pinger (4) per le attività di pesca e di acquacoltura ed il rumore proveniente dallo spazio sovrastante la superficie dell’acqua, come quello causato dei generatori eolici. Considerando le fonti di maggior impatto sull’ambiente marino, bisogna specificare che le caratteristiche del rumore provocato dalle navi variano in relazione al tipo di imbarcazione, alle sue dimensioni, al tipo di propulsione, alla sua progettazione e alla velocità di crociera (5): è stato provato, però, che il solo suono prodotto dalla cavitazione dell’elica può arrivare a diffondersi in un raggio di centinaia di chilometri intorno alla nave che lo ha generato (6).
Per quanto riguarda, invece, l’attività di ricerca dei giacimenti di combustibili fossili, si deve considerare il sempre più frequente impiego, da parte dell’industria del settore, del sistema delle prospezioni sismiche, che risulta ecologicamente distruttivo (7). Il metodo utilizzato per individuare i depositi di gas e petrolio consiste, infatti, nella scansione dell’intera zona prescelta mediante dei dispositivi detti “airguns” (cannoni d’aria) che, trainati da apposite navi, emettono suoni per via dell’introduzione nella colonna d’acqua di aria ad altissimi livelli di pressione: l’eco di questi suoni, riflessa dal fondale, rivela presenza, profondità e tipologia del giacimento.
Ma la forma di rumore antropico più devastante sugli ecosistemi marini è quella prodotta dai sonar attivi, utilizzati per scopi militari o civili, in grado di produrre onde che si diffondono per centinaia di chilometri in mare. E’ scientificamente provato che l’utilizzo di questi dispositivi di localizzazione può provocare, in alcune specie, in particolare nei cetacei (8), oltre al già grave effetto di mascheramento (9), anomalie nel comportamento, perdita temporanea o permanente dell’udito, lesioni gravi e, in alcuni casi, persino la morte (10). Nel corso degli ultimi anni si sono documentati, in ogni parte degli oceani, numerosi e frequenti episodi di spiaggiamenti di mammiferi marini, sempre in concomitanza con esercitazioni di navi militari che utilizzavano apparecchiature sonar.
Analisi necroscopiche sui cetacei e approfonditi studi in materia da parte di prestigiosi istituti scientifici ed altri enti di ricerca, hanno fornito prove inconfutabili circa il nesso di causalità sussistente tra l’utilizzo dei sonar e la morte degli animali (11). La gravità delle conseguenze prodotte dal rumore antropico sugli ecosistemi marini, dunque, ha portato all’attenzione della comunità internazionale una nuova urgente questione ambientale. Dal punto di vista della qualificazione giuridica, dato che il suono costituisce una forma di energia, si considera l’introduzione di rumore nell’ambiente marino da parte dell’uomo, come una forma di inquinamento. Nella Convenzione sul diritto del mare del 1982, infatti, questo è definito come «l'introduzione diretta o indiretta, ad opera dell'uomo, di sostanze o energia nell'ambiente marino ivi compresi gli estuari, che provochi o possa presumibilmente provocare effetti deleteri quali il danneggiamento delle risorse biologiche e della vita marina (omissis)..» (art. 1). Tale conclusione, già raggiunta nell’ambito di alcune ONG internazionali, è stata recentemente sottolineata dalla Comunità europea nella Direttiva quadro sull’ambiente marino (2008/56/CE), in cui si è espressamente incluso, tra le forme di inquinamento, anche quello acustico sottomarino (12).
La Commissione lo ha definito come «l'introduzione intenzionale o accidentale di energia acustica nella colonna d'acqua, da fonti puntuali o diffuse»13. Gli Stati, dunque, rebus sic stantibus, in attesa che ulteriori ricerche forniscano una panoramica più completa sulla materia, sono tenuti ad affrontare il problema agendo in via precauzionale ed evitando ogni tipo di inquinamento transfrontaliero.