Il bosco di Monticchio: le radici storiche della scomparsa dei boschi in Lucania
di Antonio Bavusi (Aprile 2023) – Creative Commons Attribuzione – Non commerciale citando la fonte
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Il bosco di Monticchio esteso nel 1872 su 5.340 ettari, dopo i tagli effettuati tra il 1872 – 1892 era stato ridotto a 3.200 ettari. Nel 1900, gli ettari di bosco erano diventati appena 2.200. In poco più di un secolo, dal 1872 agli inizi del 1900, ben 3.140 ettari di bosco di Monticchio, composto di alberi di alto fusto, vennero tagliati. Oggi il Bosco e i Laghi di Monticchio, pur in presenza di un parco regionale istituito solo sulla carta, sono minacciati da un malinteso sviluppo che prevede nuove infrastrutture turistiche a ridosso degli ecosistemi riconosciuti nella Rete Natura 2000 dell’Unione Europea come SIC (Sito di Importanza Comunitaria) per gli straordinari valori ambientali e naturalistici presenti.

Pianta tratta dal testo di P. Libutti e A. Bavusi – Monticchio e il Vulture, guida all’area protetta. Provincia di Potenza, 1996). Si riferisce alla divisione in dodici lotti  conseguente alla stima economica del bosco.

Monte Vulture: il bosco di Monticchio che circonda i laghi omonimi di origine vulcanica

Una immagine pubblicitaria riguardante lo stabilimento di Monticchio Bagni e relativo alle acque minerali con un grande faggio del bosco di Monticchio (inizio XX secolo)

Carmine Donatelli, detto Crocco. A destra, il Maggiore Generale Paolo Franzini Tibaldeo

Il tratto delle ferrovie Ofantine in una carta del 1885. La rete ferroviaria non era ancora stata realizzata a quell’epoca

I ministri dei Lavori Pubblici, Giuseppe Devincenzi e delle Finanze, Quintino Sella, firmatari della legge che affidava alla “Società Civile di Monticchio” successivamente “Anonima” la costruzione del tratto di ferrovia a scartamento ridotto Ponte Santa Venere – Candela (non realizzata da questa società)

Constant Fornerod, presidente della Confederazione Svizzera nel 1857, nel 1863 e nel 1867.

La carta intestata della Società Civile di Monticchio

A sinistra: On. Floriano del Zio. A destra: On. Ascanio Branca

Gli onorevoli Francesco Crispi e Silvio Spaventa

Il bosco di Monticchio agli inizi del 1900 (tratta dal testo, Op. cit)

I VIAGGIATORI DEL PASSATO ALLA SCOPERTA DEL VULTURE

Agli aspetti geologici, botanici e faunistici del Vulture furono dedicai studi e ricerche che ne testimoniano l’interesse e l’importanza natura listica.
Sconosciuta fino alla seconda metà del XVIII secolo, se non per le citazioni del poeta Orazio, l’area fu indagata con metodi scientifici nell’estate del 1777 dall’abate napoletano Domenico Tata (1723- 1784), professore di fisica e matematica presso l’Università di Napoli che ne riconobbe l’origine vulcanica.

Da allora il vulcano spento richiamò altri studiosi, tra cui lo scrittore e naturalista padovano Alberto Fortis (1741-1803) che perlustrò questi luoghi alla ricerca del salnitro, sostanza da cui si ricavava la polver da sparo, e Giuseppe Melograni (1750-?) che per primo classificò i minerali rinvenuti sul Vulture.

La prima completa descrizione del vulcanismo del Vulture si deve all’abate Ferdinando Tortorella (1771-1837) che studiò i materiali eruttati nell’areacircostanteadAtella,Rionero,Barile,Rapolla e Melfi, e che menziona pure un fenomeno di ribollimento dei laghi con moria di pesci avvenuto nell’estate 1810, attribuito a macigni precipitati nel Lago Piccolo che avrebbero liberato idrogeno e altri gas.

Il Tortorella accompagnò sul Vulture altri studiosi, quali Giovanni Battista Brocchi (1772-1826) che riconobbe tra le rocce basaltiche la presenza di una varietà di lazialite e l’hauyna, ipotizzando la cessazione delle eruzioni quando l’Adriatico, ritirandosi da questa regione, s’ingolfò nel mare di Taranto.

Il naturalista inglese Charles Daubeney annotò come i tufi scuri di augite, costituenti la massa della montagna, erano sovrapposti e posteriori ai tufi pomicei, simili a quelli di Posilippo, corredando il suo studio con disegni eseguiti da T Duclére, diretti a dimostrare la tesi di una connessione del Vesuvio con il Vulture.

Tale teoria fu sostenuta anche dal geologo tedesco Abich Herman (1806-1886) che redasse una mappa geologica dettagliata, segnalandi la presenza di pirosseno, omeblanda e olivina. Nel1837 il geologo Lepoldo Pila(1804-1848) e l’agronomodel Regio Demanio di Napoli Guglielmo Gasparrini (1804-1866) giunse. ro sulla montagna, per raccogliere campioni di roccia per il Museo Mineralogico di Napoli e descrivere la natura pedologica dei terreni. Le potenzialità agricole e silvicolturali spinsero nel 1838 i botanici Giovanni Gussone (1787-1866) e Michele Tenore (1780-1861) a percorrere l’area, scoprendo nei laghi di Monticchio una nuova specie ittica a cui diedero il nome di Ciprino del Vulture, e individuando sor genti minerali e numerose piante utili per l’industria.

