di Antonio Bavusi – geoitinerario Vito l’Erario
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“Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo.“(Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, 1943-1944)
“Il Cammino induce a cambiare punti di vista e le prospettive, ma i luoghi conservano i loro codici identitari anche se appaiono trasfigurati”
Il viaggio di Tenore e Gussone da Potenza ad Auletta nell’estate dell’anno 1838
(Lungo la Strada Regia di Basilicata, dal miglio 91 al miglio 62)
“Potenza trovasi edificata su di una collina di alluvione che qual barca rovescia eleva il dorso nel centro di quel agreste bacino. La strada che vi mena da Napoli segna appiè del colle il miglio 91, e per altro mezzo miglio d’incomoda salita se ne dilunga la città istessa”.
Dopo aver misurato l’altitudine misurata in piedi 2428 dirimpetto all’orto agrario, i due botanici proseguono il loro cammino…
“…procedendo alla volta della Capitale, dopo il miglio 90 e mezzo la strada scende sempre fino al miglio 85, tra quelli argillosi campi, di alberi spogli mai sempre e della più scoraggiante sterilità, fra le segale biade, al cader di luglio…”
Dopo aver annotato nel loro diario le piante spontanee ivi rinvenute, i due botanici giungono al miglio 86
“… sul miglio 86 incontrarsi la traversa che mena a Tito; quindi al miglio 85 si comincia a discendere per andare ad incontrare il famoso ponte sul Marmo, che si raggiunge al miglio 80. La strada costeggia il colle cui sovrasta inerpicato Picerno, colla sua traversa di circa un miglio e mezzo che sbocca sulla strada al miglio 82…”
I botanici notano campi mal coltivati che giungono fino alle case del paese innescando così fenomeni franosi
“…al di là del ponte comincia l’improba salita del Marmo che costeggia l’alto monte di Tusciano, la cui vetta raggiunge al miglio 76…questo monte è composto unicamente di calce giurassica e potenti strati leggermente inclinati da scirocco e maestro. Tutte le strane giravolte che lo contornano, le altre diaboliche ed incomprensibili della salita di Salvitelle, al di là di Vietri di Potenza che si continuano per un 15 miglia di strada disastrosissima, non sono che una manifesta deviazione dal naturale andamento della strada di Potenza che, per Tito, Pietrafesa, Brienza ed Atena, avrebbe dovuto direttamente sboccare su quella di Calabria…”
I due botanici alludono alla controversa strada osteggiata da alcuni municipi che venne realizzata solo in seguito, che avrebbe semplificato il difficile percorso per Vietri.
“… dal miglio 76 la strada scende per la costa meridionale del Marmo ed indi costeggia il Vetrice, altro monte giurassico anch’esso, e così si prolunga fino a Vietri che resta al miglio 72. Tutto questo tortuosissimo cammino da Potenza a Vietri, sulla carta itineraria altra volta citata, sta disegnato con un tratto di linea dritta e colla scritta di miglia 14 ! Come si è veduto di sopra esso ne percorre oltre a 20”.
Tenore e Gussone annotano la presenza della specie botanica Cynara horrida (volgarmente denominato carciofo selvatico), nell’ultimo luogo dove la specie vegeta in Lucania, prima di percorrere “…le dieci miglia che si contano da Vietri al ponte di Auletta sul Tanagro, cioè dal 72 al 62”.
[articolo in fase di inserimento]La Strada Regia di Basilicata
Lungo questa strada si possono riscoprire storie dimenticate (qualche volta volutamente oscurate), anche da chi vive nei paesi che la strada attraversa. La Strada Regia di Basilicata, oggi abbandonata dalle grandi reti di comunicazione, è stata infatti sostituita negli anni Sessanta del secolo scorso da autostrade che seguono i letti dei fiumi nelle valli, assecondando la velocità delle automobili, che hanno preso il posto delle carrozze, dei cavalli, dei carri e dei muli. Venne denominata “Ferdinanda” da alcune municipalità dell’ex Principato Citra, in onore del re di Sicilia. Voluta per rompere un isolamento di una terra attraversata da viaggiatori che raggiungevano le città di opposti mari, seguiva in parallelo antichi e disagevoli tratturi delle serre dei monti, utilizzati in passato dai popoli oschi durante le transumanze verso le marine e che collegavano fra loro cinte fortificate inaccessibili e paesi arrocati sui monti, tra foreste e imprevisti deserti di argilla. La Strada Regia di Basilicata, abbandonati gli antichi tratturi delle serre (la Via degli Stranieri collegava lo Ionio al Tirreno seguendo le serre dei monti da Metaponto a Poseidonia), attraversava invece le pendici delle montagne, seguendone le curve di livello. Superava fiumi e torrenti con arditi ponti e ponticelli in pietra o in legno, spesso distrutti dalle piene. Questo territorio conserva ancora grandi contraddizioni, con paesaggi naturali e storici che oggi vengono di sovente violentati. L’antropologia dei luoghi attraversati dalla strada ci tramanda come in passato le comunità fossero multietniche con presenze arabe, ebree e greche oltre a quelle dei dominatori del Regno di Napoli e delle Due Sicilie (bizantini, greci,ottomani,normanni, svevi, spagnoli, francesi, austriaci, etc). Dopo l’Unità d’italia iniziò un inesorabile spopolamento delle campagne dovuto alle morti per malattie, guerre ed emigrazione, con bassi indici di natalità che portarono povertà e miseria (le inchieste sociali condotte in alcuni comuni, quali quelle condotte a Grassano e Tricarico nel secolo scorso, evidenziarono questi fenomeni in maniera drammatica). La storia millenaria è ancora quella legata alle consuetudini di una sorta di feudalesimo dei potenti, capace di impoverire i poveri ed arricchire sempre di più i ricchi, che prospera là dove è più forte l’ignoranza e l’immobilismo, confinando le coscienze e generando nuovi deserti culturali, umani e naturali, così come testimoniano le vicende, ancora attuali, dell’occupazione delle terre da parte dei contadini a cui seguì la Riforma fondiaria degli anni Cinquanta, con il fallimento dell’industrializzazione forzata nelle valli.
La storia
Questa strada venne ipotizzata nel 1798, allorquando venne “tracciata partendo da Napoli fino a Potenza, indi a Matera per 138 miglia, decidendosi di tracciare anche l’altra da Sala a Tursi per oltre 59 miglia” (Monsignor Luigi del Pozzo, Cronaca Civile e Militare delle Due Sicilie sotto la dinastia Borbonica, dall’anno 1734 in poi. Stamperia Reale, Napoli, 1857).
Nelle aree interne del sud Italia, nel XVIII secolo, esistevano solo tratturi o antiche vie consolari romane, spesso prive di manutenzione e percorribili solo con grandi difficoltà. Per risolvere i problemi dovuti all’eversione della feudalità, oltre alle rettifiche del catasto, a partire dal XIX secolo fu decretata dai governi del Regno di Napoli, la diminuzione del dazio sul macinato, con modalità di esazione meno gravose e iniziata la costruzione di nuove strade che fronteggiassero la crisi dell’agricoltura dovuta allo scarso commercio interno per mancanza di strade. L’itinerario della Strada Regia di Basilicata (ramo della Basilicata) in fase di progettazione nel 1790, è descritto da Giuseppe Maria Galanti (Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, vol. 3, 1794). Con alcune imprecisioni, il Galanti stimava, sulla base di ipotesi ingegneristiche fatte dal Real Corpo Ponti e Strade, le miglia occorrenti da Napoli (Ponte della Maddalena), attraverso le varie località attraversate dalla Strada Regia di Basilicata per raggiungere Matera: Auletta (miglia 62), Ponte sul fiume Bianco, Vietri di Potenza (71), Tito (80), Potenza (88), Vaglio (94), Tolve (102), Montepeloso (126), Gravina (126, Matera (138). A questa prima ipotesi, se ne affiancarono altre che prevedevano, dopo Potenza, di seguire itinerari attraverso i comuni situati nella Valle del fiume Basento e la Valle di Vitalba (collegamento con la Via del Grano), fino a Matera. La strada veniva considerata una infrastruttura per la quale erano necessarie “poste” ove poter sostare e cambiare o far riposare i cavalli o i muli utilizzati per spostarsi. Lo stesso Galanti informava infatti la precarietà delle poste esistenti lungo la strada Consolare delle Calabrie a partire da quella di Nocera con cavalli che potevano essere cambiati ad Eboli tirando avanti “...fino ad Auletta, ch’è quanto dire per 2 poste e mezzo, si giunse ad Auletta alle 19 ore ed ivi fummo sul rischio di perderci, per essersi furiosamente staccato il bilancino destro per entrare in una taverna vicina, nell’atto che gli altri due erano in un veloce corso. La sedia miracolosamente non si rovesciò. Partimmo dall’Auletta verso le 19 ore e mezza con tre mule, le quali corsero la loro posta fino alla Sala in tre ore. La posta, dall’Auletta in poi, è peggiore della vettura...”
Oltre al Cammino di Matera (Via del Grano), la cui ultimazione del primo tratto avvenne nel 1797, la provincia di Basilicata continuava ad essere sprovvista di strade carrozzabili con ruota. L’avvenuta costruzione del Cammino di Calabria, iniziato nel 1778 e completato durante il decennio francese con la direzione dei lavori affidati all’ingegnere militare, tenente Pasquale Landi (deceduto nel 1786 e sostituito dall’ingegnere Giuseppe Tarantini), affiancato dagli ingegneri Gaetano de Tomaso e Vincenzo Scaramuzza coadiuvati a loro volta dal tavolario Gaetano de Tomaso, spinse numerosi comuni ed autorità della Provincia di Basilicata e Principato Citra a chiedere al sovrano del Regno di Napoli la costruzione del Ramo di Basilicata che dal miglio 62 da Napoli, situato sulla Strada Regia delle Calabria, lambiva Auletta, ove nel 1779 era stato completato il ponte sul Tanagro. La nuova strada, passando per Vietri di Potenza, avrebbe dovuto proseguire per Picerno, giungendo a Potenza. Si ipotizzò di raggiungere il capoluogo della Provincia, Matera attraversando i territori di Vaglio, Tolve e Irsina (Montepeloso). Successivamente però, nel 1840, si decise di seguire un tracciato più agevole in direzione di Tricarico, Grottole e Matera.
