La Civita di Marsicovetere. Il mistero sull’origine del sito fortificato
di Pandosia (Maggio 2023) – Creative Commons Attribuzione – Non commerciale citando la fonte

L’uomo del neolitico intuì la forza generatrice del tempo

La Civita di Marsicovetere con lo sfondo il massiccio montuoso del Volturino (Foto A.Bavusi 2014)

La pianta della Civita di Marsicovetere. Visibili i due terrapieni con il più piccolo di forma circolare

La Civita di Marsivetere che domina la Vallata del fiume Agri. Foto A.Bavusi, anno 2014

Civita: il tempo era scandito dal ciclo delle stagioni, dal giorno e dalla notte… (Foto A.Bavusi, 2014)

Civita: il gesto delle mani ha riprodotto sul terreno i “limes” della circolarità dell’esistenza… (Foto A.Bavusi, 2014)

Le querce secolari, sentinelle della Civita sullo sfondo (Foto A.Bavusi, 2016)

Lungo la valle del Torrente Molinara si insediarono le prime comunità del Neolitico in località Barricelle e intorno alla Civita (V – VII millennio a.C.). Foto A.Bavusi, 2014

Tratto dal GIS del tracciato della Via Herculia con le località Barricelle e Civita (a cura di V. L’Erario)

Torrente Molinara in Contrada Barricelle (Marsicovetere) – Foto A.Bavusi,2016

Le geometrie circolari del villaggio trincerato di Murgia Timone a Matera (D.Ridola, Op.cit.)

Torrente Molinara. Foto A.Bavusi 2014

Località Barricelle. Luogo del ritrovamento delle capanne neolitiche (successivamente ricoperte dopo i lavori di infrastrutturazione energetica). Foto anno 2018

Ossidiana grezza

Sorgente Copone (Marsicovetere)

La Civita di Marsicovetere

Recenti ritrovamenti hanno per la prima volta segnalato nell’area del displuvio del torrente Molinara di Marsicovetere, affluente del fiume Agri (Basilicata) la presenza dell’Homo sapiens vissuto nel Neolitico (V – VII millennio a.C.). Importanti ritrovamenti che necessitano di ulteriori studi per comprendere la continuità degli insedianti umani in Val d’Agri, a partire dal sito fortificato di probabile origine neolitica o protostorica della Civita di Marsicovetere. Esso è costituito da un terrapieno di forma circolare racchiuso in un terrapieno più vasto che lo ricomprende di forma quadrangolare o ellittica, in origine forse dotato di fossato. Nuovi studi potrebbero colmare le conoscenze che restano attualmente attestate in Val d’Agri all’età dei metalli con i siti della Civita di Paterno e la Murgia S.Angelo di Moliterno, arricchiti dai rinvenimenti di Barricelle, che dista poche centinaia di metri in linea d’aria dal sito della Civita di Marsicovetere. Giuliano Cremonesi condusse un’intensa attività di ricerca dal Carso alla Toscana in Puglia, Basilicata e Abruzzo, occupandosi di Paleolitico e Mesolitico ma soprattutto di Neolitico e dell’età dei metalli. Egli prestava la massima attenzione al dato storico, ma eguale attenzione e rigore per i dati di scavo e quelli naturalistici-orografici. A Matera lo studioso Domenico Ridola, agli inizi del 900, descriveva i villaggi trincerati di forma circolare di Murgecchia, Murgia Tirlecchia e Murgia Timone (Cfr. D. Ridola. Le grandi trincee preistoriche di Matera. La ceramica e la civiltà di quel tempo. Rivista di Palentologia Italiana, 1924-1928), individuando quello che venne definita in seguito la “facies di Serra d’Alto”. Presso la località Rendina di Lavello (1970 – 1976) importanti sono stati gli studi sul paleo-neolitico condotti dalla studiosa Cipolloni Sampò che ha individuato un villaggio di capanne purtroppo in seguito ricoperte dai sedimenti del lago artificiale ivi realizzato, mentre Dinu Adamesteanu comprese l’importanza dei villaggi trincerati di forma circolare in Capitanata e in Puglia (1962) dopo gli studi condotti dall’archeologo e capitano inglese John S. P. Bradford (1945) durante e dopo la II guerra mondiale che escluse che potessero trattarsi di basi militari. Furono descritti duecento insediamenti neolitici, come quelli ubicati lungo gli affluenti del Triolo, lungo la Salsola, il Celone, il Candelaro, il Cervaro, il Carapelle e l’Ofanto con l’importante scoperta del sito di Passo del Corvo che costituisce uno dei più importanti siti neolitici d’Europa con numerose capanne ove è stato rinvenuto l’idolo che raffigura la dea madre. Altri studi di Adamesteanu sono stati condotti in Basilicata nel panorama dei circuiti murari dei Lucani, segnalando la Civita di Marsicovetere tra quelli da studiare in modo dettagliato per le sue specifiche peculiarità orografiche e toporografiche. Facendo propri gli studi ottocenteschi condotti in Lucania da Di Cicco, Lacava, Martuscelli, Patroni e altri studiosi, comprese la difficoltà di classificare queste strutture e datarle se non opportunamente studiate e indagate sul terreno, inquadrandole storicamente in precisi contesti antropologici e nella loro funzione originaria. Nel periodo compreso tra il IV e III secolo avanti Cristo, diversi siti neolitici furono sicuramente rielaborati dai Lucani secondo nuovi moduli costruttivi, utilizzando blocchi di pietra squadrata all’uso greco. Persero così forma e funzione originaria di insediamento abitato preistorico assumendo quello prevalente di difesa o avamposto per il controllo del passaggio tra le valli durante la transumanza.

