La storia dei boschi di Laurenzana Abetina e Lata 
di Antonio Bavusi (Luglio 2023) – Creative Commons Attribuzione – Non commerciale citando la fonte
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Non risponde al vero in letteratura l’affermazione che la rarefazione dell’Abete bianco sull’Appennino Meridionale sia dipesa esclusivamente da cause naturali. La storia dei boschi di Laurenzana testimonia il contrario

Pagine di Archivio – Ispezione di Basilicata – Ministero Ponti Strade e delle Acque e Foreste e della Caccia – anni 1816/1826 – A.S.N.

Carta del territorio di Laurenzana con i boschi Castelbellotto,Lata e Abetina (anno 1807 – Il disegno del Territorio Op.cit.)

Carta Rizzi Zannoni 1807 riportante i toponimi di alcune località boscate

Taglio forestale (disegno tratto da un manuale forestale del XIX secolo)

Copertina del Supplemento della Commissione feudale contenente la stima e il contenzioso sul demanio forestale di Laurenzana (documenti dal 1810)

Bolli sui diritti sulle carte dei vari ricorsi relativi al contenzioso sui demani forestali – A.S.N.

Statino per il taglio di 335 alberi di abete nell’Abetina di Laurenzana, suddivisi per numero esemplari, circonferenza, anni stimati e altezza degli alberi A.S.N.

Modello e forma del marchio del martello forestale (XIX secolo)

Stralcio da Carta forestale 1936. Ampie estensioni boschive del comune di Laurenzana risultano all’epoca degradate, dopo i tagli effettuati nei periodi precedenti

Abetina di Laurenzana. Cippo ex ASFD (Azienda di Stato Foreste Demaniali)

Area della Riserva Naturale Abetina di Laurenzana, nel parco nazionale Appennino Lucano. Nonostante l’area ricada nel territorio protetto nazionale, vengono autorizzati di recente tagli forestali economici.

Bosco Abetina:grande abete policormico – Foto A.Castelmezzano 2023

Gruppo di grandi cerri – foto A.Castelmezzano 2023

“I boschi di Laurenzana confinano alla parte di levante e settentrione col nostro territorio culto; da ponente col nostro bosco universale detto Abetina ed a mezzogiorno col bosco di Corleto, e colla nostra Abetina. Vi sono due specie di albori, cioè li cerri e li abeti, ma la più abbondante è quella de’ cerri, mentre l’abeti non si trova che in sole tre contrade di questo bosco, e sono la Molignana, Zopparello e Abetone. “La parte boscosa di detta difesa è della estensione di trentotto carra, o siano tomoli 2280. È tutta montuosa, sebbene sull’altura vi siano dei piccioli piani. Vi sono varie specie di arbori, e sono l’abeti, i cerri, i faggi, i perazzi ed i melazzi; ma la più abbondante è quella dei cerri, essendo l’abeti ridotti a picciol numero per il continuo taglio. Sono di picciol numero, e non atti a lavori marittimi, ma ai solo usi comuni, mentre l’abeti sono nodosi, e dell’altezza di circa trenta palmi, ed i cerri di palmi quaranta circa.” 
(Bollettino dei demani comunali delle provincie meridionali continentali. Sentenze della commissione feudale, ordinanze, decreti ed altri atti della sistemazione dei demani. Nuova serie. Vol. III, Bergamo. Istituto italiano d’arti grafiche, 1916).

Le fonti di archivio

La ricerca prende il via dal ritrovamento presso l’archivio di Stato di Napoli di due documenti riguardanti altrettante richieste di tagli forestali indirizzate all’amministrazione borbonica: uno riguarda il bosco della Lata, l’altro la vicina Abetina di Laurenzana, entrambi situati nel territorio dell’omonimo paese della provincia di Potenza. Dalla loro non sempre facile consultazione e interpretazione, emergono importanti e inedite informazioni riguardanti lo sfruttamento delle risorse boschive in Basilicata durante il periodo del regno di Napoli, portando alla luce le condotte, spesso illecite, delle quali istituzioni pubbliche, famiglie nobiliari ma anche privati cittadini, si resero responsabili e che portarono al depauperamento di queste preziose risorse boschive.

Di grande importanza è anche il documento dell’Intendenza di Finanza del 1809 sui demani comunali che descrive in maniera puntuale il territorio considerato, i boschi, i loro confini e i diversi toponimi presenti sul territorio.