La distruzione del bosco

La pianta topografica del Bosco di Monticchio, redatta nel 1883 da Angiolino Fusco sotto la direzione del padre, ing. Emanuele,  ripropone la divisione in 12 lotti della Foresta di Monticchio, all’indomani delle vicende legate al suo trasferimento dallo Stato alla Società anonima per la Vendita dei Beni del Regno d’Italia, controllata da alcune banche italiane ed estere, di cui di seguito se ne indicano gli avvenimenti. Il bosco di Monticchio venne destinato a società private interessate alla costruzione del tratto di ferrovia Ponte Santa Venere – Candela da parte del Ministro delle Finanze Quintino Sella, ingegnere idraulico ed esperto in mineralogia, fondatore nel 1863 del CAI (Club Alpino Italiano).

All’epoca della carta, la foresta venne divisa in 12 lotti. Si deduce l’estensione della parte di bosco che circondava i laghi, pari a 12.978 tomoli, corrispondenti 5.340 ettari iniziali. Dalla carta emerge anche continuità della superficie boscata; le fonti bibliografiche dell’epoca descrivono gli alberi della foresta di Monticchio come “giganteschi o secolari“.

Dopo un primo disboscamento operato dalla Società Civile di Monticchio, divenuta in seguito Società Anonima di Monticchio, successivamente dichiarata fallita, con il passaggio della costruzione della tratta ferroviaria alla società Strade Ferrate Meridionali, i terreni furono nuovamente disboscati e poi arati, ma si ebbero difficoltà ad eliminare le radici dei grandi alberi che rendevano difficoltose le arature per le coltivazioni, che avvennero con moderne macchine e con l’intervento di coloni marchigiani giunti in Lucania per sperimentare la nascita a Monticchio Bagni di un azienda modello attiva agli inizi del 900, che successivamente fallì, in un clima politico che preludeva alle guerre mondiali e con le campagne della Basilicata spopolate.

I monumentali alberi secolari della foresta di Monticchio, che coronavano l’antico cono del monte Vulture intorno ai laghi di origine vulcanica, furono una seconda volta recisi per farne traversine ferroviarie ad opera della società delle Strade Ferrate Meridionali, società presieduta dal conte e senatore del regno Pietro Bastogi, con sede principale a Firenze, controllata dal un gruppo di banchieri e industriali del settore ferroviario, minerario e dell’energia.

Una vicenda storica in gran parte ancora sconosciuta, che fu caratterizzata da speculazioni, fallimenti di società e profitti non dichiarati all’ombra della foresta di Monticchio che, con il pretesto prima del brigantaggio post unitario e successivamente del nascente capitalismo italiano, venne dissodata da società private con i soldi presi in prestito dalle banche, che garantirono il pareggio del bilancio al neo Regno d’Italia.

Solo pochi esponenti del Parlamento post-unitario denunciarono quello che all’epoca stava accadendo ai boschi lucani, presagendo un futuro dominato dall’acciaio e dal vapore e da un capitalismo incentivato dal governo, ma spinto dalla volontà dei profitti di banchieri e uomini d’affari. Il bosco di Monticchio, ovvero “l’affaire de Monticchio“, così come titolarono alcuni giornali parigini dell’epoca, racconta questa storia, quello che in anni più avanti lo stesso senatore Giustino Fortunato definì gli effetti nefasti del disboscamento che portarono allo “sfasciume idrogeologico” della Basilicata.

Essa ripropone una vicenda, proprio mentre quelle ferrovie, che costarono sacrifici alle comunità e soprattutto al territorio boscoso sono state chiuse e abbandonate. Una vicenda dai risvolti ancora attuali.

Il tratto ferroviario Candela – Ponte Santa Venere, è stato definitivamente chiuso dalle Ferrovie dello Stato nel 2010 ed è diventato “ramo secco“, testimone della distruzione dell’originaria foresta di Monticchio. La stazione ferroviaria di Monticchio, sulla tratta ferroviaria, è stata chiusa nel 2016. Le “chiusure” rappresentano eredità storiche “scomode” che pesano sulle coscienze di tutti. Ma soprattutto di quanti, ricoprendo incarichi di responsabilità, in modo più o meno consapevole, preferiscono dimenticare.

Questa storia, in un’area divenuta oggi un parco naturale regionale, è ancora purtroppo vissuta in modo contraddittorio dagli attori che hanno ereditato le sorti di quel che resta dell’antico bosco di Monticchio di cui ignorano forse le vicende. Esso viene ancora presentato con le inattuali descrizioni dei primi esploratori dell’Ottocento o congelato nell’oleografica immagine del “sublime e pittoresco“, confinato in un parco di carta “istituito” che ne ritarda la gestione facendone nuovamente un vuoto contenitore di speranze e di profitti per pochi, nonostante la salvaguardia dichiarata nella legge.