“Si diede poscia principio alle opere stradali per mettere in comunicazione Potenza con Napoli e con altre Province. La Città di Potenza e la Provincia debbono serbare grata memoria al Governo francese per la costruzione delle strade nuove, la quale era in quei tempi stimata opera ardua e difficile. Fin dal 26 Maggio 1805 l’Università di Potenza in Pubblico Parlamento deliberò di umiliare suppliche alla Maestà Sovrana (re Ferdinando) in unione di altre Università per lo prosieguo delle suddette strade, con compiacersi di permettere a questa Università insiemamente che alle altre, di costruire le medesime strade a spese proprie imperocchè la strada Napoli-Potenza era giunta al Marmo presso Vietri, e parea che non si volessero proseguire più oltre i lavori. Mentre si facevano gli studi di tale strada, ed il Comune ad affrettarne il compimento, offriva ducati tremila, ovvero chiedeva di fare il tratto da Tito a Potenza a proprie spese, il Consiglio dei Lavori Pubblici, mutando parere presceglieva la traccia da Atella per Avigliano fino a Potenza, perché opinava che questa via offrisse maggiori vantaggi per la costruzione, per l’erario e per la comunicazione colle altre Province. La Città fu giustamente sorpresa per tale nuova e strana determinazione, per la qual cosa rivalse istanze al Re, ricordando le precedenti disposizioni sovrane per la linea Vietri-Potenza, e manifestò che il Direttore delle Strade, Marchese Valva, e l’ingegnere Ponticelli per interessi privati preferissero il nuovo tracciato, pel quale, ciò nonostante, il Comune offriva anche la sua rata di 1,500 ducati. Però col tempo ambe le strade furono costruite, ed il Comune di Potenza per la sola Via Nuova da Vietri a Potenza pagò dal 1809 al 1818 ducati trentasettemila; ma il fatto dimostrò ad evidenza che questa fu di maggior vantaggio pel commercio di Potenza, che quella designata dal Valva e dal Ponticelli per Atella ed Avigliano. Questo ricordo vale a spiegare la vera causa, per cui le Vie Nuove si portarono in alcuni siti per luoghi inaccessibili ed alpestri da toccare le vette di altissime montagne!”. (Raffaele Riviello. Cronaca potentina dal 1799 al 1882, Nicola Bruno Editore, 2002).
Con decreto n.591 del 12 giugno 1809 a firma di Gioacchino Napoleone (Gioacchino Murat), visto il rapporto del ministro dell’interno, si approvavano le due tracce proposte dal direttore generale dè ponti e strade per l’apertura delle strade rotabili da Potenza, passando per sotto Picerno a Vietri, e da Potenza per Avigliano e Atella, giusto l’esibita pianta con fondo a carico dei Comuni (la città di Potenza contribuiva, secondo il decreto, con due quote) il cui intendende di Basilicata dichiarava già di aver raccolto le somme dai comuni.
Il costo che avrebbe dovuto accollarsi i comuni e i signori locali, unitamente alle difficoltà geologiche ed orografiche, frenarono però la costruzione dell’opera che veniva classificata tra quelle più importanti da completare dal momento che “nel 1815 pel suo perfezionamento non resta che compiersi il ponte sul Marmo, presso Picerno, ch’è uno dè più grandioso del Regno…per la strada da Potenza a Matera trovansi già raccolte in cassa notevoli somme, e da qui a poco vi si metterà mano…unitamente al tratto da Potenza ad Atella…la strada da Potenza ad Atena come di minore importanza sarà intrapresa, allorchè le altre dette di sopra sarebbero state condotte a termine…” (Giornale del Regno delle Due Sicilie, volume II, 4 luglio 1838).
La Strada Regia di Basilicata, che era ancora in costruzione nel 1815, avrebbe dovuto collegare il miglio 62 situato sulla Strada Regia delle Calabrie, al miglio 91 situato alle porte del nuovo capoluogo della Provincia di Basilicata, Potenza, per una lunghezza stimata di 29 miglia napoletane (pari a 53,7 chilometri circa). Il tratto di strada venne inaugurato nel 1818 a Potenza, nonostante rimanesse da costruire il nuovo ponte di Picerno (in T.Pedio, la Basilicata borbonica, Ed Osanna, Venosa, 1986. L’autore riporta il documento “L’Intendente della Provincia di Basilicata, Francesco Saverio Petroni, per l’apertura della novella strada rotobile per Vietri e Auletta, Potenza, stamperia dell’Intendenza, 1818). Il Petroni in data 3 dicembre 1817 era stato nominato intendente della Basilicata. Figura di notevole spessore amministrativo ricoprì numerosi incarichi sia nel governo borbonico e sia nel governo francese a Napoli.
Grazie all’iniziativa del “muratore” Andrea Grieco di Vietri vennero iscritti nel bilancio del comune del Melandro i fondi necessari per la custodia con un posto di guardia sul Marmo (Mario Gatto, il periscopio, rassegna di studi sulla storia di Vietri di Potenza, Centro Grafico Erreci, Anzi, 2012). Nel 1824 i lavori della Strada Regia di Basilicata erano ancora in corso, allorquando venne affidata la direzione dei lavori all’ingegnere napoletano Giuseppe Giordano (1764-1852)., divenuto ispettore generale delle Strade del Regno in sostituzione dell’ex Soprintendente Marchese di Valva.
Talvolta le difficoltà erano dovute ai contrasti sul tracciato prescelto, così come accadde Picerno dove “… la costruzione della traversa che congiunge l’abitato di Picerno alla grande strada consolare che, proveniente dalla valle del Sele, attraversa la Basilicata spingendosi verso la pianura di Metaponto, fu ostacolata da piccoli interessi locali. E ne scrive, nella sua inedita “Storia di Picerno“, Tommaso Cappiello: La traversa della grande strada Consolare a Picerno, dopo mille e mille contrasti per la direzione, erasi fissata; una tassa, un contratto eransi stabiliti, ed approvati dall’Intendente e dal Ministro. Gli Appaltatori Lazzari e Conforti la eseguivano. I contrasti per la direzione derivano dalla posizione dei molini su l’Ontrato. Lasciato il bivio, un piccolo ponte sovrasta il torrente Ontrato che, nel suo corso ripido e tumultuoso, offre alla vista un insieme di cascatelle, la prima delle quali è affiancata da due fontanelle di acqua potabile. Nei tempi lontani – ricorda il Cappiello – esistevano dei molini presso l’Ontrato per utilizzare quelle acque, altri vi erano sul Vallone del Quercio. In seguito i mulini furono distrutti o trasformati in abitazioni di contadini…ma Picerno colla vicinanza della strada Regia, colla fabbrica delle Taverne e costruzione della Traversa, si è resa commerciale”. (Giuseppina Caivano Bianchini, Picerno. Editrice Salentina, Galatina, Novembre 1977).
I lavori lungo l’itinerario, durati per decenni, si arrestavano spesso per alluvioni e smottamenti rendendo necessari interventi urgenti, come quelli necessari dal Ponte di Auletta a Vietri di Potenza (dal 1824 al 1824), per il restauro del tavolato del ponte grande di Salvitelle sul torrente Landro (dal 1823 al 1824) o arrecati alla strada da cittadini di Vietri per la costruzione di un mulino. Motivo per cui l’appaltatore Luigi Conforti era spesso costretto a richiedere modifiche ai “Patti e Condizioni” per poter restare nei costi preventivati. Queste richieste facevano lievitare i “ratei, ratizzi e reste” a carico dei comuni (Archivio di Stato di Salerno, Inventario Intendenza – Fondo Strade. Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo).
I ritardi nella costruzione del tratto di strada compreso tra il Valico di Pietrastretta e Potenza derivava anche dalla difficoltà di attraversare la Fiumara di Picerno sulla quale l’ingegnere capo del Real Corpo di Ponti e Strade, Policarpo Ponticelli redasse il relativo progetto del ponte. La cartografia storica di inizio Ottocento (cfr Rizzi Zannoni, 1808), riportava infatti un itinerario più lungo e difficoltoso che da Vietri e Salvia (oggi Savoia di Lucania) seguiva la direzione di Tito, attraversando terreni accidentati e poco praticabili con ruote, prima di innestarsi sulla vecchia strada che conduceva a Potenza. “Questo tronco di strada, iniziatosi nel 1810, fu aperto nel 1821” (Cfr Ministero dei Lavori Pubblici. Relazione sul mantenimento delle strade nazionali per l’esercizio 1 aprile 1885 – 31 marzo 1886, Editrice Eredi Botta, 1887).
L’Itinerario della Strada Regia di Basilicata
Da Auletta a Salvitelle
Superato sulla Strada Consolare delle Calabrie il ponte ricostruito nel Settecento sul torrente S. Onofrio (veniva indicato sulle carte Rizzi Zannoni tra il miglio 60 ed il 61, tra la Fontana della Regina situata al miglio 59 ed il ponte di Auletta) si raggiungeva il sito dell’ex Taverna “del Marchese” sul bivio per Auletta al miliare 62.
Attualmente la Taverna di Auletta si presenta come un rudere in cui sono visibili gli accessi al piano rialzato. Sul prospetto occidentale erano ubicate le stalle, mentre la parte superiore della struttura è crollata e risulta attualmente ricoperta da vegetazione. Un canale dal fiume Tanagro portava l’acqua direttamente all’interno dell’edificio di cui sono riportate le descrizioni dei viaggiatori stranieri che vi sostarono.
La Taverna di Auletta veniva anche indicata come “ Taverna del Marchese” (marchese Scanderberg di Auletta), documentata per la prima volta nell’apprezzo della terra di Auletta, fatto dal Regio Ingegnere e Tavolario Honofrio Zango nel 1634: “La taverna distante da questa terra da un miglio, consiste in un’entrata coverta a travi, et destro et sinistro di esso son due stalle, et cammerino per dispenza, in testa dell’intrata predetta è il padiglione per la cucina, et disopra di detta stanza sono tre altre coverte a tetti per alloggiare e riporre paglia; confina con il fiume Negro, strada pubblica et altri confini, con la commodità dell’acqua di detto fiume per servizio di essa taverna, la quale tiene molto necessità di reparazione, con la quale taverna ce va incluso con l’affitto l’orticello burgensatico, quale fu di Franceschetto Cappiello”.