La storia dei boschi di Laurenzana

Il territorio di Laurenzana, di limitata estensione secondo le relazioni forestali ottocentesche, ha rivestito in passato notevole interesse commerciale per il diritto feudale legato allo sfruttamento dei boschi, in particolare quelli costituiti da abete bianco e cerro. La denominazione del bosco Lata, secondo il Racioppi (Cfr. Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Edizioni Loescher, 1902) deriverebbe dal termine latino “Latae, le assicelle che sono soprapposte ai travicelli e sostengono il tegolame del tetto. La denominazione indica il diritto civico sul bosco di lavorarvi le assicelle del tetto, per uso domestico”. I boschi dell’Appennino Meridionale con abies alba (Ruoti, Laurenzana, Bosco Vaccarizzo di Carbone e abetine del Pollino) erano utilizzati anche per il pascolo secondo le consuetudini storiche della transumanza da parte di affittuari provenienti dai comuni del materano e pugliesi, così come testimoniato dai documenti dell’archivio privato della famiglia d’Amato Cantorio che gestivano vaste tenute agro-zootecniche in Basilicata e Puglia. La transumanza si svolgeva lungo l’antico “Tratturo Grande” di Laurenzana che collegava le aree montuose dell’Appennino alle marine dello Jonio e alla Puglia. Con contratto stipulato il 17 marzo 1924 la famiglia d’Amato Cantorio gestiva il bosco Abetina di Laurenzana dato in fitto a Giuseppe de Blasiis di Viggiano per il ghiandaggio e la fida del pascolo, oggetto tra l’altro di controversia, e del ghiandaggio ed altri alberi fruttiferi nella tenuta Lata, località Ierarsa di Laurenzana.  Una cartografia storica del 1807 mostra l’abitato di Laurenzana con i boschi Lata, Abetina e Castelbellotto (Archivio di Stato di Potenza, Fondo Intendenza di Finanza, anno 1807). Da quanto rilevato in sede di studio e dalla documentazione di archivio, emerge come la drastica riduzione della diffusione dell’abete bianco alle latitudini meridionali dell’Appennino meridionale sia dovuta in maniera preponderante all’impatto antropico, in prevalenza dai tagli forestali e dall’intenso pascolo. La conservazione di questa specie, che può essere considerata relitta del periodo post-glaciale, è oggi minacciata, soprattutto nelle fasce vegetazionali di transizione altimetrica a clima caldo, maggiormente esposte ai cambiamenti climatici globali, richiamando l’attenzione delle istituzioni politiche affinché attribuiscano valore prioritario alla conservazione della specie.

I boschi Lata e Abetina nella relazione sui demani

Dalla Relazione sui Demani riferita all’anno 1809 si desumono alcune importanti notizie sui territori boscosi nel territorio di Laurenzana, situata sull’Appennino Lucano, tra le valli del Sauro-Camastra e Val d’Agri. Numerose furono le controversie sull’uso dei demani civici e quelli dei privati, soprattutto per lo sfruttamento del legname attraverso il taglio dei boschi di abete bianco, pianta molto apprezzata per il legno che si prestava per gli usi navali e per le travature degli edifici. Con ordinanza del 1812, sciogliendo la controversia, il giudice del Tribunale di Potenza assegnava al Comune di Laurenzana ¼ del valore dei beni ex feudali, con quote suddivise tra vari cittadini che legalizzarono precedenti “usurpazioni” dei boschi comunali dopo occupazioni illegali avvenute nel XIV secolo. La controversia sul possesso dei beni forestali riguardava l’ex barone, Duca di Belgioioso, proprietario del bosco Lata, così come si evince dai documenti dell’Archivio di Stato di Napoli (A.S.N. nel prosieguo del testo) a seguito di concessioni fatte dagli originari proprietari in epoche comprese dal 1608 al 1671. Le richieste di tagli forestali, a partire dai primi del XIX secolo, erano avanzate dai Comuni e dai privati prettamente per necessità di “economia silvana”, in linea con la Legge forestale 21 Agosto 1826 che riconosceva per la prima volta ai boschi del regno di Napoli il “diritto di proprietà, cioè l’uso, che de’ suoi beni ciascun privato può fare, è, per principio di pubblica utilità, ossia di ragion pubblica, intrinsecamente soggetto alla condizione di esercitarsi senza nuocere ad altri”. Un principio che avrebbe condizionato lo sfruttamento boschivo inteso come bene economico.

L’organizzazione forestale del XIX secolo

Per lo sfruttamento boschivo di ampie estensioni sulle quali, a partire dai primi anni dell’Ottocento operava, in virtù della legge forestale, l’Amministrazione Generale di Acque e Foreste, quale amministrazione dipendente del Ministero delle Finanze. Lo sfruttamento intensivo dei boschi demaniali e quelli di proprietà privata, era gestito dal punto di vista tecnico dal funzionario. Una prima organizzazione del demanio forestale si ebbe con il governo francese a Napoli a partire dal 1807. La legge 20 gennaio 1811 e il suo Regolamento attuativo, sovrintendeva allo sfruttamento dei boschi, che proseguì durante la Restaurazione dal governo borbonico con la legge del 21 agosto 1826, nota come legge di Riforma di Acque e Foreste, sull’esempio della struttura di “Ponti e Strade” (sull’organizzazione forestale leggasi di M.R. Rescigno, All’origine di una burocrazia moderna – il personale del Ministero delle Finanze nel Mezzogiorno di primo Ottocento. Ed. ClioPress, 2007).