Il Neolitico

Con il passaggio dal Paleolitico al Neolitico, l’Homo sapiens divenne più sedentario praticando l’allevamento e l’agricoltura, stabilendosi in luoghi pianeggianti vicino ai corsi d’acqua, che erano più semplici da coltivare e da irrigare. Le abitazioni venivano costruite in forma stabile, in pietra e argilla o con terra impastata insieme all’argilla e legno con capanne realizzate utilizzando come sostegno tronchi d’albero e tetti di stuoie e pelli. Il culto della Grande Madre (= la luna), frequente nel Neolitico, era connesso al ciclo della fecondità rappresentato dalla “cerchia Luna-Acque-Donna-Terra” (Cfr Mircea Eliade, Traité d’histoire des religions. Payot, Parigi, 1948. Edizione italiana, 1976 Boringhieri, Torino).  Oltre all’ossidiana proveniente da Lipari, nel Neolitico si diffuse la selce del Gargano, utilizzata soprattutto per la produzione di grosse lame. A Barricelle sono stati ritrovati  abitazioni, sepolture Neolitiche e frammenti di ossidiana che testimoniano un grado di mobilità delle comunità che vi si insediarono.

L’insediamento Neolitico lungo il torrente Molinara

Il sito neolitico di località Barricelle è stato individuato nel 2006 in occasione di infrastrutturazione petrolifera per la costruzione di oleodotti. Secondo l’archeologa Raffaella Milano a Barricelle sono stati riconosciute “… quattro fasi di frequentazione antropica, tre delle quali riferibili al Neolitico…con due fosse di grandi dimensioni il cui riempimento si caratterizza per l’abbondante presenza di concotto e fustoli di carbone, nonché di frammenti di fornelli mobili” (Cfr R. Milano, Prime attestazioni del Neolitico Antico in Alta Val d’Agri – Basilicata: la ceramica del sito di località Barricelle – Molinara – Marsicovetere – PZ. In LV Riunione scientifica di Preistoria e Protostoria della Basilicata, Matera – 6-10 Aprile 2022). La studiosa ipotizza una frequentazione stabile a causa della presenza di “notevoli tracce di bruciato” con “frammenti di intonaco…” riferibili a strutture abitative con materiale ceramico ridotto riconducibile “alla sfera culturale della Ceramica Impressa dell’Italia Meridionale” del Neolitico Antico (VII millennio a.C.). Oltre alla località Barricelle è stato studiato il sito di località “La Valle” situata verso un pendio a 757 metri s.l.m. a la cui scoperta risale al 2004 sempre durante l’attività di “archeologia preventiva” attinente il petrolio, con il rinvenimento di una buca probabilmente di palo nel suolo di calcaree che sorreggeva il tetto di una capanna da cui sono stati rinvenuti frammenti di ceramica  del Neolitico Medio-Recente (metà del V millennio – IV millennio) riferibili allo stile Serra d’Alto e della Facies Diana (Il suo nome deriva dal sito di Diana, ai piedi dell’acropoli di Lipari, nelle Isole Eolie nel nord della Sicilia). Tali ritrovamenti testimonierebbero la doppia frequentazione di gruppi neolitici in Val d’Agri da Serra d’Alto che dovette rappresentare un elemento di contrapposizione e/o assimilazione e di commercianti lipariti (Serra d’Alto prende il nome dall’omonimo sito nella zona di Matera, nel sud del paese scavato all’inizio del XX secolo da U. Rellini e D. Ridola) da parte di allevatori spintisi sin sui rilievi dell’Appennino e in Val d’Agri, seguendo forse la direttrice est-ovest e sud – nord, partendo dalle aree del materano e dalla Calabria e giungendo in Val d’Agri. Ma il sito Neolitico più importante è quello denominato 39 bis (R.Milano, Op.cit) che ha portato alla luce i resti di abitazione e due sepolture con una capanna ove erano visibili le buche per i pali di sostegno del tetto dell’abitazione. La presenza di un focolare, di pesi fittili, frammenti di ceramica, macine, industria litica e ossidiana con frammenti di incannucciata indurrebbero a far pensare ad un popolamento stabile ove si svolgeva una certa attività manuale legata alla preparazione del cibo e alla tessitura della lana.