Le vicende storiche del bosco di Monticchio dopo l’Unità d’Italia

Nel fitto dell’antico bosco di Monticchio, è possibile riscoprire non solo i sentieri della storia, ma un intricato mosaico di interessi economici, spesso speculativi, rinvenuto nei documenti di archivio, negli scritti e nelle cronache parlamentari dopo l’Unità d’Italia (L’affaire de Monticchio. Dattiloscritto inedito presso l’autore). L’esteso bosco di Monticchio, già di proprietà dell’Ordine Costantiniano (Cavalieri di Malta), pervenne al neo Regno d’Italia dopo il 1860, divenendo oggetto di dispute tra potenziali acquirenti privati legati alla realizzazione delle ferrovie, i municipi di Atella e Rionero, le comunità interessate agli civici e persino la proprietà rivendicata dagli eredi dell’ex Re di Napoli, Gioacchino Murat (Cfr. Atto di protesta degli eredi dell’ex Re Gioacchino Murat contro Il Ministero delle Finanze, Direzione Generale Tasse e del Demanio del 27 Gennaio 1865, Archivio di Stato di Potenza, in seguito indicato con ASP). Il Regio Demanio era invece intenzionato a vendere all’incanto i 5.168 ettari del bosco di alto fusto composto da “specie di vegetazione di rara bellezza”(Cfr Nicola Terraciano, Florae vulturis synopsis exhibens plantas Vulture, 1869).

La vicenda s’intreccia con la cosiddetta “questione demaniale”, mai risolta nel sud Italia. Dopo l’Unità d’Italia, con il pretesto di fronteggiare il brigantaggio, il governo aveva autorizzato la costruzione di 5 strade all’interno del demanio boscoso, con la spesa giornaliera di 815 lire per un totale di circa 172.000 lire, ricavando la metà dei fondi necessari dal taglio degli alberi di alto fusto. Un esbosco che vide impegnati circa 200 lavoratori tra soldati, graduati, ingegneri, assistenti e guardie forestali (ASP, Fondo Intendenza, anno 1864). L’8 giugno del 1864, l’Ispettore Generale delle Finanze aveva trasmesso un nuovo sollecito per la stima definitiva del bosco di Monticchio (ASP, 1864) alla Commissione della Provincia istituita in base all’art.7 della L. 21 agosto 1862, n. 793. Una legge che “autorizzava il governo ad alienare i beni demaniali che non sono destinati ad uso pubblico o richiesti pel pubblico servizio” che in seguito venne affidato alla Società Anonima per la Vendita del Regno d’Italia. Il bosco di Monticchio venne valutato in 10,8 milioni di lire. Cifra, questa, che costituiva una somma ingente, se si consideri che il debito pubblico all’epoca era stimato in circa 150 milioni di lire.

Il primo disboscamento di Monticchio e il brigantaggio

Ma per poter rendere disponibile all’uso di questi beni, fu necessario costruire strade di accesso ai boschi. Il maggiore generale Paolo Franzini Tibaldeo, piemontese, comandante della Brigata Cuneo e fautore di spedizioni nella zona fra Nola ed Avellino contro bande armate di briganti, ottenne la nomina a Commendatore dell’Ordine militare di Savoia.  Era stato incaricato di aprire le strade nel bosco di Monticchio per combattere il brigantaggio. Era noto infatti che nella foresta di Monticchio avevano sede i quartieri di noti briganti, quali Crocco, Caruso e Ninco Nanco (ndr Crocco nella sua autobiografia definì il bosco di Monticchio “la mia sicura boscaglia”). Ma l’intento era anche quello di preservarla per gli usi economici secondo i piani governativi, permettendo di accedervi attraverso la costruzione di strade. Nel mese di Aprile 1864 il maggiore colonnello Franzini inviò al Prefetto di Potenza una memoria personale sul progetto di esbosco nella “bella foresta di Monticchio, forse la più bella d’Italia…” suggerendo al Prefetto di Potenza “di limitarne il numero per evitare la depredazione e la devastazione che ognuno farebbe da popolo barbaro…” e nello stesso tempo “impedire che il bosco di Monticchio sia covo di briganti senza trovare mezzo per snidarli” (ASP, Prefettura di Potenza, Atti Demaniali, 1860-1870). Ma il problema principale erano le “pretese” dei Comuni per gli usi civici nel bosco di Monticchio divenuto pretesto per alleviare le pressioni delle popolazioni rurali sulle terre coltivabili. I grandi proprietari terrieri e latifondisti del Vulture Alto Bradano aderirono al nuovo regime appoggiando la lotta al brigantaggio stringendo un patto con la politica della destra sulle privatizzazioni dei beni. Salvo poche eccezioni, gran parte di questi esponenti, pur conoscendo la vicenda del bosco di Monticchio, rimasero in silenzio o si limitarono a considerazioni di scarso effetto (ndr in questa sede si omettono i nomi dei parlamentari lucani dell’epoca coinvolti direttamente e indirettamente nella vicenda del bosco di Monticchio, affinchè emergano i fatti narrati. Ma molte furono le responsabilità storiche sulla distruzione dei beni forestali da parte di quanti aderirono al nuovo Regno d’Italia, dopo essere stati filo borbonici). Per realizzare 5 strade vennero abbattuti su 42 ettari 12mila piante di alto fusto e 24mila di ceduo. Trentaseimila piante vennero portate via iniziando una lunga serie di tagli forestali che continuarono nei decenni successivi.