Le prime statistiche e l’organizzazione forestale in Basilicata

Dalle statistiche redatte nel 1813, emerge come l’Amministrazione Generale di Acque e Foreste per la Basilicata, con ben 279.940 moggia di boschi corrispondenti a circa centomila ettari di superficie forestale attuali, prevalentemente di proprietà comunale, disponesse sul territorio di ben 232 guardie forestali (su 1.095 guardie complessive dislocate nelle 12 province di cui si componeva il Regno di Napoli) con una spesa complessiva di 87.720 lire. Tale notevole investimento era non solo giustificato da motivi economici per lo sfruttamento del bosco, ma si rilevava essere uno strumento per il controllo del territorio anche dal punto di vista dell’ordine pubblico per contrastare il dilagante fenomeno del banditismo e del brigantaggio. Dal 1826, con la legge 21 Agosto, veniva istituita a Napoli la Direzione Generale Ponti, Strade, Foreste, Acque e Caccia, unificando competenze apparentemente slegate tra loro, con l’intento di permettere lo sfruttamento boschivo, pur nei limiti di salvaguardia del bene stesso. L’Amministrazione Generale di Acque e Foreste operava sul territorio in maniera gerarchica e capillare, attraverso un corpo forestale organizzato in “Ispezioni Provinciali” e composto da Sottoispettori Forestali (uno per provincia), Guardie Generali (GG), Guardiaboschi e Brigadieri. È da considerare che l’estensione forestale di inizio XIX secolo considerava “bosco” l’estensione forestale utile con un numero elevato di alberi di alto fusto per moggio (definizione che oggi non corrisponderebbe ai criteri individuati dalle nuove norme forestali). Per il bosco Lata di Laurenzana, i documenti reperiti presso l’Archivio di Stato di Napoli stimavano una densità “d’abeti mischiati con cerri di alto fusto in numero di 40 – 60 a moggio”.

La controversia sullo sfruttamento dei boschi a Laurenzana

Dalla relazione sui Demani riferita all’anno 1809 si rileva come il Comune possedesse la sola “Difesa Abetina” posta a “ponente del territorio comunale di carra sessantotto, o siano di tomoli 4080, divisa in due parti, una è coltivata e l’altra è boscosa di trentotto carri, o sieno tomoli 2280 (corrispondenti a circa 1.680 ettari). L’attuale Riserva Naturale Regionale, istituita con DPGR n. 2/88 e gestita dall’Amministrazione Provinciale di Potenza, ricade in zona 1 del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano istituito con DPR dell’8 dicembre 2007, è estesa appena 324 ettari. Costituisce un Sito di Interesse Comunitario e Z.C.S. cod. IT9210005)”. La citata relazione definisce i confini di “levante col bosco della Lata, ch’è di pertinenza del Duca di Belgioioso, e propriamente colla parte di quel bosco che vien chiamato la Molignana”. Da questa descrizione si deduce la drastica riduzione nei secoli delle abetine primigenie, frammentate e ridottesi attualmente a poche centinaia di ettari, con la scomparsa del toponimo “Molignana”, non presente nelle cartografie storiche e in quelle più recenti, mentre vi compare ancora la località denominata nei documenti “Zopparello o Zoppariello- Zappariello” indicata nella cartografia I.G.M. 1:50000 “Zupparello”, ad ovest del Valico Sella Lata, ad una quota altimetrica intorno ai 1.200 metri s.l.m., riportata anche in cartografia storica delle Province Meridionali del 1862-1876 con questa denominazione. Dalla stessa relazione si deduce come parte del territorio che risultava coltivato nel 1809, nel 1339 era costituito da bosco e il “popolo senza autorizzazione del Magistrato lo ridusse a coltura ciascuno prendendosene una porzione… l’abeti ridotti in picciol numero per il continuo taglio. Sono di picciol fusto, e non atti a lavori marittimi, ma ai soli usi comuni…”.