La cappella adiacente, era in origine dedicata a S. Maria della Pace. La Taverna “detta del Marchese” di Auletta sulla Consolare delle Calabrie ebbe la doppia funzione sia di locanda e sia di stazione di posta, funzionante fino al 1832, anno in cui un regio decreto di Ferdinando II di Borbone istituì una nuova officina di posta, oltre il ponte di Auletta, che potesse servire anche per la corrispondenza in arrivo ed in partenza per la Basilicata, lungo l’attuale S.S. 94. L’edificio, sede della nuova stazione di posta, era quella indicata come Osteria del Pertuscio, oggi non più esistente perché abbattuta nel 1980, mentre alla Taverna del Marchese venne relegata la sola funzione di locanda per l’alloggio dei viaggiatori (Cfr L. Esposito, La Strada Regia delle Calabrie. Ricostruzione storico-cartografica dell’itinerario postale tra fine Settecento e inizio Ottocento da Napoli a Castrovillari).
La “locanda di Auletta” venne disegnata prima del ponte sul fiume Tanagro in uno schizzo realizzato dal geologo Robert Mallét durante la sua visita nei territori del terremoto del 1857 (abbiamo consultato l’opera di Mallét in inglese dal titolo Great Neapolitan Earthquake of 1857, Vol. I – II, riproposta gratuitamente, assieme alle foto ed i disegni, su Google Libri da noi ripresi al solo scopo divulgativo non avente finalità di lucro).
Il geologo irlandese giunse ad Auletta il 13 e 14 Febbraio 1858, prima di recarsi, il 17 Febbraio a Molterno e in Val d’Agri, per poi proseguire il 21 Febbraio verso Vietri di Potenza (sulle date dell’itinerario esistono versioni discordanti nei vari autori che lo hanno descritto). “…Auletta è un paesino medievale fortificato nella metà del XVI secolo, oggi solo il castello è rimasto a testimoniare il passato”. Dopo aver valutato i danni del paese, descritto le abitazioni e le direttrici dell’onda sismica che fece 150 morti ad Auletta, Mallèt proseguì verso Villa Carusso (Caruso) lungo la strada regia di Basilicata per Salvitelle e Vietri.
Qualche anno prima dell’arrivo del Mallét, ad Auletta giunse in carrozza proveniente da Vietri percorrendo la Strada Regia, il viaggiatore tedesco Karl Wilhelm Schnars nel mese di Novembre 1856 che evitò di pernottare presso “l’osteria sulla consolare di pessima reputazione“, preferendo invece quella molto più comoda e pulita della vicina Pertosa, vicina alla Grotta di S.Michele Arcangelo, purtuttavia apprezzando la “vegetazione rigogliosa di Auletta…con il Tanagro le cui rive sono ricoperte da fiori odorosi” in primavera.
Nel loro viaggio botanico, venti anni prima di Mallèt, giunsero ad Auletta Michele Tenore e Giuseppe Gussone (Cfr Memorie sulle peregrinazioni eseguite dai soci ordinari signori M. Tenore e G. Gussone lette alla reale Accademia delle Scienze nel 1834 -1838. Napoli, Stamperia Reale, 1848) di ritorno da Potenza, giunsero ad Auletta “…dieci miglia contano da Vietri al ponte di Auletta sul Tanagro, cioè dal 72° al 62° dove la strada che vi arriva da Salerno si divide tra quella che procede alla volta delle Calabrie e l’altra che ne svolta per menare a Potenza…”.
Un quadro all’epoca del funzionamento della Taverna – Osteria di Auletta, è fornito dal viaggiatore Cesare Malpica, giuntovi nell’estate (mese di giugno) del 1847 proveniente da Eboli. “Una casaccia, che fu bianca, a ritta; un mulino, a manca; un fiume che spumeggia solto le arcate d’un ponte, nel mezzo; un noce colossale, a manca del ponte; qualche orti lunghesso il fiume a manca, lunghesso la base de monti a ritta; a fronte, tra folti oliveti Aulella, lungi dalla strada un due trar d’archibuso — porci, vetturini, e accatoni per compagnia: ecco l’Osteria d’Aulelta. Qui sei balestrato ad albergar tutta una notte infino al giorno appresso. Non descrivo l’interno per non atterrirvi. Solo domando umilmente: se il viaggiatore, uomo, appo noi, in cento miglia di via, non trova ove posar le ossa infrante, se non decentemente, almeno cristianamente, di chi è la colpa? Ingojo un altro commento. Dunque due ore di stazione, e poi via. Intanto poniamo a profitto il riposo”. Malpica scorse uno dei due ragazzi intento a leggere il Decamerone di Boccaccio nella versione in latino, mentre gli osti, una coppia, era intenta a preparare il pranzo pulendo ravanelli “nel giardino che cinge l’osteria, sotto un pergolato, siede il giardiniere con sua moglie e due figlioli… co’ suoi dintorni quel bricconcello si ostina a sfogliarne le pagine da mane a sera ! .. fatica cattivo mobile, o ch’ io ti scaccio di casa. Così dicendo gli gli gettò a piedi una quantità di ravanelli, e scagliò nuovamenlc il libro su la testa. Povero Boccaccio ! Vidi che era’ inutile ogni difesa e mi tacqui, promettendo di mandare a quel poverello un volume che potesse intendere… Il fiume che veggio si chiama il Tanagro . Nasce al mezzodì del monte Sirino . E quell’Auletta che appare si lurida ha pure i suoi fasti da raccontarvi . Vi soggiornò Carlo V, reduce dall’ impresa d’Africa, dopo averla presa. Fa patria di Carlo Rota, scrittore, e professore di dritto. La via che mena a Vietri è amena anzi che no. Corre fra’ monti, e sovra questi a quando a quando vedi qualche paesello. Uno fra gli altri trasse la mia attenzione. Immaginate un centinajo di case poste in cima a una rupe nuda, scheggiata, altissima, e tagliata a picco, una rupe aſfalto simile alla Tarpea. Le diresti case di Aquile non di uomini. Si chiama Romagnano. Le madri fino a una certa età sono obbligale a tener legati con cuoi i loro figli, perchè non precipitino di lassù. E porvi stanno !
Il ponte sul Tanagro sostituì quello denominato della Difesa o dell’Armo di epoca romana (II secolo a.C.) costruito in concomitanza con costruzione della via Annia, più comunemente conosciuta come via Popilia che, da Capua attraversava la provincia di Salerno passando per Nuceria, Salernum, Picentia, Eburum, Acerronia (nei pressi della contrata Cerreta di Auletta) Forum Populi per raggiungere Reggio Calabria. Dopo il miglio 62 della Strada Regia delle Calabria, la Via Ferdinanda o Strada Regia di Basilicata (attuale S.S.94), iniziava da questo punto in direzione Vietri (il comune lucano faceva parte del Principato Citra, passando alla Basilicata dopo l’arrivo dei Francesi nel Regno di Napoli).
Auletta, anche grazie alla costruzione della nuova strada consolare, rafforzò il suo ruolo strategico. A Catrum Olida (XII secolo, Auletta) era già presente il Palatium, che nel VII-VIII secolo i Longobardi avevano ampliato e fortificato con una costruzione, sita alla sommità della collina, che era stata forse in periodo romano una villa rustica già utilizzata dai Bizantini nella guerra contro i Goti con una cinta fortificata. Nel 1283 il castello aveva ospitato il principe Carlo lo Zoppo, il futuro Re Carlo II d’Angiò e nel 1444 il re Alfonso d’Aragona che si fermò ad Auletta ospite nel Castello dei Gesualdo, per poi trasferirsi il giorno 24 alla Certosa di Padula. Anche il Re Ferdinando I d’Aragona, come il padre, il 21 novembre del 1461 fu ospite nel castello di Auletta di ritorno dalla Calabria dove era sceso per reprimere la rivolta baronale e da qui scrisse a Francesco Sforza, informandolo che aveva terminato le operazioni belliche.
Il 12 ottobre del 1487 il Principe Alfonso d’Aragona, il futuro Re, partito da Teggiano, fu ospite di Luigi Gesualdo ad Auletta. Il castello dei Gesualdo ospitò l’Imperatore Carlo V il 17 novembre del 1535, di ritorno dalla spedizione in Tunisia. Nel Seicento il castello venne quasi abbandonato e i vari eventi sismici ne danneggiarono la struttura, tanto che Onofrio Zango, nell’apprezzo dei beni feudali, scrisse che “…la maggior parte di esso mi-naccia ruina per essere assai antico e disabitato“. I Gesualdo erano diventati signori di nuovi importanti feudi ed avevano acquisito il titolo di Principi di Venosa. Pertanto, avevano trasferito altrove i loro interessi e le loro attenzioni. I nuovi feudatari di Auletta, i Vitilio, che avevano comprato il feudo dal Principe Nicola Ludovisi, ristrutturarono il palazzo che passò, dopo l’eversione della feudalità, alla famiglia Scanderberg. Il marchese Francesco Castriota Scanderberg ospitò nel 1934 e nel 1936 il Principe Umberto di Savoia con la sua consorte la principessa Maria Josè. Attualmente il castello è di proprietà della famiglia Maioli Castriota Scanderberg. Il 30 luglio 1861, ad Auletta, fu compiuta una strage anche di civili, tra i quali il parroco (i morti furono in numero di 45, secondo altre fonti 130) ad opera del Regio Esercito formato da bersaglieri e da una Legione ungherese per combattere contro fedeli ai Borboni. 200 abitanti di Auletta vennero arrestati, di cui molti tradotti nel carcere di Salerno con l’accusa di rivolta e cospirazione (Cfr F. Molfese. Storia del brigantaggio dopo l’Unità. Feltrinelli, 1979).
Il 5 Settembre 1860 di passaggio da Auletta giunse il generale Giuseppe Garibaldi in viaggio dalla Calabria verso Napoli. Ripartì il 6 Settembre da Auletta alla volta di Salerno, giungendo a Napoli il 7 Settembre 1860, accolto in trionfo.