Il disboscamento del bosco di Monticchio e le ferrovie

Il dibattito parlamentare del neo Regno d’Italia, vide impegnati i parlamentari, non solo lucani, nel chiedere la costruzione delle ferrovie in Basilicata enfatizzando circa la presenza di risorse naturali ingenti, tra i quali i boschi, che potevano essere sfruttati con utili notevolissimi per lo stato e vantaggio per le società ferroviarie. Con la legge 21 luglio 1861 il Parlamento riunito a Firenze con Decreto di Garibaldi del 25 settembre 1860 aveva affidato ai banchieri livornesi Adami e Lemmi (erano stati i finanziatori dell’impresa dei Mille di Garibaldi), ovvero a società da costituirsi con il nome di “Società Italia Meridionale” la costruzione della rete ferroviaria nel sud Italia con l’intervento nell’affare della società francese Talabot & Delehante incaricata di costruire la strada ferrata lungo il fiume Ofanto, dal Ponte S. Venere a Sella di Conza, alla quale successe la società “Vittorio Emanuele” con capitali interamente francesi. Ma il governo ritornò sulle proprie decisioni riaffidando l’affare alla “Adami & Lemmi”, questa volta con l’appoggio della potente famiglia di banchieri Rothschild che a sua volta venne estromessa dall’affare. Le vicende furono al centro di uno scandalo nazionale che vide al centro numerosi parlamentari di opposti schieramenti.

In virtù della legge del 21 agosto 1862, n.793, i beni dell’antica Badia di Monticchio passarono al demanio che  con la legge del 24 Novembre 1864 n.2006 li affidò alla Società per la Vendita dei Beni Demaniali ,  con capitale di 50 milioni di lire suddivisi tra il Banco di Sconto e Sete (15 M.L.), il Comitato della Società Anonima per le Terre Italiane (5 M.L.) e la Società Generale di Credito Mobiliare (30 M.L.). L’alienazione del patrimonio pubblico, voluto dalla Destra veniva sostenuto anche da molti esponenti della classe terriera presenti nel Parlamento di opposto schieramento. In base alle leggi precedenti del 21 agosto 1862 (n. 793 e 794), la vendita dei beni del Regno d’Italia ai privati veniva motivato dal ministro delle finanze, Sella, dall’urgenza di reperire i fondi per arginare il deficit statale. I privati ebbero così modo di acquistare a basso costo i beni messi in vendita, traendo un enorme vantaggio dalle difficoltà finanziarie dello Stato.

Infatti, nel 1862 venne fondata dal conte e banchiere livornese Pietro Bastogi la “Società Italiana Strade Ferrate Meridionali” di cui faceva parte anche Domenico Balduino nella sua veste di amministratore della “Cassa di Commercio e Industria di Torino” nel doppio ruolo di componente anche della “Società  Generale di Credito Mobiliare” azionista della “Società per la Vendita dei Beni Demaniali”. Si chiudeva in questo modo il cerchio degli interessi tra banche, governo e parte dei deputati che facevano parte dell’affare. Nel consiglio di amministrazione della “Società Italiana Strade Ferrate Meridionali” ben 14 componenti su ventidue erano infatti deputati del parlamento italiano. La questione venne sollevata in Parlamento con la istituzione di una commissione d’inchiesta che concluse i suoi lavori con una semplice censura diretta ai parlamentari coinvolti (sull’argomento leggasi di G. Stella, i misteri di Via dell’Amorosino, Edizioni Rizzoli, 2012). Il 21 agosto 1862 la concessione delle ferrovie ofantine venne affidata alla Società Italiana Strade Ferrate Meridionali ma, nonostante la realizzazione dei primi 30 chilometri della linee ferrata, rinuncerà all’ultimazione dei lavori poiché divenuti troppo onerosi suscitando le reazioni veementi di alcuni deputati lucani che furono costretti questa volta a denunciare le operazioni speculative in atto sul demanio di Monticchio mentre il governo ricorse a promuovere un Consorzio dei Comuni delle Province interessate con la finalità di reperire la cifra necessaria all’ultimazione dei lavori che sortì però effetti negativi.