La controversia sul bosco Lata tra il Duca di Belgioioso e il Comune di Laurenzana

 “È cosa molto notoria, che il Duca Belgioioso abbiasi usurpato circa carri tre di detta parte boscosa (74 ettari circa), e propriamente tutto quel luogo, che chiamasi Molignana, ove vi sono molti arbori d’abete. Tale usurpazione fu fatta da circa un secolo addietro dal Duca Francesco Quarto”. Così si esprimeva nella relazione il sindaco di Comune di Laurenzana nei confronti di Francesco Quarto che, nel 1680, aveva ottenuto il titolo di duca di Laurenzana, cambiato col nome di Belgioioso nel 1682.  Laurenzana, feudo in Provincia di Basilicata, era già stata di proprietà degli Orsini del Balzo, cui subentrarono i Poderico e successivamente i Loffredo, i Filangieri, i De Ruggiero e i Gaetani, i quali, in persona di Alfonso, il 24 ottobre 1606 vi ottenne il titolo di duca, ad istanza dello stesso Alfonso, il 24 gennaio 1645 il titolo fu trasferito sulla Terra di Gioia in Terra del Lavoro, con il diritto di mutarne il nome in Laurenzana,  venendo infine ceduta ai Quarto che divennero anche conti di Vaglio acquistando il titolo nobiliare dei rispettivi feudi dal Vicerè di Napoli. Su proposta dell’Agente demaniale, il Decurionato comunale nel 1809 redigeva lo stato della Foresta Lata evidenziando come nel Catasto Universale del 1753 fosse iscritto come Demaniale ex Feudale e pertanto soggetta ad uso civico la quale “consta essere dell’estensione di carra sessantacinque (circa 1.605 ettari) o siano tomola tremila, tra i quali sono compresi li terreni sboscati, e culti, che sono seicentosessanta… Nonostante che in detto Bosco vi sono sempre i Custodi, pure sì fa qualche abbuso. I Cittadini vi rappresentano il dritto di poter legnare al solo secco, morto, selvaggio ed infrutti”. La relazione comunale sul bosco Lata di proprietà del Duca di Belgioioso fornisce inoltre importanti elementi per circoscrivere i disboscamenti operati dal Duca: “…alla falda di questo Monte vi sono i tomoli seicentosessanta da molto tempo sboscati e ridotti a coltura, divisi sono in due parti, una è quella che viene chiamata Cesina ed è d’estenzione di tomoli cinquecento; e l’altra vien chiamata Parco ed è dell’estensione di tomoli cento sessanta. Questi sono stati usurpati dal Duca D. Francesco Quarto a questa Università…”.

L’Abetina di Laurenzana

 Da una relazione del Consiglio d’Intendenza di Basilicata del 28 Gennaio 1827 si apprendono ulteriori dettagli anche sul bosco Abetina, fondo demaniale e Difesa del Comune, sul quale vennero operati disboscamenti e occultazioni da parte degli agrimensori che ne ricavarono profitto personale: “…nel 1779 una parte di essa fu messa a coltura con un violento dissodamento fattone da moltissimi cittadini, ciascuno occupandone una quota. È fama costante, che nel 1782, dietro suppliche umiliate al Real Trono, fosse stato impartito decreto dalla Regia Camera, col quale i medesimi furono ammessi al pagamento di un annuo canone di carlini sei a tomolo. Il decreto non esiste, dacchè le carte dell’Archivio comunale furono incendiate in tempo dell’occupazione militare… Dicesi d’altronde che quasi tutti i passati cassieri; conscii delle occultazioni commesse nei detti compassi, avessero poi riscosso a lor profitto delle partite; e dicesi pure che dai libri di esazione dei primi anni ne fossero state tolte appositamente delle pagine…”. La “pratica dei compassi” era in uso all’epoca per aggirare le leggi attraverso agrimensori compiacenti, mostrando confini di proprietà inesistenti. A Laurenzana, per la parte usurpata dai privati del demanio comunale, nonostante gli accertamenti disposti dall’Intendenza e richiesti dal Comune, risultò di difficile dimostrazione l’effettiva proprietà, a causa della cessione dei terreni a terzi, che ritardarono le operazioni di stima da parte degli agrimensori pubblici incaricati.

I tagli operati dal Comune di Laurenzana nel bosco abetina e controversia con l’Ispettorato Forestale