Scena di un probabile omicidio nel Neolitico

Interessante è il ritrovamento di una sepoltura neolitica, sempre in località Molinara (Cfr A.Pellegrino, La sepoltura neolitica in località Molinara. In “Il Territorio grumentino e la valle dell’Agri in antichità”) nel quale l’autore riporta i risultati di uno scavo eseguiti sempre nell’ambito dell’infrastrutturazione energetica da parte dell’industria petrolifera, nel quale risultavano essere stati seppelliti in una fossa due individui di età adulta. Uno degli individui portava a livello dello sterno un grosso dente di erbivoro (l’autore non indica la specie) mentre in corrispondenza delle mani si rinvenivano due denti di ovicaprini. Intorno all’individuo A alcuni frammenti di ossidiana, di selce e alcuni reperti ceramici, mentre l’individuo B presentava il torace estesamente fratturato con il cranio interessata da fattura, con un frammento di corno o dente di animale ed una pietra di circa 7 cm rinvenuta posizionata tra la mandibola e la spalla sinistra, con altri frammenti di ossidiana e ceramici sparsi intorno. Il gruppo di ricerca dell’Istituto di Medicina legale dell’Università di Bari, diretto dal prof.  Francesco Introna, eseguiva una serie di analisi finalizzate a determinare le caratteristiche fisico-antropologiche dei due individui stabilendo che entrambi sono deceduti contemporaneamente intorno alla fine del V millennio a.C. all’età rispettivamente di 24 e 20 anni, forse vittime – aggiungiamo – da parte di un gruppo di cacciatori antagonisti.

L’ossidiana nel Neolitico dell’Alta Val d’Agri

Nel Neolitico tardo, con l’occupazione delle Cicladi, il traffico di ossidiana sembra essere stato condotto da intermediari ( freelance trade). Nel Mediterraneo occidentale, a partire dal VI millennio a.C. circa, furono attivi quattro principali centri di estrazione dell’ossidiana: Monte Arci in Sardegna, Lipari nelle Isole Eolie, Pantelleria tra la Sicilia e la costa africana settentrionale e Palmarola al largo della costa campana settentrionale. Il commercio dell’ossidiana raggiunse la massima diffusione tra la fine del V e il IV millennio a.C. Sulla base delle analisi effettuate sulle aree di provenienza è stato possibile stabilire che l’ossidiana sarda raggiunse nel Neolitico antico l’Italia centrale e settentrionale, l’Isola d’Elba e la Corsica e, nel V e nel IV millennio a.C., la Francia meridionale (Provenza). La rotta doveva partire dal Golfo di Oristano, oltrepassare la Corsica settentrionale e raggiungere l’Isola d’Elba e il litorale toscano, dove partivano percorsi verso il territorio laziale e verso settentrione. L’ossidiana di Lipari, quella più densamente diffusa nel sud della Penisola, comunissima in Sicilia e in Italia meridionale, attraverso i passi della Calabria meridionale fu trasportata sul versante ionico fino ai villaggi del Tavoliere e in Basilicata. Lungo il versante tirrenico secondo tragitti ancora non ben definibili giunse fino all’Italia settentrionale e alla Francia meridionale. In genere veniva fatto commercio di lame già tagliate, ma non è affatto escludibile la lavorazione in loco di blocchi grezzi trasportati da commercianti di ossidiana, anche se la lavorazione da pietre vitree di ossidiana richiedeva particolari tecniche e maestria nell’uso dei percussori di pietra, osso o legno per ricavarne lame, raschiatoi, punte di freccia. Il Neolito fu caratterizzato, rispetto ai vari periodi del Paleolitico, dalla tecnica di lucidatura che conferiva alle pietre (selce e ossidiana) filature particolari molto taglienti e resistenti.

