L’Ambiente dei boschi Abetina e Lata di Laurenzana
di Adriano Castelmezzano (Luglio 2023) – Creative Commons Attribuzione – Non commerciale citando la fonte
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Grande esemplare di Abete bianco (Abies alba) – foto A.Castelmezzano 2023

Panoramica bosco Abetina – Foto A.Castemezzano 2023

Abetina di Laurenzana in primavera – foto A.Castemezzano 2023

Abetina in Inverno, cerri e abeti nella neve.Foto A.Castelmezzano – 2023

Fontana Acqua le Manche – foto A.Castelmezzano 2023

Abetina di Laurenzana: l’endemico Acero di Lobel – Foto A.Castelmezzano 2023

Tronco di cerro monumentale centenario. Foto A.Castelmezzano 2023

Fontana Acqua della Pietra. Foto A.Castelmezzano 2023

Tritone italico e Rana appenninica. Foto.A.Castelmezzano 2023

Orme di lepre sulla neve. Foto A.Castelmezzano 2023

Rampichino comune (a sinistra). Picchio rosso mezzano (a destra). Foto A.Castelmezzano 2023

Argynnis paphie (a sinistra). Morimus asper (a destra). Foto A.Castelmezzano 2023

Orchidee spontanee. Da destra a sinistra: Epipactis helleborine,Dactylorhiza maculata,Epipactis purpurata. Foto A.Castelmezzano 2023

Da sinistra a destra, dall’alto in basso: Rampichino alpestre,rampichino comune, Cincia bigia nella Foresta Lata, foro di picchio

Dall’alto in basso,da sinistra a destra: Giglio di S.Giovanni, foglie di Rovere meridionale, gruppo di alberi di Abete bianco, foglie di faggio

L’abete bianco

L’abete bianco (Abies alba) è una conifera tipica delle Alpi e delle montagne centro-europee con diramazioni nei Balcani e Carpazi. Nuclei disgiunti sono presenti nei Pirenei, in Corsica e lungo la catena appenninica, dove si associa soprattutto al faggio (Fagus sylvatica) e al cerro (Quercus cerris). Una volta era molto più diffuso ma le oscillazioni climatiche ma soprattutto l’intervento antropico, ne hanno ridotto di molto l’areale. Questo bellissimo albero che può raggiungere i 60 metri di altezza e arrivare a diametri di più di 2 metri, ha foglie disposte a pettine lungo i rametti e due linee stomatiche nella parte inferiore; la corteccia da giovane è liscia e di colore grigio chiaro, da cui il nome. Pianta molto longeva, in condizioni favorevoli può anche arrivare a 500-600 anni d’età. In Basilicata è presente in quattro stazioni: quello principale del Pollino (il nucleo naturale più esteso di tutto l’Appennino) e del vicino del gruppo dello Sparviere; nell’Abetina di Ruoti; nel bosco Vaccarizzo di Carbone e nei dintorni di Laurenzana che costituisce il secondo nucleo più importante della regione. A Laurenzana l’abete bianco si associa al cerro nella parte bassa e al faggio man mano che si sale di quota, formando talvolta anche piccoli nuclei puri, partecipando per lo più a boschi misti di grande bellezza e dal notevole valore naturalistico e scientifico. In questa parte dell’Appennino Lucano l’abete si colloca nella tipica fascia di transizione tra faggeta e cerreta ma si rinnova in abbondanza soprattutto in quest’ultima, grazie alle particolari condizioni di freschezza e umidità che qui trova anche a quote relativamente basse. I tanti toponimi diffusi in Basilicata ne attestano la diffusione in diverse zone della regione in cui è attualmente scomparso, a conferma che una volta quest’albero era parte integrante del paesaggio della montagna lucana e che la sua attuale rarefazione è dovuta in gran parte ai tagli indiscriminati dei secoli scorsi.