L’ispettore forestale di Potenza nel 1826 chiedeva al Direttore Generale Ponti, Strade, Acque, Foreste e Caccia con sede a Napoli di autorizzare l’istanza del sindaco di Laurenzana per poter tagliare 280 alberi di cerro, faggi e abeti giunti a maturità, in prevalenza abeti bianchi. Tra le considerazioni del G.G. (Guardia Generale) del Circondario di Laurenzana all’ispettore di Potenza emergevano aspetti significativi relativi al taglio richiesto che avrebbero potuto influire sulla rinnovazione naturale “…nel bosco si provveda alla riproduzione di ciò che si abbatte …perché gli animali continuano a pascervi“. Si procedette alla martellata dividendo il bosco in 90 sezioni e stabilendo di recidere 20 alberi per moggio, con la presenza di abeti dell’età stimata in 90 anni. Nei documenti consultati non vengono forniti dettagli sul numero elevato di abeti morti e su eventuali cause relativi a patogeni o eventi climatici, così come assenti sono documenti che attestino se poi il comune abbia provveduto o meno al taglio. Il 16 giugno 1831 l’ispettore scriveva al Direttore Generale Ponti, Strade, Acque, Foreste e Caccia con sede a Napoli riferendo che il Sindaco di Laurenzana chiedeva nuovamente un taglio nell’abetina. Venne in proposito effettuato un sopralluogo da parte del G.G. del Circondario di Laurenzana assieme a due addetti Guardia Boschi del Comune per la stima degli alberi da recidere nel bosco abetina “morti e non più in vegetazione”, indicandone in 200 gli alberi di faggio e di cerro e 344 di abeti morti (sic!). Il Direttore Generale Ponti e Strade a questa nuova richiesta di taglio da parte dell’Ispettore Forestale di Potenza non diede risposta formulando, a seguito della sollecitazione dell’Intendente di Basilicata, la richiesta all’Ispettore di Potenza di riferire in merito alla precedente richiesta di taglio accordata di 280 alberi. Il 20 Settembre 1831 veniva redatto il verbale di taglio degli alberi secchi di abete in numero di 335 abeti con età compresa tra 90 e 160 anni e altezza da 40 a 90 palmi napoletani (10 – 23,5 metri circa) e circonferenza compresa tra 4 e 12 palmi (1 – 3,12 metri circa) alle contrade “popolate da annosi abbeti” Cardosa, Fosso delle Vadiche, Fosso Acqua di Manca, Cogno Stretto, Scippotaccio, Acqua Zecchina, Acqua della Pietra, Varco Montemurro. Alle autorizzazioni e alle martellate eseguite, dalla corrispondenza tra l’Ispettorato forestale di Potenza e la Direzione di Napoli emergerebbero, ma solo formalmente, ritardi nei tagli da parte del Comune di Laurenzana, in assenza di verifiche successive che ne attestino l’esecuzione effettiva. Tale corrispondenza lascerebbe margine al dubbio su quello che appare come un espediente “dei tagli a saldo”, con autorizzazioni precedentemente rilasciate, per consentire al Comune i tagli di abete nel tempo. In alcune delle citate località, infatti, gli abeti sono oggi scomparsi.  Illuminante circa gli abusi è la lettera dell’Ispettore Forestale di Potenza al Direttore Generale in Napoli del 27 settembre 1833 per “….dimostrale gl’intrighi che usano da essi amministratori a chè ciò il saggio Consiglio Forestale determinò nel 1829…nei tagli a saldo né quali è impossibile d’evitare abusi ed altro, né la vigilanza degli agenti forestali può essere al di sopra per quali tagli in tutti i boschi di questa Provincia motivo che essi sono in pessimo stato e tuttavia continuano e ciò per effetto dei privati interessi degli amministratori di essi i quali affatto si uniformano a quanto dal lodato Consiglio si prescrive, sicome Ella avrà osservato da diversi miei uffici riguardanti simili affari; né ho mezzi esecutivi da praticare onde reprimerli, se non quelli di dirigersi al capo di questa Provincia tanto da impedirgli abusi quanto per richiamare l’osservanza della Legge e dei permessi non chè per la buona custodia dei boschi…”. La lettera dell’Ispettore Forestale, oltre ad evidenziare gli abusi dei “tagli a saldo o a salto” sottolinea quelli relativi al pascolo nelle aree disboscate dove “le giovani piantine” non possono rinnovarsi in maniera naturale, concludendo la nota chiedendo che la Direzione Generale non permetta “ad esso comune nessun altro taglio a saldo o a salto”. Tra le diverse richieste di taglio, c’è quella fatta dal Comune di Laurenzana all’Ispettore di Potenza del 13 Ottobre 1832 per fare “frasca” nel bosco abetina. Fare “frasca” era una pratica utilizzata nei boschi, vietata dalla legge forestale, ovvero recidere le giovani “proseche” fino al principio della ramificazione delle giovani piante per fare foglie di cerro da usare per alimentare “i bovi aratori che a causa della scarsità di erba per la siccità erano privi di alimento”. Il Direttore Generale Ponti, Strade, Foreste, Acque e Caccia sulla specifica richiesta esprimeva un rifiuto motivandolo “perchè si apporterebbe danno alle piante e si perderebbe così il frutto”. La legge 21 Agosto 1826 citata dall’ispettore forestale, all’articolo 72, imponeva il taglio a sezioni, che il Comune di Laurenzana non accettava perché avrebbe dovuto pagarsi il progetto e perché chiedeva invece di continuare a fare tagli a saldo o “a salto” vietati dall’art.37 della stessa legge forestale, ovvero scegliendo ogni singola pianta da tagliare, così aggirando i controlli forestali che in un primo momento venivano accordati con la richiesta di tagliare “alberi secchi o morti e privi di vegetazione” (anche questo era un modo per fare tagli indiscriminati per lo più di piante invece in buono stato). Questi abusi furono segnalati dall’ispettore Forestale di Basilicata alla Direzione Generale di Napoli evidenziando l’esigenza che il Comune di Laurenzana redigesse un nuovo “Piano di Divisione del bosco Abetina” che lo stesso Comune, con nota del Decurionato del 28 luglio 1833 “osservava di non potersi pagare” contestando la pratica della divisione in sezioni per poter procedere al taglio. L’art.35 della Legge emanata da Francesco I, re delle Due Sicilie, il 21 Agosto 1826 permetteva il “taglio raso” solo nei boschi divisi in sezioni, lasciando solo 15 alberi per moggio per la “semenza”. Tale articolo venne applicato per il bosco Lata di proprietà del Duca di Belgioioso. Lo stesso articolo prevedeva il divieto di accesso agli animali dopo il taglio e l’art.36 prevedeva l’istituzione di Difese nei boschi pubblici. Ma di fatto, pur con norme molto severe che prevedevano la salvaguardia dei boschi d’alto fusto (la legge 21 Agosto 1826 prevedeva numerose e dettagliate norme in proposito), si continuava ad infrangere i divieti senza efficaci azioni di vigilanza. Lo ammetteva persino l’Ispettore forestale nella sua nota al Direttore Generale Ponti, Strade, Foreste, Acque e Caccia, affermando che la “vastità dei territori non permetteva controlli efficaci”, limitandosi a richiamare il Comune di Laurenzana all’osservanza della Legge che delegava per questi boschi il solo controllo alla Direzione Generale Ponti, Strade, Foreste, Acque e Caccia attraverso gli Ispettorati e la loro organizzazione del territorio nei “Circondari forestali”. Gli Ispettorati erano tenuti a programmare e a effettuare, in base alla legge, almeno un controllo all’anno su tutti i boschi della Provincia di pertinenza, compresi quelli privati e di proprietà ex enti religiosi. I Guardia Boschi locali dovevano essere pagati dai Comuni i quali, spesso, non avevano risorse economiche necessarie, ricavando le retribuzioni dalla vendita del legname.  Il risultato fu un rapido depauperamento dei boschi vetusti nel Sud Italia e in Basilicata che non ebbero più modo di riprodursi. Il 24 Agosto 1837 su incarico dell’Ispettore di Potenza il Guardia Generale del Circondario di Laurenzana assieme al Sindaco e un addetto del Comune e ai due Guardia Boschi comunali redigeva una nuova martellata presso il Bosco Abetina “bollando 400 abeti secchi alle località Cardosa, 110 abeti; Varco di Montemurro, 37 abeti; Acqua le Manche, 14 abeti; Cogno Stretto, 68 abeti; Serro Cerchiaro, 12 abeti; serra di Scippataccio, 22 abeti; Acqua Zecchina, 120 abeti; Acqua la Pietra, 17 abeti” All’inizio dell’Ottocento il grande numero di tagli autorizzati furono il principale motivo, oltre agli incendi, della drastica riduzione dei boschi di alto fusto, così come mostra la Carta Forestale redatta dalla Milizia Forestale” nel 1936, che individuava e classificava come “boschi degradati” alcune aree  della Lata.