Intanto gli incanti per la vendita del bosco di Monticchio, un primo tempo destinato alla Marina Militare, andarono deserti fino al 7 dicembre 1871, allorquando una società denominata “Società Civile di Monticchio” definì il relativo acquisto con il contratto stipulato il 23 gennaio 1872 al prezzo di  6.340.000 lire con un costo per ettaro di molto inferiore al prezzo iniziale stimato di 10 milioni di lire. La “Società Civile di Monticchio” aveva la propria sede principale a Parigi in place Vendome 10 (attuale sede del Municipio di Parigi) e sede periferica a Napoli, Via San Liborio, n. 2, ove aveva residenza il direttore generale della società, che vedeva come unico azionista il Crédit Foncier et Commercial Suisse , una banca svizzera con sedi a Ginevra e a Parigi, il cui presidente era stato anche il presidente della Confederazione Svizzera nel nel 1857, nel 1863 e nel 1867. La Società Civile di Monticchio pagò la prima rata delle cinque pattuite con contratto con la Società Anonima per la Vendita dei Beni del Regno d’Italia, che fu dichiarato “risoluto” con sentenza del Tribunale di Melfi nel 1874 ( ASP, Fondo Intendenza, 1874 – vedi di seguito la vicenda). Il 30 ottobre 1872 venne approvato il progetto di legge composto di un solo articolo che approvava la convenzione e l’annesso capitolato tra i ministri delle finanze, Quintino Sella, dei lavori Pubblici Giuseppe Devincenzi e i firmatari della Società Civile di Monticchio, “acquistatrice della tenuta demaniale di Monticchio costituitasi a Parigi per la costruzione e l’esercizio della strada ferrata che si diramerà dalla stazione ferroviaria di Candela sul tronco Foggia-Candela della appartenente Società delle Strade Ferrate Meridionali, e proseguendo per Ponte Santa Venere, giungerà alla fiumara di Atella” (Cfr Progetto di Legge 30 Ottobre 1872).

Le vicende del bosco di Monticchio, dalla “Società Civile di Monticchio” alla “Società Anonima di Monticchio”

La Società Civile per il Demanio di Monticchio, nata nel 1871, aveva sede a Parigi. Venne costituita come emanazione del Credito Fondiario Svizzero, il cui capitale sociale era costituito da 15mila azioni, per 11/16 possedute dalla banca svizzera, mentre 4.700 azioni erano possedute da vari “intermediari” locali. Nell’inverno del 1871 il presidente e il direttore della Società Civile di Monticchio avevano visitato la tenuta boscosa in Basilicata, constatandone il suo valore commerciale e telegrafando da Rionero in Vulture a Parigi che l’affare poteva andare in porto.  Il 24 gennaio 1872 il governo comunicava con telegramma indirizzato al Prefetto della Provincia l’avvenuto acquisto da parte della Società Civile di Monticchio al prezzo di 6.340.000 lire (ASP, Beni demaniali Comune di Rionero, 1860.1870). Il 16 settembre 1872, la Società Civile di Monticchio veniva autorizzata dall’Amministrazione della Provincia di Basilicata alla costruzione del tratto ferroviario a scartamento ridotto. Durante la discussione parlamentare sul bilancio del 17 giugno 1872 però alcuni parlamentari lucani avevano già fatto notare, con proprio disappunto, al ministro dei lavori pubblici che la ferrovia avrebbe dovuto essere realizzata a “sistema ordinario e non a sezione ridotta” (Cfr G.Fortunato, delle strade ferrate ofantine. Scritti e discorsi. Tip.Barbera, 1890).

Più duro e di tono decisamente diverso dal Fortunato fu l’onorevole potentino Ascanio Branca il quale intervenendo alla discussione in parlamento sui provvedimenti finanziari del governo accusava apertamente il ministro delle finanze, Quintino Sella: “…avete troppo ingegno per sbagliare così grossolanamente; avete uno scopo recondito di creare grossi monopoli. L’Italia doveva essere un beneficio economico per tutti, voi lo volete fare per pochi; voi vi proponete una monarchia circondata da una aristocrazia bancaria…”(Cfr Discorso pronunciato da A.Branca alla Camera dei Deputati il 18 Marzo 1872, raccolta scritti e discorsi dell’On. Branca).

Intanto, il sottoprefetto, attraverso una nota informava il Prefetto di Potenza che la società, senza attendere la comunicazione ufficiale aveva già “posto mano da quattro giorni alla recisione degli alberi di alto fusto”. Il Sottoprefetto informava inoltre “…vengo assicurato dal sindaco di Rionero non esservi per ora alcun pericolo di disordine, tranne la vertenza in linea giudiziaria sui vantati usi civici per di cui valutazione pende analogo giudizio” (lettera del 21 marzo 1872, ASP, Prefettura di Potenza,1972).

Il 16 aprile  1872, la società acquirente aveva informato dell’arrivo a Monticchio di un ispettore forestale nella persona di un ex colonnello federale svizzero, presentato dal console della Confederazione della Svizzera a Napoli (ASP, Atti Amministrativi, 1860-1870 – lettera al Prefetto del Console del  8 aprile 1872) assicurando “un migliore spirito di concilazione con le Autorità Governative”.

Ma i “buoni intendimenti” dichiarati dalla società a favore della popolazione si erano già tradotte in violenze e soprusi. La presenza dell’ispettore forestale incaricato dalla società a Monticchio intendeva porre rimedio quanto stava accadendo tra la popolazione locale e i guardiani della società, denunciato in una lettera da parte del sindaco di Rionero del 13 Aprile 1872 che segnalava al Prefetto tali violenze da parte dei guardiani della società che “non permettevano gli usi civici goduti da tempo immemorabile su quel demanio boscoso” (lettera del 13 Aprile 1872 – in ASP, Op.cit).