Il sito fortificato della Civita di Marsicovetere

Sconosciuta è l’origine del sito fortificato protostorico che potrebbe essere stato realizzato diversi millenni prima dell’arrivo Lucani tra il IV e V sec a.C., forse risalente al neolitico (IV – V millennio a.C.), utilizzato anche durante l’età dei metalli (bronzo e ferro) e in epoche successive. Tale ipotesi è dovuta dai ritrovamenti neolitici recenti nella valle adiacente del Torrente Molinara, popolata da comunità stabili del Neolitico. Ma solo studi approfonditi in situ potrebbero svelare l’origine e il mistero sulla struttura del villaggio e sulla sua origine, indicata topograficamente come “Civita di Marsicovetere”. Con “civitas” si indica generalmente un luogo antico ma abitato anche in epoche diverse, così come testimonia la presenza di ruderi di una cappella, forse dedicata a San Nicola, rientrante nel gastaldato longobardo del Principato di Salerno (IX secolo) da cui prende il nome anche il “tuppo” omonimo. Lo storico Strabone nel VI libro di Geografia descriveva la Lucania nominando Vertina, che alcuni studiosi la individuerebbero a Marsicovetere, ove passava il ramo che valicava l’Appennino della Via Herculia che da Venusia, attraverso Potentia, giungeva a Grumentum. A Barricelle recenti campagne di scavo hanno portato alla luce i resti di un’imponente villa romana appartenuta alla famiglia dei Brutti Praesentes di cui faceva parte l’imperatrice romana Brutia Crispina, moglie dell’imperatore Commodo (II secolo a.C.). La sua ubicazione era strategica situata sulle vie di comunicazioni romane che esistevano anche in epoche remote.

La salvaguardia del sito e la descrizione

Solo di recente il sito della “Civita” è stato salvaguardato con provvedimento degli Uffici periferici del Ministero della Cultura del 1 Aprile 2021 emanato ai sensi Decreto Legislativo n.42, art.li 13 e 14 per i suoi caratteri di unicità dal punto di vista ambientale, culturale e paesaggistico. Domina l’alta valle del fiume Agri e il passaggio delle greggi transumanti lungo il corso del Torrente Molinara che portava sui versanti opposti dei monti Volturino e Calvelluzzo. Il luogo suggestivo è posto sulla sommità di un ripido rilievo i cui vertici appaiono modificati dall’uomo secondo un doppio schema tipologico: un primo terrapieno di forma circolare avente 15,7 metri circa di diametro con andamento non uniforme a causa dello scivolamento dei bordi verso la base del terrapieno. Esso è stato realizzato con terra e ciottoli grezzi di pietra che sono stati riportati in cima scavando un fossato alla base del primo anello. Alla base del terrapieno forse era un fossato circolare che sul lato sud appare rinforzato da un secondo terrapieno sul bordo esterno. Il bordo superiore del terrapieno forse in origine era contornato da palizzate in legno. All’interno dell’anello è visibile una depressione concava che potrebbe far desumere la presenza di strutture interrate, forse tombe, basi di capanne o fosse rituali; un secondo terrapieno, di forma rettangolare o ellittica si sviluppa all’esterno del primo anello, abbracciando il perimetro mediano dell’intera collina ad una distanza minima dal primo anello di 15,7 metri e massima, lungo l’asse misurato dal centro del primo anello fino al punto estremo, di 86,8 metri circa in direzione sud che presenta diversi elementi superficiali che farebbero pensare ad abitazioni o recinti più piccoli. L’anello sommitale sembra essere stato realizzato prevedendo in origine, sul lato ovest, una rampa di accesso alla parte sommitale. In altri contesti geografici dell’Italia centro-settentrionale strutture simili sono state denominate “castelliere”, con funzioni e origini probabilmente analoghe a quelle di Marsicovetere essendo ubicati nelle regioni Lazio, Umbria Marche e nell’area del nord est. Una similitudine con il sito di Marsicovetere è quello rinvenuto nel secolo scorso a Passignano nel Lazio, anch’esso per nulla studiato, oggetto della copertina di una pubblicazione curata Da Lorenzo e Stefania Quilici nel 2012 (Atlante tematico di Topografia Antica)