Il taglio degli abeti del bosco Lata agli inizi dell’Ottocento

In occasione delle numerose richieste di tagli forestali da parte del Duca di Belgioioso per la parte del bosco Lata, emergono pratiche di taglio talvolta non controllate, allorquando in una relazione, qualcuno da 50 abeti con una “manina” correggerà a “500”, con l’aggiunta di uno zero, gli abeti da recidere.   Il 21 Dicembre 1815 il Duca di Belgioioso aveva infatti inoltrato richiesta al Sottoispettore di Potenza di taglio forestale evidenziando come nel 1813 “… aver ottenuto da circa due anni la permisione di recidere in una delle due difese in Laurenzana, denominata La Lata di 4000 moggia, ottocento alberi di abete, e duegendo di cerro, ma sicome di questi appena se ne sono tagliati circa trecento, e gli si assegnò un cento di dieci moggia, dove non ne esistono più, per esservi rimasti soli virgulti crescenti, egli chiede la facoltà di tagliarne in altro luogo di detta difesa”. La corrispondenza tra il Duca di Belgioioso, il Sottoispettore e la Direzione di Napoli continuerà negli anni a venire a richiedere il taglio di alberi di abete e cerri, facendo riferimento ad autorizzazioni ricevute per le quali non ebbe modo di ottemperare anche per l’opposizione degli agenti silvani (Cfr. ASN, Op. cit.): “Il Duca di Belgioioso espone che in Novembre 1814 chiese di recidere duegento abeti nel suo bosco nominato Lata, sito nel territorio di Laurenzana nel Distretto di Potenza e gli fu permesso un taglio regolare di otto considerato che il bosco è di moggia 3000 né si poterono in questa estensione così piccola rinvenire duegento alberi atti all’uso per lo quali gli bisognavano ondè dimandò di far taglio in altro sito della difesa”. Dai rapporti forestali tra le Guardie Generali del Circondario e il Sottoispettore, emergeranno, a partire dal 1817, diverse incongruenze sul numero di alberi da recidere. Il Sottoispettore da disposizioni in merito “alle più positive disposizioni al G.G. del circondario perché non si opponga al taglio di tutti gli alberi rinvenuti privi di vegetazione ed inutili, il numero dè quali, giusta la verificazione della stessa g.g., oltresoglia quello dè 500 chiesti dal proprietario”.