La Foresta della Lata

Acquisita dallo stato a seguito della legge 2 giugno 1910, n. 277 (legge Luzzati) un provvedimento che fu emanato per:” provvedere mediante l’ampliamento della proprietà boschiva dello Stato, alla formazione di riserve di legname per i bisogni del Paese, e per dare un razionale governo di essa, norma ed esempio ai selvicoltori nazionali“. Fu inizialmente gestita dallo stato tramite l’azienda speciale del demanio forestale dello Stato (1910-1927), poi Azienda forestale demaniali (1927-1928), quindi Azienda delle foreste demaniali dello Stato (1928-1933) e infine dall’Azienda di Stato per le foreste demaniali (1933-1977). Negli anni Ottanta si verificò il passaggio al demanio regionale della Basilicata che tuttora la possiede e gestisce.

La foresta demaniale regionale della Lata, estesa per circa 800 ettari, è costituita prevalentemente da querceti con roverella, cerro e farnetto (Quercus frainetto) assieme a pascoli in parte rimboschiti con latifoglie e conifere; la porzione più interessante è quella di quota che arriva a toccare 1.336 metri di altitudine dove sono presenti, sia pure in forma relittuale, piccoli nuclei di abete bianco associato al cerro e con faggio sporadico. In particolare nelle zone rivolte a settentrione è possibile ammirare belle cerrete mesofile mentre nel piano inferiore si trovano agrifoglio (Ilex aquifolium), acero campestre (Acer campestre)  e carpino bianco (Carpinus betulus); da ammirare, però, anche scampoli di boschi di forra, come quelli del fosso Abetone e del fosso dell’Inferno, dove convivono l’acero di Lobel (Acer lobelii), il tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), l’olmo montano (Ulmus glabra) e la poco frequente fusaria maggiore (Euonymus latifolius) a testimonianza della passata ricchezza e diversità dei nostri boschi. Salici e pioppi crescono lungo gli impluvi e nelle zone più umide mentre un vetusto esemplare della rara Quercia di Dalechamps vegeta nei pressi della masseria Baruncoli. (Consiglio L., Langerano P.A. 2004).

Molto diffusa è la felce aquilina (Pteridium aquilinum) favorita da suoli acidi qui rappresentati soprattutto da arenarie; sono terreni freschi e ricchi di falde acquifere, infatti proprio sotto la tempa Lata è presente un acquedotto a servizio di Laurenzana.  Lungo il tratturo che scende verso il paese esiste anche una piccola grotta censita nel catasto regionale delle cavità, denominata grotta della Lata.

A testimoniare la passata e consistente presenza dell’abete bianco nella foresta della Lata, sono rimaste alcune piccole zone particolarmente fresche e umide, dove pochi grossi esemplari vegetano nella cerreta; a supporto di questa presenza, non ci sono soltanto le testimonianze storiche, come quella ritrovata presso l’archivio di Stato di Napoli, ma anche la toponomastica locale, difatti una delle aree posta lungo il tracciato dell’acquedotto, è denominata proprio “Abetone” (parte alta del fosso Scarranfone), probabilmente per le grandi dimensioni che gli abeti raggiungevano in questa località. Un altro gruppo di grandi abeti bianchi è presente lungo il versante sud est del Monte Malomo, in località Petrariello, al confine ovest della foresta. Leggendo le relazioni storiche si potrebbe ipotizzare che la foresta della Lata fosse la zona di maggiore presenza della conifera nel territorio laurenzanese; difatti, le richieste di tagli di centinaia di abeti di grosse dimensioni nelle località Lata, Zuppariello, Molignana e Abetone lo fanno supporre, assieme alle grandi dimensioni degli stessi (unitamente al cerro). Il faggio non compare in queste relazioni di taglio, forse perché all’epoca già raro in quanto utilizzato in maniera intensiva per la produzione di carbone e legna da ardere, vista anche la vicinanza ai centri abitati.  Questi nuclei residui di faggio, sono molto importanti anche perché posti al limite orientale dell’Appennino Lucano in un’area, dove le condizioni climatiche attuali tendono sempre più a sfavorire la sua presenza e dove il cerro è adesso la specie dominante.  Piccole faggete sono presenti anche in altre foreste demaniali lucane, come il Bosco Grande di Ruoti e nella foresta di Monticchio.  Anche nell’Abetina di Ruoti, in similitudine alla Lata, il faggio è ridotto a pochi esemplari e il cerro e l’abete sono dominanti. Attualmente nella foresta che fu dei duchi Quarto di Belgioioso, l’abete bianco è presente in forma relitta ed è necessario che le piccole aree residue siano conservate e gestite secondo criteri prettamente naturalistici.