E’ sempre il Sotto Prefetto  che in data 4 maggio 1872 informava il Prefetto circa le lagnanze “della società per la malavoglienza e sistematica opposizione del Comune di Rionero…ad onta che la Società cerchi di giovare a quegli abitanti dando loro lavoro, sicchè in oggi tiene impiegati 250 rioneresi a lavorare nella tenuta, e ne avremmo occupati anche in numero maggiore se avessero vera volontà di lavorare, pure essi si mettono a sciopero, o minacciano incendiare il bosco, o uccidere gli impiegati, o si oppongono alle Guardie e le insultano, e non cessano da una continua guerra, che crede fomentata dai proprietari e anche autorizzata indirettamente da quei pubblici funzionari colla loro studiosa indifferenza, e col mostrarsi sordi ai lamenti della società…nei giorni addietro una quantità di rioneresi, scendendo dalla masseria Foggiano, aggredì gli operai Abbruzzesi addetti ai lavori stradali …il 23 aprile due guardaboschi recatisi a Rionero a presentare verbale di contravvenzione, furono assaliti da una turba di megére e di uomini armati di bastoni e ferri e costretti a ritornare a Monticchio…nonostante le richieste alla Procura e ai Carabinieri…

E’ l’onorevole Floriano del Zio, senatore di Melfi che il 24 novembre 1873 in una lettera interrogava il ministro dei lavori pubblici Spaventa, riepilogando il giallo “dell’affaire de Monticchio” evidenziando il ruolo ricoperto della vicenda anche dal ministro delle finanze, Sella nel cambiare l’appalto dalle Società Strade Ferrate Meridionali alla Società Civile di Monticchio (Cfr On Floriano del Zio, Atti Parlamentari. Scritti e discorsi 1873). La situazione circa il progetto del tratto di Ferrovia Candela – Santa Venere, affidato alla Società Civile di Monticchio, era destinata a complicarsi rilevandosi una speculazione. Con propria nota l’esattore dell’Ufficio del Registro di Rionero indirizzata all’Intendente di Finanza di Potenza del 28 dicembre 1873 (ASP, Fondo Intendenza, a.1873)  comunicava che l’esattore di Atella aveva adempiuto al sequestro del bosco di Monticchio per insolvenza della seconda rata del prezzo pattuito per l’acquisto del bosco di Monticchio da parte della Società Civile del Demanio di Monticchio. L’esattore lamentava la difficoltà a far recapitare alla Società Civile di Monticchio il provvedimento di sequestro cautelativo della foresta poichè all’indirizzo di Napoli ove aveva sede la società, risultava occupata da altre persone.

Iil 6 Agosto del 1873 l’esattore del demanio riferiva anche come da notizie ricevute la Società Civile di Monticchio avesse cambiato la ragione sociale divenendo Società Anonima (ASP, Intendenza di Basilicata, a.1873). Con nota del 26 novembre 1873 indirizzata all’Intendente di Finanza di Potenza, il ricevitore del registro di Rionero in Vulture chiedeva di comunicare alla Società divenuta “Anonima di Monticchio” i danni che “continuamente succedono Bosco di Monticchio sono immensi, né è possibile che 6 soli guardiani provvisori possono rilevarli tutti, essendo immensa l’estensione del bosco…il legname sequestrato è disperso in vari punti e ben distanti l’uno dall’altro ed essendo non stagionato di guasta sotto le intemperie…più opportuno sarebbe metterlo in vendita…”.

Il 28 dicembre 1873 l’esattore di Atella provvedeva a trasmettere all’Intendenza di Finanza il verbale di stima richiesta per il legname accumulato nel bosco di Monticchio dopo il taglio per la successiva vendita al miglior offerente ricavandone l’utile per il Demanio “a danno della “Società Civile del Demanio di Monticchio”. Assieme al segretario comunale di Atella redigeva l’elenco con la stima dello stesso pari a 11.237,02 lire così suddiviso: n.19.027 “raggi per carri e traini”, n.6,745 “traversini di cerro”, n.81.116 “dogherelle di quattro diverse lunghezze”, n. 30 “tavole di cerro di inferiore qualità”, n.30 “tavoloni di faggio”, n. 400 quintali “di carboni di cerro e di faggio”; n. 90 quintali “di cataste di legna”; n. 15 cataste di “traversine di cerro”; n. 1.889 quintali di alberi non lavorati ossia cimali o rimasugli di alberi lavorati…la vendita e la relativa consegna si fa al miglior offerente sul prezzo complessivo stimato dietro il pagamento del prezzo…” .

