Sull’identità del busto di Acerenza
di  Pandosia –  (Ottobre 2022) – Creative Commons Attribuzione – Non commerciale citando la fonte

Il busto di Acerenza (visibile presso il Museo Diocesano)

A leggere le numerose erudite testimonianze storiche che, a partire dal 1881, si sono susseguite in merito al famoso busto di Acerenza, ancora oggi siamo portati a chiederci quali siano i veri motivi alla base della controversia storica, che permane ancora oggi, con nuove attestazioni che aggiungono alle vecchie ipotesi nuovi dubbi circa l’identità del “mezzobusto” rinvenuto ad Acerenza. Esso ha tra le uniche certezze, l’epoca del suo rinvenimento, intorno al primo decennio del XVI secolo, allorquando la Cattedrale venne ricostruita per opera dei coniugi Ferrillo-Balsa, signori di Acerenza e di Muro; il luogo del ritrovamento, Acerenza; le due iscrizioni latine, sempre rinvenute ad Acerenza durante i rifacimenti della Cattedrale, che ricondurrebbero l’identità del busto all’imperatore romano Giuliano (IV sec. d.C.), così come attesta il grande epigrafista del mondo romano Christian Matthias Theodor Mommsen (Garding, 30 novembre 1817 – Charlottenburg, 1 novembre 1903), in C.I.L. IX, 417 (vol.IX, pag 43, XXII Aceruntia). Fatto conclamato è anche che il busto è collegato alle vicende storiche, religiose ed edilizie della Cattedrale di Acerenza, di cui inizialmente ne faceva parte. In una diocesi che vedeva la presenza di vescovi già a partire dal III sec. d.C. (Mommsen riporta fonti storiche che indicano come nella cattedrale il busto fosse presente nel 1504). Alcune ipotesi evidenziano come nello stesso luogo potesse sorgere un tempio pagano, forse dedicato ad Ercole, di cui però non vi sono elementi certi. Lo attesterebbe un ex voto in bronzo, noto come Ercole Acheruntino ed una coppa in vetro-oro dedicata da Oritus, patronus della città e proprietario terriero nella zona in cui si produceva il vino Acerentino.  Sulla coppa sono raffigurati n Memmius Vitrasius Oritus (prefectus Urbi dal 353 al 356 e dal 357 al 359), suocero di Simmaco, che avrebbe sposato la figlia Rusticiana, figlia di Costanzo II, nipote di Costantino. Secondo Torelli, il committente della coppa, un certo Vitalis, soprintendeva ad un latifondo regio ad Acerenza, con possedimenti anche ad Aecae (Cfr M.G. De Fino, un regionarius, servus del C.V. Claudius Severus, a proposito di CIL, IX,947. In Tituklu, 10, Epigrafia e ordine senatorio 30 anni dopo, Quasar Edizioni, Roma, 2014).

Ipotesi e dubbi

I dubbi sul busto di Acerenza sono stati espressi da vari eminenti autori, non senza ripensamenti, anche postumi, nell’epoca in cui sono stati fatti. Ricondurrebbero ora ai signori feudali di Acerenza, in una sorta di loro “avatar” ideale in pietra, ma realizzato nel XVI secolo. Tesi questa fatta propria, ad esempio, recentemente da schedatori dell’opera artistica (http://db.histantartsi.eu/web/rest/Opera di Arte/247). Secondo altri studiosi, il busto di Acerenza ricondurrebbe a Federico II, mentre per altri ancora a personaggi storici del Medioevo più o meno noti (basterebbe eseguire test sui materiali lapidei per poter risalire all’epoca del busto). Altri, invece, ne confermano l’identità (di seguito una scheda esemplificativa in progress, utile per contestualizzare questa problematica). E’ pur vero che sull’imperatore Giuliano Flavius Claudius Iulianus (Costantinopoli 6 novembre 331 – Maranga, 26 giugno 363) ha pesato (e pesa forse ancora oggi) l’epiteto di “apostata” (rinnegatore del proprio credo), lanciato da Gregorio di Nunzianzio, proclamato Dottore della Chiesa oltre mille anni dopo, nel 1568, da Papa Pio V.  Il termine ha certamente contribuito ha ridurre la portata storica della figura di Giuliano e, indirettamente, ha anche contribuito a contestualizzare storicamente la sua immagine come nemico dei cristiani (nonostante il busto di Acerenza sia rispondente alle descrizioni documentali e sia simile alle altre statue ed effigi dell’epoca dell’imperatore). Ma quello che non appare sufficientemente spiegato in sede storica contemporanea sono le epigrafi rinvenute ad Acerenza, che porterebbero invece ad attestare l’identità del busto, oggi custodite, presso il Museo Diocesano di Acerenza, ove sono state traslate, dopo la rimozione dalla Cattedrale. Una reca il nome dell’imperatore scolpito (vedi a lato) e l’altra riporta la dedica in latino da parte dell’ordo decurionumAl riparatore del mondo romano, al nostro Signore, Claudio Giuliano Augusto, principe eterno” [REPARATORI ORBIS / ROMANI D. N. CL. / IULIANO AUG. AETERNO / PRINCIPI / ORDO ACERUNT]. Bisognerebbe confutarne a questo punto l’autenticità nell’attribuzione all’imperatore Giuliano (di cui tra l’altro esiste scolpito il nome che secondo alcuni è stato erroneamente associato alla prima iscrizione) per poter affermare che il busto non raffiguri l’imperatore romano Giuliano. Motivazioni – secondo noi – non sufficientemente dimostrate, dal momento che le due epigrafi sono state rimosse in epoche passate dalla cattedrale di Acerenza ed entrambe è riportato inciso nella pietra il nome di “Giuliano”.