Tra le foreste demaniali regionali, la Lata è quella in cui le aree non boscate sono presenti in maggiore percentuale rispetto all’estensione totale e tale situazione è con ogni probabilità frutto del passaggio di mano dagli ultimi feudatari di Laurenzana, che l’avevano posseduta assieme all’altra difesa boschiva di Castelbellotto, a privati e latifondisti che l’hanno invece utilizzata secondo lo stile di tenute con indirizzo prevalentemente agro-silvo-pastorale. Una di queste famiglie è  quella dei D’Amato Cantorio, originari del materano: ” La tenuta denominata Lata in agro di Laurenzana era costituita da una parte boschiva e una di pascolo dell’estensione di 1.360 ettari circa e comprendeva un casone denominato San Leonardo e uno scariazzo denominato Cesine di Sopra adibito a pascolo vernotico e statonico …e una parte adibita a conduzione agraria in masserie denominate Baruncolo Grande, Baruncolo Piccolo e di sotto, Cesine, Nuova Fazzatore, Fantasia e Piano Le Case…”. (Cfr. Soprintendenza Archivistica per la Basilicata, Inventario dell’Archivio D’Amato Cantorio).  A testimonianza della scomparsa del bosco a favore di pascoli e arbusteti, ci sono alcuni toponimi come quello “Piano del Praino”, nella parte alta della foresta, il Praino è il Pero selvatico (Pyrus pyraster) qui presente assieme al più raro Pruno cocumilio (Prunus cocomilia), piccolo albero dai frutti giallognoli, rappresentante della flora balcanica nell’Italia meridionale. Ma ce ne sono anche altri che attestano l’intervento umano e la distruzione del bosco, citiamo ad esempio “le Cesine” e il vallone omonimo, con il significato di terreno disboscato mediante taglio e poi ridotto a coltura o pascolo.

Alla foresta della Lata è legato il ricordo di una escursione, quando dal tronco cavo di un vetusto e seccagginoso cerro, sbucò fuori un mustelide, che spaventato, si affrettò a fuggire tra una macchia di impenetrabili agrifogli dirigendosi proprio verso un gruppo di grandi abeti bianchi… Quella pelliccia marrone scura è ancora viva nella mia mente, come il dubbio che quel bellissimo animale potesse essere la rara ed elusiva martora.

L’Abetina di Laurenzana

La Riserva Naturale Abetina di Laurenzana, estesa poco più di trecento ettari e istituita nel 1988 a seguito della legge regionale nr.42 del 22/5/80, fa parte di un complesso forestale ben più ampio (circa mille ettari) per la maggior parte di proprietà comunale. L’area protetta fu istituita per tutelare un raro esempio di associazione forestale, unico in Italia, dove convivono il cerro, il faggio e l’abete bianco, quest’ultimo una volta presente con esemplari centenari e di grandi dimensioni. Il bosco si estende dai circa 1.000 metri di quota fino ai quasi 1.400 metri di altitudine del monte Tre Confini, ai limiti con i territori comunali di Calvello e Viggiano. (i Tre Confini in questione sono quelli tra i comuni di Calvello, Viggiano e Laurenzana e nelle vicinanze della cima passava un tratturo utilizzato dai pellegrini che si recavano al santuario della Madonna di Viggiano). L’Abetina di Laurenzana è oggi compresa per intero nel territorio del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano del quale costituisce una delle foreste più importanti e meglio conservate, già individuata come “bosco vetusto” dall’ente parco proprio per l’abbondanza di grandi alberi, morti o senescenti. Dovrebbe entrare a far parte della costituenda rete nazionale dei boschi vetusti italiani (sono foreste non gestite economicamente e non utilizzate da almeno sessanta anni).