Da Auletta a Salvitelle
Superata alla periferia Auletta, la Strada Regia di Basilicata giungeva alla Cappella San Donato (San Donato di Ripacandida che giunse e visse ad Auletta. I due comuni sono gemellati). L’ex Grancia dei monaci benedettini, Casino Famiglia Caruso ed ex Taverna, in origine era di proprietà del monaci benedettini della Badia di Cava e veniva utilizzata come residenza e grancia, dalla quale i monaci ricavano le decime (1/10 del raccolto). L’edificio probabilmente venne riedificato nel 1655 dai monaci Francescani (sul portone d’ingresso è presente l’effige dell’ordine). Dopo l’abolizione dei beni delle Congregazioni religiose agli inizi del XIX secolo, la casa fortificata e le terre circostanti furono acqui-state dalla famiglia Caruso di Auletta. Durante il viaggio nei luoghi colpiti dal terremoto del 1857,
il geologo Robert Mallét ne descrisse nel 1858 i danni subiti “una grande casa padronale …con quattro torri agli angoli e una specie di portico sporgente che copre sia l’entrata principale che quella secondaria”. Le foto del francese Bernaud oppure forse del fotografo Grillèt ingaggiato dal Mallét a Napoli, i disegni riportati nel diario di viaggio riprodotti dall’editore Vincent Brooks di Londra, mostrano i dettagli dell’edificio danneggiato dal sisma con il suo ingresso monumentale (della port chochere oggi sono presenti solo i ruderi). L’edificio, fu rimaneggiato nei secoli successivi e i giovani esemplari di olivi mostrati nella fotografia ottocentesca oggi sono divenuti secolari.
Durante l’ultimo conflitto mondiale, l’edificio fu requisito dal Tower Major di Pontecagnano per le truppe alleate che lo utilizzarono come sede del comando, riportando danni (furono richiesti ed ottenuti durante la ricostruzione i risarcimenti). La struttura attualmente risulta chiusa e non utilizzata. L’edificio si articola su due livelli, con torri angolari e feritoie e si collaca in un contesto paesaggistico di notevole pregio. L’ingresso principale è situato sul lato meridionale e presente sulla chiave di volta il simbolo dei monaci di S. Francesco d’Assisi e la data (A.D. 1655). L’originaria struttura è stata rimaneggiata dopo il terremoto del 1857 e negli anni successivi, così come testimoniano le foto del 1858 e gli schizzi realizzati dal Mallét. Non più presente l’ingresso ad arco nella proprietà, in origine circondata da un muro di cinta in pietra, con il porticolo ad archi situato al piano superiore, oggi chiuso da finestre. L’oliveto era la coltura prevalente ivi praticata. Ulivi secolari erano già presenti all’epoca del viaggio di Mallét, ed oggi si presentano come piantagione secolare da salvaguardare e testimonianza dell’attività agricola svolta nel luogo.
Durante il periodo romano, l’area era già uno snodo viario tra il Vallo di Diano e il ponte sul Tanagro (Via Popilia) e l’interno della regione, verso la città-colonia romana di Potentia e in direzione di Campi Veteres (Vietri di Potenza), dove venne combattuta nel 212 a.C. la battaglia fra l’esercito cartaginese di Annibale, condotto da Magone il Sannita e quello romano, condotto dal pro-console Tiberio Sempronio Gracco, dove quest’ultimo perse la vita tradito dai capi lucani che combattevano nelle fila dell’esercito romano.
La Taverna Romanzi prende il nome dalla famiglia di possidenti di Salvitelle, ove è presente un palazzo signorile che reca sulla facciata le stesse decorazioni della taverna situata sulla Strada Regia. Nei pressi della Taverna Romanzi è situata la piccola cappella, attualmente si trova in grave stato di conservazione e non più aperta al culto. Forse in origine era denominata Cappella S. Anna. Reca incisa sul piccolo portale d’ingresso in pietra la data 1735. All’interno sono visibili suppellettili e un piccolo altare in pietra, sormontato da due affreschi bordati da cornici in stucco.
Provenienti da Potenza, giunsero nelle Gole di Salvitelle i botanici Tenore e Gussone, dopo aver superato il ponte in tavole sul fiume Landro, tra “…folti boschi di carpini e di aceri, finchè si raggiunge il versante meridionale dè monti che guardano la valle del Tanagro, dove danno luogo ad ameni colli rivestiti di ulivi, che si continuano fino ad Auletta” occasione per ricordare “il chiarissimo professore Vincenzo Briganti (Salvitelle 1766 – Napoli 1836) il cui nome di Salvi-tella è stato da quel valoroso consacrato né fasti della scienza per rammentare le belle piante di cui egli ha arricchito il censo della Flora Napolitana”. Salvitelle deriverebbe il suo nome da Silvae tellus (terra di selve o delle selve oppure piccole selve). Questo tratto della Strada Regia, potrebbe seguire l’itinerario del “ramulus” per “Mons Balabo” della Tabula Peutingeriana, localmente chiamato “strada romana”.
La Taverna del Barone è ancora esistente lungo la strada che da Auletta conduce, attraverso il territorio di Salvitelle, a ponte Landro e Vietri di Potenza. La Taverna del Barone ha dato il nome anche alla contrada. La struttura, si sviluppa su due livelli e presenta al livello stradale l’ingresso alle stanze disposte al primo piano e un locale al piano terra, forse adibito in origine a stalla. Sulla parete è presente una edicola affrescata con l’immagine della Madonna e Angeli, la cui nicchia poggia sun davanzale in pietra lavorata.
Da Salvitelle a Vietri
Il ponte sul Fiume Landro (anche denominato nel suo basso corso Fiume Bianco) si trova sul confine tra le Province di Salerno (Salvitelle) e Potenza (Vietri di Potenza). Il ponte è in pietra e presenta nel primo tratto una sezione stradale ridotta. Il termine “Landro” deriva dall’oleandro, presente nell’area, dal quale si ricavava un olio che serviva prevalentemente per l’illuminazione, anche se velenoso (Plinio il vecchio riferisce del veleno estratto dai fiori, utilizzato anche per rituali magici).
La coltura dell’ulivo rappresentava (e rappresenta) l’attività prevalente del territorio di Vietri di Potenza e anche quello limitrofo del Vallo di Diano (Principato Citra e Basilicata). Fu introdotta sin dall’antichità (torchi e dolia romani) e valorizzata dalla presenza di conventi, grancie e feudi che traevano profitto dalla coltivazione dell’ulivo e vendita dell’olio, costituendo assieme alla vite, fonte di reddito anche per la popolazione locale. L’olio estratto servi-va per l’illuminazione (olio lampante), per l’alimentazione e per l’industria tessile, costituendo anche la base per la farmaceutica dei monaci presso i conventi. Le fonti archivistiche della Certosa di Padula e di quelle della Badia di Cava evidenziano la diffusione degli uliveti i quali venivano anche concessi in affitto a coloni locali, dai quali si ricavava la “decima”, ovvero la tassa in natura che rappresentava la decima parte del raccolto. Nelle Rationes decimarum Italiae della Badia di Cava viene testimoniato come l’abbandono dei casali medievali determinò la perdita di produzione di olio, che si concentrò successivamente presso grancie e conventi, prevalentemente dediti alla cura dell’orto (ovvero coltura mista vigneto-uliveto-erbe commestibili).
Prima di giungere a Vietri di Potenza, è la Cappella votiva dedicata alla Madonna da Michele Guercio A.D. 1947. A Vietri di Potenza la Strada Regia di Basilicata passava per l’antico Ospedale, tra i più antichi della Basilicata. Per lascito testamentario, Don Pasquale Grassibelli, possidente appartenente alla ricca famiglia originaria di Salvitelle, nel 1798, dichiarava eredi le sue quattro sorelle. I beni di D. Pasquale Grassibelli consistevano in denaro, terreni ed edifici, tra i quali il palazzo ove ha sede l’Ospedale da lui fondato, situato lungo la Strada Regia di Basilicata. Altri beni riguardavano i due Monti Frumentari ed altri immobili in Vietri e Salvitelle. Dopo una lite sull’eredità tra sua moglie e le sorelle prima, e con gli eredi di queste ultime, dopo, i beni del defunto vennero sequestrati dal Ministro dell’Interno per insolvenza dei debiti per i due Monti Frumentari. I beni Grassibelli, tra i quali l’Ospedale, il magazzino del grano, un trappeto, vigne, cantine e la Taverna contigua al palazzo che è anche quartiere dei Militari oltre che stazione di Posta e cambio dei cavalli, (oggi non più esistente – vedi cartolina datata 1930) passarono di mano, fin quando nel 1832 il palazzo Grassi Belli venne ufficialmente riconosciuto come Ospedale con 13 posti letto in cui operavano sanitari provenienti anche da Napoli e Salerno e personale infermieristico ed ausiliario. Dal 1912 venne gestito da una Congregazione di Carità, di cui facevano parte cittadini di Vietri e figure istituzionali pubbliche. L’Ospedale di Vietri di Potenza, nel periodo fascista, attraversò una crisi eco-nomica che si protrasse fino al 1951, epoca in cui divenne prima ambulatorio medico per i poveri, per poi essere definitivamente soppresso negli anni sessanta del Novecento assieme alle istituzioni di carità.
Oggi il palazzo è in parte di proprietà privata e in parte del Comune di Vietri di Potenza, destinato ad attività sociali e culturali. (sulle vicende dell’Ospedale di Vietri di Potenza leggasi di A. Capano, Vietri di Potenza e il suo territorio, editrice C.G. M. Agropoli – SA, anno 2000. M. Gatto, il Periscopio, rassegna di studi sulla storia di Vietri di Potenza, edizione Centro Grafico Castrignano, Anzi- PZ, 2012).
La Chiesa dell’Annunziata (XVII sec.) si trova lungo la Via Ferdinanda o Strada Regia di Basilicata, all’interno del centro abitato di Vietri di Potenza. Attualmente l’edificio è chiuso. Oltre al soffitto ligneo decorato, sulla parete di destra è visibile il ciclo di affreschi datati 1719 sulla vita di Cristo e il Mistero del Rosario. Altri dipinti Settecenteschi decorano gli altari tra i quali quello centrale di notevole pregio. Una statua di S.Antonio, risalente alla prima metà del 700, sormonta l’altare dedicato al Santo di Padova. Altri dipinti sono attribuiti a pittori noti e non noti, vissuti tra il XVII e il XVIII secolo. All’esterno, sul lato rivolto alla Strada, nella lunetta è visibile luna scena affrescata raffigurante l’Annunciazione (XVIII sec.) ed uno stemma in pietra, emblema in pietra del Comune di Vietri (l’albero che sormonta centralmente tre colline).