L’opposizione delle Guardie Generali e del Comune terranno fermo il taglio richiesto dal duca di Belgioioso che continuerà a sollecitare il 3 Gennaio 1818 per “recidere cinquecento alberi di abete e trenta cerri nel suo bosco di circa di quattro miglia di vastità denominato la Lata né luoghi appellati Molignana e Zoppariello, sito nel tenimento di Laurenzana di Basilicata, lontano circa ottanta miglia dal mare, atteso sono colà capitati. Degli Abruzzesi per la sega ed ha occasione di vendere il legname onde possiede…”. Dai numerosi rapporti desunti dalla documentazione d’archivio, si rileva come i tagli forestali presso il Bosco Lata, di proprietà del Duca di Belgioioso, agli inizi dell’Ottocento fossero notevoli (almeno un migliaio tra abeti e cerri con richieste di autorizzazione al Sottoispettorato). Per il Bosco Abetina, di proprietà comunale, dalla relazione sui demani citata si deduce come i cittadini “ne abusassero e facessero gran danno”, potendosi ipotizzare controlli meno assidui da parte del Sottoispettorato dal momento che nella stessa relazione si evince come nella Difesa Abetina” …gli arbori sono più tosto rari. È più conducente promuoverne il rimboschimento, che ridurla a coltura, essendo detta difesa montuosa assai, fredda e niente atta alla fecondazione delle biade. I confini non sono stabiliti, non essendovi termini di pietra, solamente un torrente separa il bosco della Lata, dalla difesa da una parte, e dall’altra vi sono alcuni segni incisi negli arbori…abbiamo poi col consenso delle parti e loro presenza e coll’assistenza del Sig. Agente Ripartitore, posto i termini lapidei colle lettere indicanti C.L. Comune di Laurenzana e D.B. Duca Belgioioso”.

A Laurenzana, oltre diecimila abeti tagliati dal 1800 al 1825

Dalla documentazione risulta evidente che i tagli nella Difesa Abetina fossero stati praticati in epoche precedenti e a partire dal 1826 con l’emanazione della Legge 21 Agosto 1826, mentre sulla parte privata del bosco Lata gli abitanti del comune, che nel 1809 assommava a “seimila e seicento abitanti”, continuavano a reclamare i propri diritti in virtù delle ex leggi feudali, ovvero ad esercitare il pascolo e il legnatico (raccolta rami secchi al suolo) contro cui si opponeva il Duca di Belgioioso che era venuto in possesso – secondo il comune – della parte di abetina in località “Molignana”, dove il Duca Belgioioso era interessato a recidere gli abeti controversi della migliore qualità commerciale, poiché detta località era stata usurpata dal suo predecessore nel XVIII secolo (1750). Fin tanto che nel 1849 tra le parti si stabilì un accordo bonario che, nel riconoscere l’uso civico, il comune di Laurenzana rinunciava a pretese sulla proprietà della parte usurpata a località Molignana, e il Duca di Belgioioso, nella sua qualità di Conte di Vaglio, a non impedire l’uso civico anche nel bosco Lata di sua proprietà. Nella relazione di ripartizione dei demani acclusa all’accordo tra le parti, venne redatta anche una meticolosa e interessante statistica sullo stato boschi nella quale si evince l’interesse economico delle parti “…esservi nel bosco Lata 164.600 alberi, e cioè diecimila e trecento di abete, gli altri di cerri. Essersene recisi 2.472, del valore di ducati 2.956 estensione di 2627 tomoli – Taglio da 25 anni a questa parte; Nel fondo Molignana essersi recisi 7.600 abeti e 1.400 cerri; da 25 anni a questa volta, prezzo Ducati 19.900. Nel bosco Castelbellotto di tomoli 2.524 essersi recisi 2.030 alberi di cerro da 25 anni a questa parte del valore di Ducati 1.600…esistervi delle dissodazioni dal 1812 in qua per circa 26 tomoli di terreno. Esistervi pure dei rinsaldimenti”. Con buona pace tra le parti (ma non per gli alberi e degli abeti recisi), la relazione concludeva laconicamente “Non esservi traccia di usurpazione”. Ma la causa sui diritti del fondo controverso “Molignana” (potrebbe trattarsi dell’area denominata oggi “parco”) popolato di alberi e cerri tra il comune di Laurenzana e gli eredi del Duca di Belgioioso, il conte di Vaglio Antonio Maria Quarto proseguì fino al 1865. Il Comune accusava i “danni cagionati dalle devastazioni e tagli d’innumerevoli alberi a salto, ed a scelta che sin dal 1850 in poi il duca si è permesso far recidere in detrimento dei dritti del comune…”. Una causa che perdurò fino al 1915 per altri fondi contesi, tra gli usurpatori, cittadini di Laurenzana ed eredi, tra i quali il nipote del Duca di Belgioioso, l’omonimo Francesco Quarto. Nel bosco Abetina, di proprietà comunale, dai documenti rivenuti presso l’Archivio di Stato di Napoli è stato possibile stimare il numero di abeti recisi, che in soli 10 anni ammonterebbero ad un numero pari a circa 1.215 abeti negli anni compresi tra il 1826 e 1837, con un numero imprecisato di cerri di alto fusto, classificati come “morti, non più in vegetazione o colpiti da tarlo”. Il Bosco Abetina venne considerato dalle autorità forestali come una specie di territorio franco per consentire al Comune di Laurenzana lo stesso trattamento che veniva concesso a Duca di Belgioioso, proprietario privato del bosco Lata. Complessivamente nel periodo sono stati oltre 10mila gli abeti recisi.