Il 2 Aprile 1873 presso l’Ufficio Ipoteche della Conservatoria del Registro veniva iscritta l’ipoteca giudiziale a favore della Società Anonima per la Vendita dei Beni del Regno d’Italia per lire 2.008.700 nei confronti della Società Civile di Monticchio (ASP, 1873). Contro l’avviso di vendita del materiale legnoso il direttore generale della Società Civile di Monticchio presenta opposizione poiché “atti nulli e arbitrari” dandone comunicazione il 3 luglio 1873 con lo scopo di bloccare l’operazione di sequestro disposta.  In una nota “riservata” del 1 agosto 1873,  l’Avvocato Erariale presso il Tribunale Civile e Correzionale di Melfi comunicava all’Intendente di Finanza le difficoltà incontrate per istruire la causa “contro il famigerato prestigiatore direttore generale della società civile di Monticchio (ndr omissis)  per la quale tutti gli agenti della Finanza non potevano col difensore usare maggior zelo, energia …introducendo sette cause contro il direttore generale della società civile di Monticchio e ai soci e componenti del consiglio di amministrazione (seguono i nomi)”.

Con nota del 8 Agosto del 1873 della Procura Generale del Re presso la Corte di Appello di Potenza rappresenta le difficoltà per istruire la causa per assenza degli avvocati di parte (ASP, 1873). Con nota dell’Intendenza di Finanza di Potenza del 11 Agosto 1873 indirizzata alla Società Anonima per la vendita dei Beni del Regno d’Italia con sede a Firenze, l’Intendente rassicurava l’invio di due guardaboschi governativi per la tutela degli interessi commerciali sul bosco (ASP, 1873). Le difficoltà riguardavano anche il ruolo ricoperto dal legale rappresentante della Società Civile di Monticchio anche nella Società Anonima di recente costituzione che nel frattempo aveva reso noto di aver rilevato l’intero affare sul Bosco di Monticchio creando non poche difficoltà in merito alla prosecuzione delle cause pendenti presso il Tribunale di Melfi. L’operazione da parte delle due società era quella di realizzare comunque l’utile sul bosco tentando di rimettere in corsa la relativa convenzione con il governo per la realizzazione del tratto ferroviario, così come denunciato da una lettera riservata al Prefetto di Potenza da parte del sindaco di Rionero in Vulture che denunciava ” …tanto per la tutela del Governo nei suoi rapporti giuridici con la società, non so se anonima o civile di Monticchio…” (ASP, 1873).  In sede politica è l’onorevole Floriano del Zio di Melfi ad intervenire con veemenza nuovamente nei confronti del ministro dei lavori pubblici.

E’ l’avvocato Erariale di Melfi ad intervenire nuovamente con decisione con una lettera riservata all’Intendente di Finanza di Potenza con una lettera datata 29 gennaio 1874 (ASP, 1874) invitandolo a procedere senza “far dormire le carte” sul sequestro giudiziale della tenuta boschiva “… il direttore generale (ndr della società, nome, omissis) non contento di aver tolto quanto era nel latifondo, alienava il legname…per un prezzo di lire 6.000 che prontamente riceveva…senza l’osservanza di regolamenti e tanti altri abusi….”.

Con sentenza del Tribunale Civile di Melfi  del 18 Marzo 1873 che vedeva l’Intendenza di Finanza della Provincia di Basilicata in rappresentanza della Società Anonima per la Vendita dei beni del Regno d’Italia contro gli amministratori la “Societè des damaines de Monticchio” con sede a Parigi , Piazza Vendome 10, nell’unire due cause distinte e separati in una, dichiarava “risoluto il contratto di vendita della Foresta di Monticchio  del 23 gennaio 1872”, condannando gli attori a pagare gli gli interessi sulla rata del prezzo non soddisfatto della seconda rata e al trattenimento del deposito cauzionale versato dalla società prima della stipula del contratto.

Il Tribunal Corretional de La Seine il 20 Gennaio 1874 aveva chiamato a deporre al banco degli imputati il Presidente del Credito Fondiario Svizzero incriminato di simulazione di versamenti su obbligazioni ritenute false.

Contro la sentenza nel 18 Marzo 1874 del Tribunale Civile di Melfi, le parti soccombenti produrranno appello nel mese di Giugno 1874. Intanto in Parlamento, nella seduta del 3 Giugno 1874, l’On Del Zio chiedeva chiarimenti al Ministro dei Lavori Pubblici, Silvio Spaventa in merito alla costruzione del tratto ferroviario, evidentemente a conoscenza della sentenza del Tribunale di Melfi, accusando il “governo di aver voluto accordare a una società in fallimento una concessione che spettava alla Società delle Meridionali…con uno di questi faccendieri della società che si è spinto a minacciare il governo sulla restituzione del deposito cauzionale intimato dalla sentenza del Tribunale di Melfi…”.

L’onorevole Del Zio denuncerà come sulla stampa di Napoli addirittura vi fosse stato il tentativo di far credere, da parte di un articolista, che presso la sede di Napoli della Società Civile di Monticchio vi fosse stato un furto solo per dissimulare le pretese della Società Anonima di Monticchio che ne vantava i crediti. La questione si trascinò tra contenziosi e ricorsi presso i vari gradi della giustizia civile e amministrativa fino al 1878 con la Società Civile di Monticchio che si vide persino riconoscere la legittimità del possesso da parte del Tribunale Civile di Melfi sui diritti di alcuni affittuari del Demanio ex Feudale. Con il governo presieduto da Francesco Crispi inserì la tratta da Candela a Ponte S.Venere tra le “linee dell’avvenire” appartente alla III categoria. Per la Foresta di Monticchio, si apri una nuova e travagliata fase che porterà alla distruzione di una ulteriore parte del bosco.