Oltre alla zona centrale, quella che nelle carte I.G.M. è denominata “l’Abetina”, l’abete bianco è presente anche in altre aree che formano l’attuale demanio forestale del comune di Laurenzana: nella località Alvaneta, un toponimo tra l’altro molto significativo, in quanto indicante alberi dalla corteccia di colore chiaro (a testimoniarlo è proprio la presenza del pioppo tremolo, specie pioniera e che suggerisce un bosco in passato molto più aperto rispetto a oggi); poi lungo il torrente Cerreto;  nella località Alata, sulle pendici del Monte Malomo e infine nella zona del monte Tre Confini, del Fosso Monaco e dell’Acqua della Pietra, dove ci sono un ex rifugio forestale e una fontana fatti costruire dalla milizia forestale fascista. L’abete era però presente anche in altre zone dove ora è scomparso del tutto, ed è proprio il documento dell’archivio di Stato di Napoli a dircelo, elencando una serie di località, oggi non tutte facilmente identificabili. Dalle carte I.G.M. degli anni ’50 del secolo scorso è però ancora rilevabile la località “Abetinella” e la sorgente omonima, posta a nord dell’Abetina di Laurenzana; anche qui l’abete bianco non c’è più e il bosco è stato sostituito da pascoli e arbusteti. Da notare, infine, che l’abete bianco era sicuramente presente nella vicina foresta di Corleto Perticara, un bosco misto cerro-faggio molto simile all’Abetina di Laurenzana per caratteristiche ecologiche e naturali. (Andrea Famiglietti, 1969). Anche un altro famoso forestale, Lucio Susmel, il quale si occupò di redigere il piano di assestamento forestale del comune di Laurenzana per il periodo 1959-1968, ipotizzò che l’aspetto originario dell’abetina di Laurenzana fosse quello maestoso di una foresta chiusa e alta, ma i tagli disordinati decimarono gli alberi di piccolo e medio diametro (Ferrari Rocco., Piano di assestamento comune di Laurenzana, 2013-2022).

Nell’Abetina di Laurenzana a dominare il bosco è ora il cerro, mentre il faggio, per ragioni legate al suolo (qui sono presenti per la maggior parte rocce di natura argillosa, argilloscisti in particolare), riesce a essere davvero dominante sono in alcune aree. Nel resto della foresta il faggio accompagna ora il cerro ora l’abete, costituendo le tipiche faggeto-abetine appenniniche solo nella zona dell’Acqua della Pietra e del fosso Monaco dove sono presenti anche piccoli nuclei di abetina pura. L’abete, invece, si rinnova molto bene sia ai bordi della faggeta ma soprattutto nel più luminoso sottobosco della cerreta dove forma bellissimi boschi misti cerro-abete. In tutta l’area dell’Abetina sono ancora presenti grandi piante, a volte senescenti o già morte ma ancora in piedi, di cerro, faggio e abete bianco; quest’ultimo è oramai rappresentato da pochi grandi individui, relitti di antiche presenze, in particolare nella zona del fosso delle Manche e dell’Acqua della Pietra dove sono ancora radicati esemplari alti 25-30 metri e circonferenze di circa quattro metri.