A Vietri di Potenza, giunse in carrozza proveniente da Picerno, il viaggiatore tedesco Karl Wilhelm Schnars la domenica del 29 Novembre 1856, percorrendo in carrozza la Strada Regia che “…da Picerno conduce, passando per una zona desolata, nuovamente verso l’alto attraverso un altopiano, dove imperversano violenti uragani…tutto si discosta dal tipico paesaggio italiano, fino a quando non si raggiunge una ridente vallata, riccamente ricoperta su ambedue i lati da querce, e la strada, snodandosi in incantevoli tornanti, porta verso Vietri che occupa una delle più belle e magnifiche posizioni di tutta la Basilicata…dove convergono tre strette vallate montane sconvolte da torrenti irruenti (ndr, la fiumara del Torno e quella di Vietri), le cui gole e pareti mostrano una lussureggiante vegetazione che va da viti ed olivi a querce e faggi, sulle ripide alture prospicienti ci sono le rovine di castelli e pittoreschi villaggi che vi si abbarbicano”. Schnars si soffermò sulla “…veduta dal vicino convento dei cappuccini sorprendemente bella; sulle vette a cima arrotondata dominano le alte montagne del Principato soprattutto quelle dell’Alburno simili ad un muro insormontabile; inoltre, residui di una cresta montuosa gigantesca frantumatasi durante terribili terremoti, si erigono ovunque dal verde delle querce, vette arrotondate, denti di roccia e guglie di monti che incatenano gli sguardi in contrasti meravigliosi”. Questi paesaggi – annotava il viaggiatore – potrebbero offrire ai pittori “splendidi quadri paesaggistici”, dove alcuni “archeologi pongono i campi veteres di Livio dove il proconsole Tiberio Sempronio Gracco, tradito dal pretore lucano Flavio, divenne vittima della sua avventata fiducia“. Giunto a Vietri, dopo osservato i costumi locali e le donne (per niente belle), dopo aver assistito ad una processione “fra lamenti assordanti, e rosari tra le mani”, il viaggiatore approdò in una osteria “dove regnava gran chiasso, molta sporcizia e grande puzza”. “…mi venne apparecchiata la tavola in una stanza appartata dove mi vennero approntate, come avevo richiesto, le stesse pietanze che erano state servite ai facchini, vetturini e gendarmi nella sala posta a pian terreno…il vino era anche qui eccellente ed io mi sentii abbastanza a mio agio fino a quando l’oste, un individuo con una perfida fisionomia da ladro, mi presentò un conto sfacciatissimo, impedendomi con l’aiuto di ogni specie di canaglia di partire fino a quando non avessi pagato”. Schnars fu costretto a far avvertire dal suo servitore il giudice del posto, ma fu salvato dai gendarmi che intervennero facendo credere all’oste che “fossi fratello o cugino del ministro della polizia, fornito di carte e raccomandazioni innipotenti”.
A Vietri giunse nella primavera-estate del 1847 anche Cesare Malpica, in viaggio lungo la Strada Regia di Basilicata nell’estate del 1847. “…Vietri facea parte del Principato Citeriore . Non fa molt’anni fu aggregato alla Basilicata. E per il tipo della gente è diverso dal Lucano, diversi son gli usi, e i costumi . Senti come quì la gente tenga del macigno ancora, e un sentimento di tristezza l’invade, specialmenle quando come me bai fame e sonno, e non vedi ove potrai soddisfare questi supremi bisogni della vita. V’ha bene un cosi dello albergo al limitar dell’abitato; ma Dio pe scampi ogni galantuomo ! Dunque starommi in cittadina ! dissi rassegnato . Un po di pane e un’arancia, sarà il mio pasto. Allora un garbato giovane si offrì a darmi ricovero. Accettai . Oh se non dovessi rispettar la casa ospitale ! Vi descriverei che cosa s’intenda per casa in certi luoghi. La povera moglie dell’ospite non s’aspettava la visita d’un ignoto, e per giunta con barba. Quindi in breve ogni cosa andò sottosopra; e invano procurai d’impedire tanta rovina. Dopo, un ora mi fu indicata la stanza da letto. Felice notte … ed entrai . Ma rínculai spaventato ! Al lume fioco d’una lucerna posata per lerra, vidi nel mezzo, proprio nel mezzo, un letto … ma per un morto Un letto colla sua coltre funerea di color rosso a ricamo d’argento, con a capo due guanciali enormi. Ma fu breve il mio terrore Balordo che sono, dissi, forse qui si usa di onorare i vivi con ciò che serve ad onorare i morti. È un uso come ogn’altro. Questo è il fac simile del letto che ebbi a Ceprano nel mio primo viaggio a Roma. Animo adunque. Coltre di morti o di vivi torna allo stesso. Così dicendo, e falto il pasto degno della Tebaide, m’accostai per coricarmi. Abi ! una cosa lunga lunga stava sotto la coltre … e tosto la fantasia fece di quella cosa un cadavere. Pur se m’ingannassi ! Accertiamoci . E con mano sollecita tirai giù coltre e lenzuola, e vidi un lungo cuscino posto nel bel mezzo del materasso per celarne cerle larghe ferite. Postomi a giacere comincia ciò per me un passatempo di nuovo genere. A seconda d’ogni picciol moto della persona il letto ondeggiava verso i quattro punti cardinali; ad ogni urto del capo i guanciali cadean per terra; quel benedetto cuscino posto per lungo facea di quà e di là due piani inclinati; tentando di adagiarmi, rotolava; aggiungi certi topi che si dispulavano il premio della corsa, gli scellerati ! i mietitori che facean baccano su la via, cbiamandosi a vicenda per andare in Puglia; un impertinente che accompagnan dosi col mandolino assassinava con voce nasale il povero Donizetti; un orologio che ad ogni quarto d’ora ti regalava una scampanata; e poi lo stomaco vuolo; e poi i pensieri di quella coltre; è saprai che quella notte fa perrire la notte dell’inferno interminabile. Quando alfine per un pertugio delle imposte un picciol raggio si fu messo in quella tomba, balzai giù, e dopo un venti minuli mi trovai correndo tra monte, e monte . Ti lascio dunque o Vietri. Tu tiri il nome forse da’ Campi Veteres di cui parla Livio; i campi ove morì Sempronio Gracco ad cumpos qui veteres vocantur . Ma le delizie che in te trovano i viaggiatori formano la vera lua gloria. In alto, una rupe sporgente , ispida, c di sinistro aspetto da al luogo il nome di marmo. Vi giungo allo spunlar dell’alba. È luogo infamemente famoso nella storia del brigantaggio, che aflisse il Regno ne’ primi anni della conquista Francese. Scarola, colle sue orde crudeli qui avea sede. Il tristo avea fanti, cavalli, tamburo, e bandiera. Scorrazzava alla libera ove meglio gli paresse; uccidea; empiva la Basilicata di sangue, e di terrore; e poi da queslo silo inaccessibile slidava uomini e Dei. Un di il Generale de Gams passava…”. Malpica, nel suo diario di viaggio, descrisse un episodio verificatosi nel 1810 che venne riportato nella cronaca a Napoli con grande risalto durante il periodo francese. Pasquale Lisanti di Muro, detto Quaglierella, con la sua banda assaltò la carrozza e la scorta armata nella quale viaggiava il comandante francese Luigi de Gambs e della sua compagna.
L’epitaffio della “Strada Ferdinanda” a Vietri di Potenza
L’epitaffio della “Strada Ferdinanda” di Vietri di Potenza, così come viene riportato su una targa apposta di recente, fu fatto costruire, secondo l’Amministrazione Comunale, nel 1850 per riconoscenza verso S.M. Ferdinando II, per aver fatto eseguire i lavori di rettifica sulla strada consolare, nel tratto che va dalla Taverna Grassi Belli alla pubblica piazza.
L’epigrafe originaria apposta sull’epitaffio fu cancellata durante il Risorgimento, prima dell’Unità d’Italia. Resta visibile la corona scolpita che la sormontava, mentre il testo inaugurale con la dedica a Re Ferdinando II non è più leggibile. Con la Legge 1 maggio 1816, Vietri, precedentemente incluso nel Principato Citra, entrò a far parte della Basilicata. Il monumento venne descritto dal geologo irlandese Robert Mallét che il 21 Febbraio 1858 si recò di passaggio a Vietri di Potenza ospitato a seguito del terremoto dell’anno precedente che colpì la Basilicata e la Campania, annotando sul suo diario i calcoli effettuati sullo spostamento dei blocchi di pietra dell’epitaffio a causa dell’onda sismica sisma e redigendo un disegno quotato. Il monumento fu ritratto dal fotografo francese Grillèt, incaricato dallo stesso Mallet di documentare i danni procurati dal terremoto. Poco distante è stuata la fontana storica e più oltre la Chiesa di San Nicola di Mira (inizio XIV – XVIII secolo) mostra sulla facciata principale una lapide in ricordo del passaggio di papa Innocenzo II nel 1137 da Vietri diretto a Potenza e a Lagopesole ove s’incontrò con l’imperatore Lotario III giunto a Lagopesole e a Melfi, dove si tenne un Concilio. E’ dedicata al Patrono Sant’Anselmo.