La probabile funzione del sito della Civita di Marsicovetere

Per i popoli costituiva un luogo d’incontro e di scambio, forse temporaneo, durante le migrazioni stagionali scandite dal tramonto del sole nei diversi periodi dell’anno. Probabilmente questa funzione originaria perdurò fino al passaggio dall’uomo cacciatore ad allevatore e agricoltore e anche durante epoche successive. L ’esigenza di realizzare un nucleo abitato stabile fu determinata dalle condizioni favorevoli del luogo, ricco di acque e terre fertili coltivabili, ma anche dal bisogno di stabilire legami di convivenza familiare e di gruppo, difendendosi da possibili aggressioni esterne. Ma la pianta marcatamente circolare richiamerebbe anche forme di sacralità legate alla natura, agli animali, all’osservazione della volta celeste, del sole, della luna e delle stelle a scandire il tempo della vita e della morte che seguiva quello delle stagioni, del giorno e della notte. La religione risaldava così i vincoli tra i membri della comunità attraverso i rituali alla ricerca di protezione e conforto del sovrannaturale. E’ così che il macrocosmo veniva racchiuso nel microcosmo, con il moto dei pianeti e delle stelle che veniva riprodotto nel gesto delle mani che incidevano sul terreno i “limes” della circolarità della propria esistenza. Nel fare ciò l’uomo avrebbe incontrato Dio. La suggestione di questi spazi circondati dai monti ricoperti di neve che dominano la piana di origine quaternaria dell’Agri riproducono ancora le antiche sfere lungo le quali si svilupparono le direttrici dell’esistenza dell’uomo.

Prospettive e riflessioni

La ricerca, purtroppo frammentaria, condotta di recente nell’ambito della cosiddetta “archeologia preventiva” durante i lavori di infrastrutturazione energetica legata alla ricerca di idrocarburi in Val d’Agri, dovrebbe essere occasione per approfondire tutti gli aspetti dei luoghi di cui pochi, purtroppo, ne comprendono l’importanza se non per garantire altri interessi che permangono della ricerca di nuove autorizzazioni a poca distanza dal sito. Vale in proposito rammentare, salve poche eccezioni, l’assenza di studi approfonditi sulla preistoria e sui popoli italici. Argomenti che sono gli stessi che infiammarono il dibattito di fine ottocentesco tra alcuni studiosi. Come quello che vide protagonisti l’archeologo e politico Michele Lacava che denunciò l’assenza di studi da parte degli eruditi che volutamente ignoravano la comprensione della storia delle popolazioni italiche, preferendo seguire i filoni ufficiali della storiografia greca e latina in voga e lo studioso Giacomo Racioppi in occasione dell’ufficializzazione del nome della regione che venne denominata “Basilicata”, sostenuta dal Racioppi, in contrapposizione a “Lucania” invece animosamente ma vanamente richiesta dal Lacava per il nome da attribuire alla regione.

Un invito all’approfondimento scientifico: gli studi sulle cinture murarie Lucane

A colmare le lacune sulla comprensione delle cinture murarie Lucane è l’importante studio di Roberto De Gennaro (Cfr R. De Gennaro, I Circuiti murari della Lucania antica IV – II secolo a.C. Fondazione Paestum Tekmeria 5 – Pandemos, Arti Grafiche, Salerno, 2005). L’autore, nel descrivere 64 circuiti murari tra Lucania e Cilento – Vallo di Diano, ne definisce la tipologia, lo sviluppo, l’ubicazione, la tipologia costruttiva, richiamando l’esigenza di eseguire studi e scavi sistematici su quello che può essere definita una evidenza ancora poco nota, salvo poche eccezioni che, se conosciuta e studiata con gli approfondimenti di tipo interdisciplinare – così come scrive l’autore – potrebbe svelare i misteri che ancora la topografia dei luoghi mostra per salvaguardare e valorizzare un patrimonio unico e irripetibile. Lo studio sui circuiti murari rappresenta una base fondamentale di conoscenza per dettagliare, arricchire e valorizzare la storia dell’uomo e il suo percorso di civilizzazione tra l’Oriente e l’Occidente che interessò la regione attraverso correnti di migrazione e di scambi culturali e commerciali.