Passeggiando nel bosco è possibile trovare molti individui di abete già caduti al suolo ma che continuano a essere un presidio di biodiversità e rifugio per micromammiferi, insetti, funghi, licheni, felci. Ma è il cerro a dominare la scena, come detto, con alberi monumentali che non si ritrovano in nessuna area forestale della Basilicata. Grandi e vetusti cerri sono presenti in particolare nella zona della riserva naturale regionale, molti ancora sconosciuti, altri ancora per fortuna già tutelati da provvedimenti legislativi e inclusi negli elenchi degli alberi monumentali lucani. Alcuni si nascondono nel cuore più profondo del bosco e appaiono al cercatore di alberi, quasi per caso, con i loro fusti cariati, i rami o le cime spezzati dalle bufere di neve e vento o dal tempo che li sta lentamente consumando, altri, invece, svettano ancora apparentemente sani, incutendo, a chi si ritrova al loro cospetto, un timore reverenziale e un’ammirazione difficilmente descrivibili. Nel loro tronco cavo trovano rifugio martore e faine, chirotteri, ghiri, nidi di api e soprattutto coleotteri, in particolare quelli legati alle foreste naturali meglio conservate e non gestite secondo fini prettamente economici, come purtroppo sta avvenendo anche da noi in Basilicata.  Altri bellissimi cerri sono presenti ai limiti del bosco o lungo sentieri e strade, come quello della località Ponte Pasquini, lungo la provinciale per Viggiano. Molti ancora sono posti in ex-pascoli, poi oggetto di rimboschimenti, testimoni di foreste recise dall’uomo che si spinse in alto alla ricerca di boschi da tagliare per far posto a pascoli e coltivi. Sono forse sopravvissuti per delimitare i confini di proprietà, per dare ombra agli armenti o per fornire ghianda ai suini.

Oltre alle tre specie dominanti, sono presenti altri alberi e arbusti, anche rari o dal grande significato biogeografico. Uno di questi è l’acero di Lobel (Acer lobelii), pianta endemica dell’Appennino meridionale, diffuso dall’Abruzzo meridionale fino alla Sila. Bellissimo per le foglie lungamente lobate e il portamento colonnare, un suo grande estimatore, il botanico Francesco Corbetta, che ne ha avuto il merito di farlo conoscere al grande pubblico, lo definì l’albero italiano per eccellenza, poiché, se si esclude l’ontano napoletano (Alnus cordata), dall’area più ampio e diffuso anche in Corsica, può essere considerato il simbolo della flora italiana. Nell’Abetina di Laurenzana si ritrova in ambienti di forra, come lungo il torrente Cerreto o assieme al faggio, dove forma la tipica associazione forestale presente nell’Appennino Lucano e individuata dai botanici come Aceri lobelii-fagetum.

Altre specie accompagnatrici del cerro sono il diffusissimo acero campestre e il carpino bianco, assieme all’agrifoglio, al corniolo (Cornus mas), ai biancospini, al sorbo comune (Sorbus domestica), al pero selvatico (Pyrus pyraster) al melo selvatico (Malus sylvestris) e al pruno cocumilio (Prunus cocomilia) Sempre nella cerreta è comune l’acero d’Ungheria (Acer opalus subsp. obtusatum) mentre lungo il torrente cerreto sono presenti anche lembi di vegetazione ripariale con salici di varie specie, tra i quali il salice dell’Appennino (Salix apennina). Molto rara è l’endemica rovere meridionale (Quercus petraea subsp. austrotyrrhenica), sfuggita a precedenti indagini botaniche e individuata solo di recente (inedito A. Sabino, D. Lorubio, D. Cardinale, A. Castelmezzano, 2012).

Più studiata sia dal punto di vista della flora sia della fauna rispetto alla vicina foresta della Lata, l’Abetina di Laurenzana conserva anche nella vegetazione erbacea molte piante rare e/o endemiche che ne accrescono la sua già grande importanza. All’inizio della primavera è possibile ammirare la rara peonia maschio (Paeonia mascula) che colora il bosco di cerro ancora spoglio (la sua presenza è indice di una lunga presenza del bosco), mentre tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate è possibile osservare le belle fioriture del giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum). Importante è anche la presenza di alcune piante erbacee endemiche, come il gigaro lucano (Arum lucanum) e la polmonaria degli Appennini (Pulmonaria appennina).  Tra le orchidee sono presenti, oltre a quelle più diffuse, alcune specie appartenenti al gruppo “Epipactis”: la più frequente Epipactis helleborine, la piccola Epipactis mycrophilla e la bella ed elegante Epipactis purpurata, quest’ultima è quella più tipica di queste formazioni forestali con faggio e abete. Un inciso a sé lo merita la misteriosa e introvabile Epipogio afillo (Epipogium aphyllum), orchidea dalla fioritura irregolare e che spesso sfugge anche alle osservazioni più accurate (segnalazione anche per il 2023 di Antonio Romano, in bibliografia)

Nei punti più freschi della cerreta è presente l’elegante sigillo di Salomone (Polygonatum odoratum) mentre in primavera nella faggeta, le fioriture dell’aglio Orsino (Allium ursinum) tappezzano ogni angolo del sottobosco creando uno spettacolo suggestivo di colori e profumi!