Si presenta all’esterno con una facciata barocco ricca di decorazioni e affreschi purtroppo in cattivo stato di conservazione. L’interno della chiesa è a tre navate con abside, decorato con affreschi del Settecento e col bassorilievo di una Colomba, dove è collocato anche il coro del XIX secolo. Nelle navate laterali, costituite ciascuna di tre cappelle, sono collocati al-tari barocchi in marmi policromi e muratura e sculture del Settecento; nella navata destra si trova, su un meraviglioso altare in pietra e in marmi poli-cromi a tarsia, il busto d’argento di S. Anselmo, patrono del paese e il gruppo scultoreo: Crocifisso e Maria Addolorata. La navata sinistra custo-disce sculture del Settecento, tra cui Madonna Immacolata (collocata sopra il bellissimo altare in pietra e marmi policromi a tarsia) e S. Felice, S. Emidio e S. Ciro (sull’altare di stucco). L’interno è riccamente decorato in stucco e la volta della navata centrale presenta una serie di dipinti ad olio su tela della seconda metà del XVIII secolo, composta da grandi medaglioni mistilinei e da ovali più piccoli. Sull’ingresso è collocata la cantoria in legno con un organo del 1700 intagliato e dorato. Esternamente sul lato ovest trova collocazione il campanile in stile romanico con due livelli di finestre monofore sui quattro lati, chiuso da una cuspide conica con una bella copertura in maiolica bicroma. Poco distanti è la Chiesa S. Giuseppe e Anime del Purgatorio. Il Convento di San Francesco di Vietri e l’annessa chiesa dei Cappuccini risale al 1652. Il vecchio convento, fatto erigere nel 1562 da D. Carlo De Guevara, conte di Potenza e Principe di Migliano. Era precedentemente ubicato in luogo malsano lungo il fiume a valle del paese. Venne demolito, nonostante gli ampliamenti voluti da duca D. Fabrizio de Sangro nel 1587 e nonostante le opposizioni dei vietresi e degli stessi frati. Nel 1811, nonostante la circolare napoleonica non ne preve-desse la chiusura, il complesso monastico venne abbandonato dai frati, risultando nel 1827 adibito a cimitero, prima che fosse ricostituita la comu-nità dei religiosi. Comprende locali adibiti a depositi, cantine e servizi a piano terra, ove è presente il chiostro. La chiesa è al piano rialzato mentre, al piano superiore, vi sono e celle dei frati. La chiesa, a navata unica, com-prende anche due cappelle. con altari in marmi policromi del XIX sec. Di interesse un quadro attribuito ad Antonio Stabile della seconda metà del 500 (Deposizione dalla Croce) con altri dipinti della stessa epoca. La tradizione attribuirebbe un crocifisso in cartapesta affisso nella cappella laterale all’altare principale a San Gerardo Maiella. Il ruolo strategico di Vietri è testimoniato da altre chiese e conventi, presso i quali era fiorente l’attività olearia. L’ex Grancia della Certosa di Padula oggi denominata Palazzo Indiveri si presenta in buono stato di conservazione, faceva parte dei beni posseduti a Vietri di Potenza, dalla Certosa di Padula (L’immobile e la chiesa sono vincolati dal Ministero dei BB.AA.CC. n. 195 del 30/8/2006) ed è limitrofo al Convento dei Frati Minori Cappuccini.
La grancia certosina rappresentava, oltre che una casa religiosa, anche unità produttiva della Certosa di Padula ove veniva coltivata la vite e l’ulivo. Nella “Cronistoria Conzana” redatta tra il 1689 e il 1691, Donatoantonio Castellaro, vicario generale della Diocesi di Conza, annovera il bene tra quelli elencati nella relazione dedicata all’arcivescovo D.Gaetano Caracciolo.L’ex grancia denominata “Madonna del Carpine” era, “habitata da Padre Barbetta“, una monaco granciere che raccoglieva le decime (de-cima parte dei raccolti effettuati dai coloni). Nel 1838 ne fu proprietario Gerardo Renzi, a seguito delle leggi francesi di abolizione dei beni degli ordini religiosi, così come risulta da una corrispondenza tra il nuovo pro-prietario e l’Intendenza di Basilicata circa la controversia con i Cappuccini.
Nel 1849, così come mostra una iscrizione sull’ingresso dell’immobile, fu acquistato dall’attuale famiglia proprietaria Indiveri. La cappella era in passato un beneficio regio che nel 1783 fu conferito con Regio Decreto Regio Decreto a Diodato Comez-Cardosa, Vescovo di Cassano allo Jonio. L’immobile subì danni dal terremoto del 1857, così come mostra una scrit-ta all’ingresso della cappella che reca la data del terremoto. La struttura è caratterizzata da una torre colombaia angolare, da un orto giardino interno e un pozzo in pietra. con alcune stanze interne con affreschi. Superato il miliare del miglio 72, nei pressi di Vietri lungo la strada oggi denominata Via Vittorio Emanuele, era presente il Mulino sulla Fiumara Vietri.
Dal quadro di unione catastale è visibile la strada di accesso dalla sovrastante Strada Regia di Basilicata, l’edificio del mulino, e il canale dell’adduzione dell’acqua che proviene dal mulino situato a monte. Poco distante era presente un secondo mulino. E’ visibile nel catastale l’edificio del mulino e l’opera di presa del mulino il cui scarico a sua volta alimentava un secondo mulino più a valle. Il miglio 73 è situato sulla strada che costeggia il Vallone dell’alto corso della Fiumarella di Vietri di Potenza incassata tra ripi-de pareti di roccia e fitti boschi che giungono fino alla base del vallone. Il miliare del miglio 74, si trova su un tratto di strada, oggi abbandonato della S.P. 94, che ripercorre un tratto rimasto integro della vecchia Strada Regia di Basilicata. Esso è oggi franato nella scarpata sottostante. Infatti nel sopralluogo del 4 Settembre 2021 è stato rinvenuto nella scarpata sottostante, bloccato da alcuni alberi. Poco distante è stata rinvenuta la Villa Romana di Pietrastretta (II sec. a.C.) e una necropoli risalente ad epoche pre-romane oggetto di vincolo archeologico da parte della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Basilicata. La villa romana si trovava su un antica via di penetrazione che attraverso il Varco di Pietrastretta, dai Campi Veteres raggiungeva Potentia.
Da Vietri a Picerno
La strada Regia ha conservato intatti i miliari dei miglia 75, 76, 78 e 79 nel tratto compreso tra Vietri e il Ponte di Picerno. Prima di giungere a Picerno si superava il valico del Monte Marmo, ove avvenne l’assalto del brigante Quagliarella alla diligenza dell’ufficiale francese De Gambs, che da Vietri si stava recando a Potenza in compagnia di una donna. Nel bosco del Marmo, l’ufficiale venne ucciso a soli 26 anni, mentre la donna che viaggiava con lui subì uno stupro da parte dei briganti. Il terribile fatto di sangue venne riportato dalle cronache dell’epoca a Napoli. Questo episodio, riportato anche dal narratore Alexandre Dumas, ebbe vasta eco. Venne utilizzato per la repressione del brigantaggio. Charles Antoine Manhès fu inviato con le sue truppe a Potenza nel 1811 per reprimere le bande armate nell’ex regno borbonico. Il capo banda Quagliarella fu costretto a scappare in Puglia e Molise. Sulla sua testa venne messa una taglia di mille ducati. Venne ucciso ad Ascoli Satriano il 6 giugno 1811. Le cronache riportarono come l’uccisione avvenne ad opera di mietitori di Ricigliano che lavoravano in quelle terre, ma probabilmente tale versione fu resa per opportunità politica dal governo francese. Il capo banda Pasquale Lisanti portava ancora addosso la divisa dell’ex ufficiale francese che, ripulita, venne inviata al padre generale di Luigi De Gambs, assieme al riconoscimento conferito di di Commendatore dell’Ordine delle Due Sicilie.
Il Ponte di Picerno
Le difficoltà di attraversare la Fiumara di Picerno sull’affluente Torrente Marmo, erano dovute principalmente alle caratteristiche dei due corsi d’acqua, impetuosi in alcuni periodi dell’anno. Per realizzare il ponte in pietra fu necessario il lavoro di maestranze e tecnici durato ben 4 anni, dal 1822 al 1826, “aprendosi così il passaggio alle carrozze“. Il progetto venne probabilmente redatto dall’ingegnere Policarpo Ponticelli, ispettore capo del Real Corpo di Ponti e Strade.
Il ponte è citato nel diario di viaggio effettuato intorno al 1856 dal viaggiatore e commerciante di zucchero di Amburgo K.W. Schnars e dal letterato e dal giornalista nativo di Capua, Cesare Malpica che percorse la Strada Regia di Basilicata nel 1847.