Quali prospettive per i boschi con abete bianco a Laurenzana?

Con l’istituzione del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano al comune di Laurenzana sono stati autorizzati, attraverso un Piano Economico approvato dalla Regione Basilicata e dallo stesso organo di gestione del parco nazionale, nuovi tagli forestali in boschi misti di alto fusto cerro-faggio – abete bianco. In un territorio che dovrebbe essere gestito in maniera ecologica, considerato che in gran parte ricade in area protetta ma dove continuano a permanere le vecchie ragioni vantate dal Duca di Belgioioso e dal Comune di Laurenzana che, all’inizio dell’Ottocento, recidevano oltre diecimila abeti bianchi, depauperando un patrimonio unico, giunto così fortemente ridimensionato. Sono passati quasi due secoli da allora e l’utilizzo dei boschi in Italia e in Basilicata è certamente cambiato, ma resta il desiderio, di chi ha a cuore questo patrimonio che appartiene a tutti, affinché la protezione di queste splendide foreste non resti solo sulla carta. La salvaguardia di un patrimonio così importante e fragile resti prioritaria, con l’auspicio che non si torni indietro verso un utilizzo economico del territorio volto soprattutto  a sfruttarne le risorse più che a conservarle per il grande valore ecologico che contiene.

La breve parentesi del progetto di salvaguardia Life-Natura delle Abetine Meridionali

Nell’ambito del progetto Life Natura 1994-1996, per l’Abetina di Laurenzana, grazie anche alla sensibilità degli Amministratori Provinciali e Comunali dell’epoca, assieme al WWF Italia, venne attuato un programma di salvaguardia per le abetine meridionali. Nel Piano Triennale di Tutela Ambientale 1994-1996 vennero promosse e attuate iniziative per la conoscenza del bosco Abetina di Laurenzana, di fruizione naturalistica e realizzazione presso il Rifugio Montano Acqua della Pietra di un Centro di Educazione Ambientale “Ecomuseo dell’Abete Bianco” con un progetto per un vivaio forestale per l’abete bianco (vedasi brochure a lato), successivamente privati dei mezzi di sostentamento necessari per la gestione delle strutture e delle attività ordinarie. L’11 Settembre 1993 a Fontana dei Pastori di Viggiano (vedi depliant a lato) le Associazioni Ambientaliste proposero la prima perimetrazione del Parco Nazionale Val d’Agri Lagonegrese Appennino Lucano, anche per contrastare interessi diversi che riguardavano le aree naturalistiche del futuro parco nazionale, ivi compresa la Riserva Naturale Abetina di Laurenzana. Il parco venne istituito solo dieci anni dopo, nel 2007, a causa dell’opposizione delle società minerarie interessate alla ricerca ed estrazione di idrocarburi nell’area protetta che riguardava anche il bosco Abetina e la limitrofa Montagna di Caperrino. Vicende storiche anche queste, più o meno note e conosciute. Dispiace constatare oggi, da parte di chi scrive, la mancata risposta all’appello indirizzato agli attuali amministratori del parco nazionale sui nuovi tagli forestali previsti presso l’Abetina di Laurenzana, nonostante erano tra i protagonisti di quelle battaglie per l’istituzione del parco, per averne all’epoca condivisi i contenuti.