Una menzione a sé la meritano i licheni. Su tutti la bellissima Lobaria pulmonaria e altri licheni epifiti appartenenti allo stesso gruppo. Ricerche scientifiche confermano che la loro presenza è legata esclusivamente alle foreste naturali, non disturbate dall’intervento umano, a testimonianza di boschi vetusti con una lunga continuità ecologica. La sopravvivenza di cerri, aceri, faggi e abeti vetusti fa sì che questo lichene sia facilmente osservabile sui tronchi e nelle aree più fresche e umide del bosco.

Anche la fauna è di primaria importanza tanto che nell’Abetina di Laurenzana si sono conservate molte specie forestali, altrove scomparse. Tra gli uccelli un ruolo primario è assunto ovviamente dalle specie di bosco, alcune legate proprio all’abete bianco, come la cincia mora (Periparus ater), che qui ha un importante nucleo regionale; il suo caratteristico verso e il suo canto accompagna il visitatore nei tratti di abetina pura o con presenza di abete. Nella cerreta, invece, un ruolo importante lo assume la cincia bigia (Poecile montanus), altro paride legato a boschi estesi, freschi e ben conservati. Sempre nella cerreta, il rampichino comune (Certhia brachydactyla) si fa sentire con il suo verso e a questa specie è legato un altro ricordo, quello di un esemplare che incurante dell’escursionista-fotografo, perlustrava accuratamente un vecchio cerro marcescente (tipici sono i suoi nidi ricavati sotto le cortecce che si staccano dal tronco qui molto diffusi grazie alla presenza di piante marcescenti o morte ma ancora in piedi).  Altra scoperta è quella del più raro rampichino alpestre (Certhia familiaris), nidificante nelle vicine e più estese faggete appenniniche, è stato rinvenuto in un angolo di faggeta del Monte Tre Confini dove potrebbe essere nidificante. (inedito A. Sabino, D. Lorubio, D. Cardinale, A. Castelmezzano, 2012).

Anche il piccolo fiorrancino (Regulus ignicapilla), assieme al regolo l’uccello più piccolo d’Europa, è legato alla presenza dell’abete bianco ma più in generale di piante sempreverdi. Una menzione particolare la merita la bellissima balia dal collare (Ficedula albicollis), presente nei tratti più vetusti della cerreta, è un migratore di lunga distanza e può nidificare solo nelle foreste meglio conservate, disetanee e ricche di cavità naturali (la sua presenza è legata a quella dei picidi, picchio rosso mezzano, in particolare).

Molto diffuso è ovviamente il picchio muratore (sitta europaea) ma anche il raro luì bianco (Phylloscopus bonelli), assieme al luì verde (Phylloscopus sibiltatrix) e al tordo bottaccio (Turdus philomelus), tutte specie legate ai boschi montani, freschi e umidi.

Un capitolo a parte lo merita la famiglia dei picchi. Qui sono infatti presenti la maggior parte dei picidi che è possibile osservare in Basilicata, su tutti la popolazione del prezioso picchio rosso mezzano (Dendrocopos medius): è la specie più importante e rara e per la sua nidificazione necessita di ampie aree forestali, indisturbate e con grandi alberi (querce in particolare) in cui ricercare il cibo. Nidifica su alberi morti o marcescenti di cui l’Abetina di Laurenzana è molto ricca. Camminando nei tratti meglio conservati del bosco, si potrà ascoltare il suo richiamo lamentoso emesso in primavera con il quale delimita il territorio. Non solo, sugli alberi morti e ancora in piedi o con rami marcescenti si potranno scorgere, con un po’ di attenzione, i suoi tipici fori di nidificazione. Assieme al picchio rosso mezzano, sono presenti anche l’altrettanto importante picchio rosso minore (Dendrocopos minor) oltre ai più comuni picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) e picchio verde (Picus viridis). Sui ceppi marcescenti dei faggi e degli abeti, invece, sono visibili i fori di alimentazione del grande picchio nero (Dryocopus martius), qui non nidificante, ma che utilizza l’Abetina come probabile aree di alimentazione, forse ad opera di giovani individui erratici alla ricerca di cibo o di nuovi territori in cui stabilirsi.