Dal paleo-neolitico, attraverso la protostoria alla storia

La cosiddetta “rivoluzione del Neolitico”, con diversi gradi e intensità, riguardò l’intero pianeta. Alcuni ipotesi fanno ritenere che a causarla fu la necessità di cambiamento dell’alimentazione dovuta ai cambiamenti climatici che determinarono una drastica riduzione degli animali cacciabili in alcune zone della Terra, costringendo gli uomini a rivolgersi alle piante per soddisfare il bisogno primario di alimentarsi, così come avvenne nei siti Neolitici di Barricelle di Marsicovetere. Fu proprio questa necessità che spinse l’uomo, soprattutto nella Mezzaluna Fertile, a selezionare alcuni semi di cereali che rapidamente si diffusero nell’intero bacino del Mediterraneo. Secondo alcune ipotesi furono inizialmente i commercianti di ossidiana di Lipari ad introdurli nel sud Italia e in Europa, poiché furono i primi a procurarseli dai popoli del mare giunti da oriente e dal nord Africa. Rapidamente si diffusero, secondo alcuni ipotesi, in 100-200 anni in tutta Europa al ritmo di 3 Km circa verso nord, partendo da alcune regioni della Grecia e della Tunisia. L’esigenza dei popoli di aggregarsi in villaggi fu quindi dovuta alla necessità di trovare suoli idonei alla coltivazione dei cereali che ben si prestavano ed essere conservati e coltivati, assicurando un surplus che poteva essere conservato nel corso dell’anno e riseminato l’anno successivo o scambiato. Conseguentemente tale cambiamento indusse ad abbandonare la caccia come fonte prioritaria di alimentazione e prevedere forme miste. Questa specializzazione nell’uso alimentare introdusse anche lo scambio tra produttori agricoli e cacciatori fin tanto che anche per gli animali non cominciarono forme di addomesticazione e produzione di carne e formaggio (scoperta della caseificazione). Studiare pertanto questi siti permette di comprendere, in una determinata regione o area geografica, il livello di evoluzione delle prime comunità stanziali. Da questo punto di vista la sola ricerca archeologica è insufficiente ma andrebbe affiancata all’indagine sull’alimentazione antica che comporta un’analisi di tutti i resti di cultura materiale, compresi i resti umani e la sua morfologia. Con la cottura dei cibi i popoli avrebbero diversificato le abitudini alimentari attuando la prima rivoluzione alimentare attraverso la cottura dei cibi, cuocendo l’argilla per i contenitori e realizzando quelli funzionali per conservazione delle derrate e per i diversi sistemi di cottura. Nel VI millennio a.C. i contenitori cominciarono ad essere decorati lungo gli orli (decorazione cardiale – con le dita o con una conchiglia usata come stampo) oppure rastremati con figure geometriche impresse lungo i lati introducendo nei corredi funerari anche i vasi che in seguito vennero dipinti. L’allevamento del bestiame introdusse il latte e i suoi derivati, con la necessità di contenitori adatti ai liquidi e alla manipolazione dei cibi. All’interno della famiglia si cominciarono a distinguere i ruoli tra i sessi, funzionali al sostentamento della famiglia attraverso la produzione/preparazione del cibo, la tessitura e la cura dei figli, inducendo anche a proiettarle nei rituali connessi alle credenze religiose della comunità.

* Pandosia dedica l’articolo all’amica Francesca Leggeri che ha difeso i valori del territorio di Barricelle e della Civita che auspica possano essere conservati in futuro in modo religioso e rispettoso, così come lei ha fatto. Ringrazia inoltre: Tazio Recchia, per i suggerimenti e le informazioni relative alle località di Barricelle e Civita e sulle pratiche agricole antiche ivi praticate, Vito L’Erario per l’estrapolazione dal GIS sul tracciato della Via Herculia, Antonio Bavusi per i testi e le immagini a corredo dell’articolo, Felice Santarcangelo, per l’impegno che profonde a difesa del territorio.

 

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