Il viaggiatore tedesco Schnars nel mese di novembre 1856, dopo aver rischiato di dormire all’agghiaccio a Potenza “nonostante sei lettere di presentazione” scriverà nel diario, e visitato i paesi di Oppido e Acerenza, attraversò Tolve e Vaglio per riprendere il viaggio da Potenza verso Picerno, lungo la Strada Regia di Basilicata: “…celermente scesi da Potenza a Picerno. Fino a qui la zona è spoglia e desolata; però Picerno, costruita fino al centro di una collina a terrazze, offre i pendii laterali e le lontane montagne boscose ad ovest una vista gradevolissima”. Karl Wilhelm Schanars giunse infine sul ponte di Picerno: “…un massiccio ponte in pietra, opera dell’attuale re (Cfr Ferdinando II) che ha beneficiato la Basilicata di alcune strade nuove; il ponte è sopra un ruscello montano, le cui acque confluiscono nel Sele. Da questo ponte la veduta è bellissima. La collina su cui è posta Picerno è una propaggine del monte Marmo che s’innalza a breve distanza; fornisce un marmo bianco con venature grigio-gialle e i pendii a nord-est sono caratterizzati dalla presenza di conchiglie marine”. Dopo aver scritto alcune considerazioni sulla laboriosità di agricoltori e commercianti di Picerno e larvatamente fatto cenno al clima politico del tempo che aveva incrementato la disparità di classe e tra ricchi e poveri, il viaggiatore e la sua comitiva in carrozza descrivono la strada che “…da Picerno conduce, passando per una zona desolata, nuovamente verso l’alto attraverso un altopiano, dove imperversano violenti uragani…tutto si discosta dal tipico paesaggio italiano, fino a quando non si raggiunge una ridente vallata, riccamente ricoperta su ambedue i lati da querce, e la strada, snodandosi in incantevoli tornanti, porta verso Vietri che occupa una delle più belle e magnifiche posizioni di tutta la Basilicata…dove convergono tre strette vallate montane sconvolte da torrenti irruenti (ndr, la fiumara del Torno e quella di Vietri), le cui gole e pareti mostrano una lussureggiante vegetazione che va da viti ed olivi a querce e faggi, sulle ripide alturer prospicienti ci sono le rovine di castelli e bpittoreschi villaggi che vi si abbarbicano”
“La strada da Vietri a Potenza essendosi diretta alle vicinanze di Picerno, per apprestar una facile comunicazione a quel comune, era, per dir così, determinato il sito in cui conveniva stabilire il ponte sul fiume Marmo che è uno dei principali rami del Sele. La strada contornando un controforte che s’innnalza sulle due valli nelle quali scorrono i due torrentacci di Serra Alta e di Ontrato, nello sboccare verso il fiume non poteva rivolgersi alquanto sopra corrente, perché immediatamente s’incontrava il torrente di Serra Alta, né sollo corrente, perché lo impediva l’altro di Ontrato. Fu quindi necessario di stabilire il ponte nel tratto frapposto tra gli sbocchi di due grossi torrenti, i quali nelle piene secondo il diverso volume di acqua e la copia delle grosse alluvioni che portano, alterano il letto del Marmo che ha la pendenza di palmo uno ed un terzo per cento, or colmandolo ed ora scavandolo. Inoltre il Marmo stesso che prende origine da elevati monti e nel suo cammino riceve in tributo le acque delle gronde dei monti che s’innalzano sulla sua angusta valle, vuolsi riguardare esso medesimo come un torrentaccio che mentre nel tempo asciutto corre povero d’acqua, in tempo di piogge dirotte e dello scioglimento delle nevi porta un grosso volume di acqua, che menando seco grosse ghiaje corre con furia grandissima. Il progetto del ponte fu preceduto da lunghe osservazioni sul volume di acqua che portava il fiume e sulle scavazioni uniformi che avvenivano in tempo di grandi piene. Raccolte e messe a calcolo le osservazioni suddette, fu determinato lo stabilimento del ponte sopra platea generale di otto palmi di spessezza (2,11 mt.) compreso il rivestimento dei pezzi d’intaglio nel piano superiore. Un tal piano fu sottoposto per sei palmi al fondo del letto (1,58 mt.), poiché quella profondità poteva riguardarsi come il limite delle grandi scavazioni in tutta l’ampiezza del letto. Calcolato il volume d’acqua nelle maggiori piene, si giudicarono bastevoli cinque luci di palmi 45 di ampiezza (11,88 mt.). La larghezza del ponte è di palmi 32 compresi i parapetti (8,44 mt.), e l’altezza del suo piano da quello della platea è di palmi 47 (12,40 mt.). Il piano superiore della platea, le pile, le spalle ed i fronti degli archi sono rivestiti di grossi pezzi d’intaglio di roccia calcarea compatta, i quali sono stati messi in opera con tal diligenza e perfezione che le commessure presentano una semplice linea. La fabbrica della platea è stata eseguita a mano con la massima accuratezza, tenendosi a secco con esaurimenti il cavamento di 14 palmi (3,6 mt.) contro copiosissime sorgive. Essendosi agguagliato il piano superiore del ponte alle alte sponde del fiume, è stato necessario costruire due lunghi tratti di strada diga in riempimento. In quello della sponda sinistra che ha una ripida scarpa, si è costruito un ampio arco per risparmiare l’alto riempimento e gli elevati muri di sostegno. Questo ponte per la diligenza ed esattezza di esecuzione e per la semplicità ed eleganza di architettura deve riguardarsi come il primo tra tutti i ponti del regno”. (Cfr. Rapporto Generale sulla situazione delle strade, sulle bonificazioni e sugli edifici pubblici dei Reali Domini al di qua del Faro, diretto A.S.E. il Ministro delle Finanze, dalla Direzione Generale di Ponti e Strade e delle Acque e Foreste e della Caccia, parte III, Tipografia Zambraja, Napoli, 1827). Il ponte in pietra a 5 luci e contrafforti per una lunghezza complessiva di 201 mt, attraversa ancora oggi la Fiumara di Picerno in ottimo stato di conservazione.
Poco distante è visibile il grande viadotto che attraversa la Fiumara di Tito, ultimato nel 1969, dell’altezza di 118 metri e lunghezza di 850 metri, costituito da 14 campate. Venne progettato dagli ingegneri Antonio Bernini e Silio Colombini in collaborazione con gli ingegneri Giorgio Belloni e Giorgio Bellinetti d’Artico dell’impresa Grassetto. Quest’opera fu commissionata dalla Cassa per il Mezzogiorno e si trova sul raccordo autostradale Sicignano-Potenza.
Taverna Ponte di Picerno
L’edificio della Taverna non è più esistente. al suo posto sono state realizzate moderne abitazioni
Taverna di Picerno
Una seconda Taverna di Picerno è presente lungo la Strada Regia: “…Picerno colla vicinanza della strada Regia e la fabbrica delle Taverne e costruzione della Traversa, si è resa commerciale” (T. Cappiello, Storia di Picerno in Giuseppina Bianchini Caivano, Picerno, Ed. Salentina, Galatina,1977). La Taverna, realizzata agli inizio dell’Ottocento, ospitava i viandanti. La cappella Immacolata Concezione, attualmente di proprietà privata, è annessa all’edificio taverna e mostra un piccolo arco che regge la campana. Nelle vicinanze la cartografia catastale riporta il toponimo “Strada Comunale delle Taverne“, che testimonia l’esistenza di più taverne nell’area. Nei pressi del miliare 83 esiste il toponimo “Masseria della Taverna”. La denominazione della località appare nella tavoletta IGM, con la successione dei miliari ancora esistenti corrispondenti alle miglia 84 e 85 da Napoli (Ponte della Maddalena).
Da Picerno a Potenza
La Strada Regia di Basilicata prosegue in direzione di Potenza in tratti rettilinei e falso-piani.
Taverna Bruciata o Casetta Bellardino
La Taverna Bruciata o Casetta Bellardino è citata nel registro parrocchiale di San Michele di Potenza in contrada Piano di S.Aloia di Tito (ASPZ, Catasto Provvisorio di Tito, Stato di Sezioni, Sez. H in V. Ferretti, Toponomastica storica di Basilicata, Consiglio Regionale di Basilicata, Ars Grafica, Villa d’Agri, 2002). Oggi la taverna non esiste, sostituita da edifici recenti. Nel Quadro di Unione catastale del Comune di Tito – Fg.7, la Taverna è denominata “Casetta Bellardino” situata sulla Strada denominata “Nazionale Appulo Lucana” (oggi denominata S.P. n. 94). Sulla tavoletta della carta storica del 1862 è segnata l’indicazione “Taverna“.
Tra le colonnette delle miglia 85 e 86 aveva inizio la diramazione del Tratturo degli Stranieri , direzione Torre di Satriano e diramazione per Tito che nel tratto fino a Potenza è coincidente con la Strada Regia di Basilicata. Agli inizi dell’Ottocento in questa località si innestava il tronco stradale realizzato “dalla Nazionale della Calabria che passa per Atena, Brienza, Pietrafesa, vicino la distrutta Satriano, per Tito, e va all’incontro dell’Appulo-Lucana nelle pianure di S. Loia, e propriamente tra la miliaria 85 ed 86; la sua totale estensione è chilometri 48,307 metri” (in A.Capano, La lunga storia della viabilità del potentino nord occidentale: la strada Tito Atena nell’800, in Basilicata Regione Notizie, n.119-120, 2008).
Taverna Centomani
Dopo la colonnetta del miglio 87, è situata la Taverna Centomani, tra le più antiche tra quelle presenti sulla Strada Regia di Basilicata, che riprese in parte il vecchio Tratturo per Potenza (il tratturo è stato in parte utilizzato per la costruzione della ferrovia). La taverna venne realizzata sulle terre del Capitolo di San Michele estesi su 1.490 tomoli ad ovest di Potenza, nei pressi del torrente la Tora (la denominazione attuale della strada è appunto Via Tora). Era presente anche la Cappella di San Cataldo, oggi non più esistente. La presenza della Taverna, e quindi di una piccola comunità isolata dal paese, consentì ai frati di costruire nei suoi dintorni “fosse de lo grano“, ovvero depositi di grano in grosse buche scavate nel terreno (Cfr Cronache Potentine dell’800 di Vincenzo Perretti).
La Taverna venne realizzata del XVI sui terreni tenuti in fitto da mastro Cola de Amato e successivamente da Paolo, già di proprietà del Capitolo San Michele. La Taverna è citata nel libro della contabilità del 1538, del 1554, del 1584 e del 1586, dove è riportata la notizia della presenza della “taverna di mastro Paulo de Amatis, dove si magnio“. La Taverna fu presa in fitto dalla ricca famiglia Centomani, presente a Potenza dal XIV secolo. Infatti nel registro parrocchiale del 1611 “Gio. Gaspare Centomani tene i terre co la taverna quale fu di mastro Paulo d’Amato sotto li jacci de li linj e descendendo sin via alla strata pubblica che va allo Tito confina con la Tora“. La famiglia Falcinelli divenne nel 1813 proprietaria sia dei terreni di Dragonara e sia della Taverna Centomani mentre a fine Ottocento divenne proprietaria la famiglia Giuliani (Cfr Vincenzo Perretti, Op.cit). Nel catasto Murattiano del 1813 si legge che la Taverna di Centomani era diventata una “Stazione di posta“, costituita da dieci membri con pozzo e stalle (vedi cartografie storiche con le indicazioni della Taverna Centomani). Attualmente è sede di un agriturismo, che ha conservato il perimetro della struttura originaria ed anche la funzione di ospitalità.
La colonnetta del miglio 90, si trova in prossimità dell’attuale svincolo della SS 407 Basentana Potenza Ovest, coperto dalla barriera autostradale e dalla vegetazione. Il miliare 91, lungo l’attuale Viale del Basento, si trova spostato di un centinaio di metri oltre il bivio che originariamente conduceva dall’attuale Viale del Basento al Rione San Rocco di Potenza, seguendo un antico percorso rettilineo in salita.
Da Potenza a Vaglio
Dopo il miglio 91 (l’ultimo rinvenuto a Potenza) la Strada Regia proseguiva in direzione Matera, in prossimità dell’attuale area industriale di Potenza – stabilimento ex Sider Potenza, dove sono visibili resti di grandi pietre squadrate. La Strada Regia si dirigeva verso la Cappella S.Maria di Betlehem. Le prime notizie storiche sulla Cappella S.Maria de Beliemma, risalgono al 20 Maggio 1425, allorquando con atto di donazione di Gaspare de Inganulo vennnero donati alcuni terreni al Convento di San Francesco di Potenza (Cfr T.Pedio, 1968, p.343, in V. Ferretti, Toponomastica della Città di Potenza, Op, Cit). Alcune acquisti fatti da Baldassarre Mordente, dal Capitolo di S.Gerardo risalenti all’anno 1466 descrivevano la cappella “S.Marie de Bettelem, jiusta stratam pubblicam“, citata nel 1571 in occasione della visita del Vescovo Carrafa, che risultava in “juspatronato” di Pietrantonio Pagani in Napoli (Cfr G.Messina, 1991, p.92). La Cappella veniva citata nel catasto onciario di proprietà del Capitolo di San Gerardo.