Il nuovo appalto per la tratta ferroviaria, il Bosco di Monticchio e i nuovi proprietari

Il nuovo disegno di legge sulle “linee ferroviarie dell’Avvenire” di Francesco Crispi, prevedeva la costruzione di 25 chilometri di ferrovia con un costo di 4,5 milioni di lire inserito nelle ferrovie di III categoria. L’incarico del tratto ferroviario Ponte Santa Venere – Candela fu affidato al sotto-coinmissariato tecnico governativo per l’esercizio delle ferrovie in Taranto. “Gli studi si eseguirono con la scorta di un progetto già studiato dalla società delle Meridionali nel tratto Candela-Ponte Santa Venere per la linea di congiungimento delle ferrovie Foggia-Napoli ed Eboli-Potenza per l’Ofanto ed il Sele.Il progetto definitivo fu presentato nell’agosto 1880” (Cfr Ministero Lavori Pubblici, Direzione Strade Ferrate, Relazione Statistica per l’anno 1881).

Esaurite le consuete pratiche di esame il detto progetto venne approvato e messo all’asta il 16 febbraio 1881. Fino al 1884, anno in cui fu reso noto il progetto redatto dagli ingegneri Fabris e Ferrucci, nessuno si accorse che sia il progetto della Società Strade Ferrate Meridionali e sia quello della Società Civile di Monticchio avevano stabilito un chilometraggio di 32 Km, 7 in più del necessario“, evidenziando un ulteriore aspetto speculativo sulla questione (Cfr Atti della Commissione parlamentare sulle ferrovie era formata dagli onorevoli Lovito, Di San Marzano, Ungaro, Lomonaco, Marino, Monti Coriolano, del Zio, Del Giudici).

Nel frattempo con decreto del re Umberto I del 4 maggio 1882 i comuni di Atella e di Rionero in Vulture ricevono il frazionamento del territorio ricadente nel Demanio, in gran parte disboscato per un totale di 3.500 ettari circa, giungendo a conclusione una lunga vicenda legata alla controversia dei demani ex feudali che avevano causato l’occupazione di alcuni terreni di proprietà dei latifondisti locali con alimentare il banditismo. Il Demanio dello Stato conserva 1.700 ettari dell’antica estensione boschiva.

L’Onorevole Del Zio fu eletto presidente della Commissione. Con la legge n. 5002 del 29 luglio 1879, l’articolo 20 non aveva approvato“ la convenzione coll’annesso  capitolato  stipulata il 30 ottobre 1872 fra il Ministro delle Finanze, quelle  dei  Lavori Pubblici e la Societa’ civile proprietaria della tenuta demaniale  di Monticchio, per la costruzione e l’esercizio di  una  strada  ferrata dalla stazione di Candela pel ponte  di  Santa  Venere  alla  Fiumara d’Atella”.   Il tratto della ferrovia venne completato solo dopo il 1895.

Nel frattempo, dopo la risoluzione del contratto con la Società Civile di Monticchio, il bosco era pervenuto nuovamente alla Società per la Vendita dei Beni del Regno d’Italia. Fissato il 3,5 milioni di lire il prezzo di vendita, ridotto successivamente a 3,180 milioni di lire, nel 1892 il bosco di Monticchio venne acquistato dalla Società Lanari & C dei fratelli marchigiani Annibale e Ubaldo. I fratelli Lanari, ingegneri, avevano preso parte, per conto del regno d’Italia, alla costruzione della rete ferroviaria italiana.

Il disboscamento cominciò a praticarsi in quelle parti del bosco che un’accurata e preventiva ispezione indicò come atte alla colonizzazione, per la profondità del terreno, per comodità di accesso e di lavoro e per vicinanza di acqua. Questi criteri fecero ritenere, sul principio, che si potessero destinare alla coltura 1500 ettari di bosco. All’atto pratico però vennero scartati altri 300 ettari, per cui il disboscamento complessivo fu di 1200 ettari, e venne ultimato in otto anni con un taglio medio di 150 ettari all’anno. In principio il disboscamento venne praticato tagliando le piante a fior di terra; ma, visti l’inconvenienti a cui le ceppaie davano luogo nella lavorazione del terreno, le piante vennero atterrate con la radice, e la maggior spesa richiesta per tale lavoro venne compensata con un’economia nella coltivazione”. (Cfr  La tenuta di Monticchio in Basilicata di proprietà della società A. Lanari e C., Bonifica e colonizzazione, 1892-900).

Il bosco di Monticchio esteso nel 1872 su 5.340 ettari, dopo i tagli effettuati tra il 1872 – 1892 era stato ridotto a 3.200 ettari. Nel 1900, gli ettari di bosco erano diventati appena 2.200. In poco più di un secolo, dal 1872 agli inizi del 1900, ben 3.140 ettari di bosco di Monticchio, composto di alberi di alto fusto, vennero tagliati.