Le zone aperte che circondano il bosco sono invece utilizzate da specie più tipiche di arbusteti e pascoli, come la bella averla piccola (Lanius colurio) e la tottavilla (Lullula arborea), un’allodola frequente nelle aree di pascolo situate a contatto con zone forestali, in aree ecotonali.

Tra i rapaci diurni sono presenti il nibbio reale (Milvus milvus), la poiana (Buteo buteo) e forse il raro falco pecchiaiolo (Pernis apivorus). Tra quelli più tipicamente forestali sono probabilmente nidificanti l’Astore (Accipiter gentilis) e il più piccolo e comune Sparviere (Accipiter nisus). Che emozione aver visto uno sparviere nei pressi del nido posto su un grande faggio! Tra quelli notturni, il più frequente è senz’altro l’Allocco (Strix aluco).

Tra i mammiferi, oltre alle specie più comuni, sono presenti il Lupo (Canis lupus), che in questa zona dell’Appennino Lucano ha avuto da sempre una delle sue roccaforti e altre specie tipicamente legate ai boschi di alto fusto o vetusti, come il gatto selvatico (Felis silvestris) e la rara ed elusiva martora (Martes martes) che beneficiano della presenza di grandi alberi, ricchissimi di cavità naturali. Tra i gliridi, oltre al più diffuso ghiro comune (Glis glis) è presente anche il piccolo e colorato Moscardino (Muscardinus avellanarius), minacciato dalle strade che percorrono il bosco e il più elusivo Topo quercino (Elyomis quercinus).

Per gli anfibi, sono particolarmente importanti le presenze dell’endemica e bellissima Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), del Tritone italico (Lissotriton italicus) e della Rana appenninica (Rana italica).

La fauna dei coleotteri è anch’essa di notevole interesse con diverse specie legate alle foreste naturali con grandi alberi e ricche di legno morto, come la bellissima Rosalia alpina, un cerambicide legato principalmente al faggio; sempre tra i cerambicidi è presente anche il Morimus asper, spesso visibile durante gli accoppiamenti. Tra gli scarabei, è presente il Cervo volante meridionale (Lucanus tetraodon), uno scarabeo della famiglia dei lucanidi, presente in Italia centro-meridionale, Corsica e Balcani. Al Morimus asper o forse al Cerambice della quercia (Cerambix cerdo) è legata un’antica tradizione presente in passato nel vicino centro di Corleto Perticara. Nei boschi tra Laurenzana e il centro della vicina valle del Sauro, si andava alla ricerca di questo coleottero per ricavare una sorta di collana-amuleto portafortuna da regalare ai bambini. (Spicciarelli Renato, 2004).

Adriano Castelmezzano

* Ringrazio l’amico Antonio Bavusi per aver condiviso l’idea di un articolo sui boschi di Laurenzana, lo ringrazio anche per aver interpretato e decifrato in maniera certosina i documenti d’archivio da noi ritrovati e che abbiamo presentato in questo articolo. Lo ringrazio anche per le tante lotte in difesa dei nostri boschi più belli affinché siano sempre conservati e gestiti su basi naturalistiche.

Foto aeree bosco con ampie radure nella zona del Ponte Pasquini. Anno 1951 – aut. I.G.M.

Bosco di cerro diradato e ridotto a ceduo. Attualmente l’abete bianco non è presente in questa zona. Anno 1951 (aut.I.G.M)

Località Acqua della Pietra. Grandi piante, probabilmente di abete bianco, “svettavano” nel bosco. Anno 1951 (aut.I.G.M.)

Bosco della Lata con residue aree boscate e pascoli – (aut.I.G.M. anno 1951)