Taverna Papaciccio
Attualmente l’edificio dell’ex Taverna, già citata in documenti storici risalenti al 1648, è gestito da privati come bar. Lo storico Vincenzo Ferretti in “Toponomastica Storica di Basilicata” riporta uno studio in cui la taverna di “Pappacicci” fosse “…data in affitto dal Barone Antonio Minadeys de Guevara, per conto di don Errico Loffredo, a Gerardo Petrapertosa nell’anno 1648, per 35 ducati. (Cfr. A. L. Sannino, cit., p. 172). Citando Di Blasio, pp. 3 ss., Ferretti riporta come “non si conosce la data di costruzione di questa taverna, che era posseduta dai Conti di Guevara e poi dai Loffredo, poichè da questi ultimi non fu mai denunciata“. Nella “rivela” dei Loffredo, tra i beni burgensatici è annotata la taverna detta di Pappacicci, affittata per docati 35 a Felice Vincenzo, tavernaro. Dalla stessa fonte: “fitto della taverna di Pappacicci a Giuliano Ceraldo di Gifuni per duc. 40 a cominciare dall’8.9.1720. (Ivi, vol. 5237, f. 525).
Dagli Atti dei Notai (M. Scardaccione, vol. 1647, ff. 78 ss).: D. Gerardo Abbruzzo, Erario del Marchese Nicola Henrico Loffredo, stipulava una convenzione con il Convento di San Francesco; nell’atto che porta la data del 13.10.1721, tra i “bona burgensatica” dei Loffredo “Cauponam unam in pluribus et diversi membris consistentem, sitam et positam extra moenia, et vulgo dictam Pappaciccio que est prope Cappellam S. Marie Battalem cum fonte ante dictam cauponam et territorio capacitatis quindecim tomulum circiter, et illud proprium quod est posi tum iuxta viam publicam que ducit ad terram Balij et lictorem fluminis et vallonis detto di S. Antonio“. Sempre negli Atti dei Notai (G. Assisi, vol. 4395, ff. 117 ss.): D. Andrea Atella, Erario del Conte Loffredo, in data 3.8.1771 per conto di quest’ultimo stipulava un accordo con Giuseppe Lotito, già fittuario della “taverna detta volgarmente di Pappaciccio, colli territorij seminatori della medesima, per 65 ducati annui”. Atella si impegnava di realizzare una “nuova fabrica d’avanti per ridurre più spaziosa e di maggior comodo detta Taverna, consistente in tre stalloni colli loro soprani ad uso di Pagliere“. (CAT. 1813, Sez. A.): Sono censiti a Gerardo Loffredo tom. 45 di terre, insieme alla “Taverna di Pappaciccio di 8 membri“; nella stessa località sono censiti i possidenti Giuseppe Corrado, Matteo Brio e Gerardo Stabile, per piccoli vignali.
La taverna ed il piccolo fondo circostante venivano acquisiti due anni più tardi da Nicolò Addone; lo stesso in data 20.4.1815 chiedeva all’Intendente di Basilicata Santangelo, di poter costruire un “Molino ed una Valchiera in contrada detta di San Martino per ove transita l’acqua del Fiume, trovandosi di possedere un Fondo sua Taverna di Pappaciccio“. (Cfr. ASPZ, Intendenza, B. 1136). CAT. 1911, f. N/33: Pappaciccio, località ubicata tra S. Antonio la Macchia e Betlemme. Nota di V. Ferretti. Pappaciccio (nella cartografia è riportasta la denominazione Papaciccio) è un antroponimo: dai registri della Parrocchia di S. Michele (a. 1539) e da quelli degli anni successivi si legge il cognome (o agnome) di un parrocchiano, tale Jacobo de Pappacici.
Superato il capoluogo Potenza, la Strada Regia di Basilicata, a partire dal 1838, proseguiva in direzione Matera, seguendo l’itinerario dell’attuale S.S. n. 7, istituita nel 1928 (Cfr L. 17 maggio 1928, n. 1094, Istituzione dell’Azienda Autonoma Statale della Strada) con il percorso “Roma – Velletri – Terracina – Capua – Napoli – Marigliano – Avellino – Atripalda – Bivio Sant’Angelo dei Lombardi – Lioni – Ruoti – Potenza – Laterza – Castellaneta – Taranto – Francavilla – Brindisi” che ripercorreva la Strada Regia di Basilicata nel tratto da Potenza a Matera. La Strada Regia di Basilicata superava il torrente La Tiera su un ponte ribassato a tre arcate, ricostruito con un ponte ad arco parabolico in calcestruzzo di 40 metri con spinte eliminate, completato dopo le alluvioni del 1925 – 1926. Una soluzione ingegneristica che consentì di elevarne l’altezza e permettere il deflusso delle acque del torrente soggette a piene imponenti, specialmente durante le periodiche alluvioni autunnali sull’Appennino. Nell’immagine a destra in alto è visibile il vecchio ponte (Fonte: Le Strade di Puglia, nell’opera dell’Azienda Autonoma Statale della Strada A.A.S.S., a cura dell’Ing Eugenio Sgra, Capo del Compartimento della Viabilità per la Puglia e la Basilicata) sostituito da quello realizzato negli anni Trenta del secolo scorso. Da notare come la vegetazione forestale ed arbustiva all’epoca della foto fosse scarsa, a causa della messa a coltura dei terreni sui versanti in forte pendenza che fiancheggiavano la strada il cui fondo all’epoca era in terra e pietrisco compattato. I terreni agricoli vennero abbandonati a partire dagli anni Sessanta, a seguito dell’emigrazione e dello spopolamento delle campagne.
Dopo Vaglio è interessante notare l’esistenza sul bordo stradale di paracarri e muretti in pietra, con il deposito del Km 176 sulla S.S. n.7 che mostra infisso sulla facciata in pietra un caposaldo di livellamento di precisione dell’Istituto Geografico Militare. In Italia la rete di livellazione di alta precisione venne realizzata dall’Istituto Geografico Militare negli anni fra il 1950 e il 1971, ed era costituita, al momento delle sua istituzione, da circa 13000 dispositivi disposti lungo altrettante vie sul territorio nazionale con funzioni topografiche. Il Deposito degli attrezzi era anche un piccolo rifugio per il “cantoniere” durante il lavoro, provvisto di un camino a legna per scaldarsi durante l’inverno o in caso di necessità.
Taverna Danzi o Taverna Nuova e Taverna Vecchia, Taverna Arsa o Catalani
Il tetto dell’edificio della Taverna Danzi è crollato. Resta oggi solo il portale in pietra con incisa l’epoca della costruzione (1858) e le mura perimetrali. Due edifici più recenti sono stati costruiti sui due lati della taverna. La Taverna Danzi è così denominata sulla cartografia stradale del 1861, mentre nel Quadro di unione catastale è denominata Taverna Nuova, facendo riferimento ad una sua ricostruzione avvenuta nel 1858, epoca in cui il tratto della Strada Regia attraversava i fondi agricoli di proprietà della Famiglia Danzi di Vaglio, proprietari anche di una masseria. A conferma dell’esistenza di una precedente struttura, nei registri parrocchiali del limitrofo comune di Albano di Lucania, datati 1693-1709, è citata la spesa sostenuta per inviare “un corriero che si mandò alla Taverna del Vaglio per consegnare lettere del clero con spesa di 15 grana” (Cfr M.Scelzi, Albano di Lucania, storia e cultura popolare. Alfagrafica Volonnino, Lavello, 1986). Negli stessi registri si apprende del pagamento dei “passi” per il passaggio di animali verso la marina o verso Potenza, dove presso la Taverna del Vaglio era stato richiesto il passo per “tre vaccine destinate alla fiera di Potenza“. La Taverna vecchia (così denominata nel quadro di unione castastale) invece non è più esistente. Era denominata anche Taverna Arsa o Taverna Catalani (dal nome del proprietario terriero che possedeva una masseria poco distante). La Taverna Arsa si trovava a poca distanza dalla Taverna Danzi, nel luogo ove è stato realizzato di recente un edificio. Nella relazione Gaudioso sulle condizioni economiche della Basilicata veniva citato il confine tra la Terra di Albano “confinante con il territorio della Terra di Tolve, tirando sino alla valle detta della taverna“. Il parlamentare del Regno d’Italia Giuseppe D’Errico, nel mostrare la precarietà dei collegamenti in Basilicata, portava l’esempio di “Albano fra i paesi agiati con reddito patrimoniale di 10.625 lire ha dovuto fare 7 chilometri soltanto i quali incominciati nel 1845 non sono stati compiuti negli ultimi giorni del passato dicembre (1862)“.
Da Vaglio di Basilicata a Grassano: la magia popolare e la povertà contadina
“…Sulla strada che da Potenza conduce a Matera, a circa dieci chilometri dopo il bivio di Tricarico, si stacca una via che scende verso la vallata del Basento, e che lasciando a sinistra la Murge di Castalmezzano – nudi picchi di arenarie, inaccessibili nidi di aaquile e di avvoltoi – raggiunge il villaggio di Albano. Una vita magica ancora intensa e diffusa impegna le 700 famiglie di questo villaggio, come dimostrano la qualità e la quantità di dati relativi raccolti durante il nostro soggiorno esplorativo di dodici giorni, dal 17 al 28 maggio 1957”. Così l’antropologo Ernesto De Martino e il fotografo Franco Pinna ( ndr: Ernesto de Martino, Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1959), percorrendo la “Strada Regia” divenuta “via Appia” durante il fascismo, introducevano il racconto le testimonianze, le immagini e le sonorità su maciare, stregoni e fascinazione. Un mondo arcaico dove veniva indagato il fenomeno della magia e le sue implicazioni religiose, economiche e sociali. Un racconto che avrebbe fatto da apripista per ulteriori ricerche in questa parte della Lucania interna, all’indomani del latifondo e del fascismo, dopo la seconda guerra mondiale e la crisi del mondo rurale nel sud Italia.
[Strada Regia di Basilicata – continua]