Giuliano, ultimo grande imperatore romano

Giuliano divenne imperatore, dopo che da piccolo la sua famiglia venne sterminata da suo cugino, Costanzo. Egli fu costretto pertanto alla fuga. Nel 361, Flavio Claudio Giuliano aveva trent’anni appena compiuti. Dopo studi condotti presso grandi maestri filosofi, prese il potere acclamato dei soldati e dal popolo, sconfiggendo le popolazioni che spingevano oltre il Reno a rioccupare i territori di Roma. Intraprese la sua azione riformatrice avendo come riferimento la “repubblica dei filosofi” teorizzata da Platone ed una profonda convinzione derivante dal suo credo religioso tra Cristianesimo e paganesimo. Il neoplatonismo e le vaste conoscenze derivanti da letture e studi, anche durante la campagna in Gallia, influenzarono non poco i provvedimenti adottati: egli licenziò gran parte del personale della corte di Costantinopoli; attuò una drastica riduzione della spesa pubblica, instaurando a Roma un rapporto tra poteri fondato sulla cogestione. Non ordinò mai alcuna persecuzione contro i cristiani, piuttosto si premurò di attuare una reale e pacifica coesistenza tra le varie fedi, enunciata in modo solenne nell’editto di Milano, rimasto però solo sulla carta. Pur dichiarandosi “pagano”, verso la religione di Cristo, Giuliano assunse posizioni chiare, riassunte in due lettere, indirizzate l’una al filosofo Massimo di Efeso e l’altra al governatore Atarbio. Nella prima scrisse : “Ora pratichiamo il culto degli dei apertamente… Celebriamo i sacrifici in pubblico. Abbiamo ringraziato gli dei con molte ecatombi. Gli dei mi ordinano di purificare tutto … e io gli ubbidisco con entusiasmo”. Nella seconda: “Non voglio che i Galilei siano uccisi, né che siano percossi ingiustamente, né che subiscano altri torti. Quello che dico é che bisogna preferire a loro gli adoratori degli dei”. Giuliano, per un verso, sostenne finanziariamente la causa pagana con la riapertura e la ristrutturazione dei santuari in Italia e fuori i suoi confini, con la ripresa delle liturgie abbandonate e, per l’altro, provvide altresì a mettere discordia tra gli stessi cristiani, richiamando dall’esilio diversi vescovi della Chiesa in modo che riprendessero gli attriti tra le varie fazioni, con accuse reciproche di eresia ed il conseguente indebolimento dell’istituzione ecclesiastica. In solo due anni in cui fu imperatore, questa politica gli procurò la forte ostilità del clero, che mostrò avversione anche nei confronti della sua politica riformatrice. Sino alla morte, avvenuta a trentadue anni, nel 363 durante la campagna militare in Persia, governò da Milano prima e poi da Costantinopoli, capitale dell’impero dal 330. Il suo busto ad Acerenza, testimonierebbe il clima esistente tra poteri religiosi e civili dell’epoca, in cui la questione religiosa e quella etnica, dopo la crisi dell’impero nel III secolo d.C., aveva trovato in lui un punto di equilibrio che venne rotto all’indomani della sua morte, portando al rapido disfacimento l’impero.

Acerenza, mesomphalos naturale del mondo antico

 Certamente più importante del busto dell’imperatore Giuliano di Acerenza sono le due epigrafi collegate, secondo il grande epigrafista del mondo romano, Mommsen, nella sua monumentale opera  CIL all’imperatore Giuliano.  Situata lungo le direttrici di transumanza tra il Mar Jonio e le valli del Bradano e Basento, sullo snodo delle Vie Appia e Herculia, lungo il Tratturo dei Greci, Acerenza veniva considerata città strategica per il controllo “a vista” di un vasto territorio da parte di eserciti e condottieri (la vista dalla cattedrale spazia dall’Adriatico fino alle prime montagne del Pollino e, a sud, dalle cime dell’Appennino da ovest fino a nord). La sua circonferenza visiva (il mesomphalos naturale, secondo l’espressione usata da Lenormant, un recipiente cerimoniale di forma circolare per il vino, con al centro una protuberanza circolare, utilizzato durante le libagioni). Intorno al borgo di Acerenza (“caelsae nidum Acherontiae” in Orazio), lungo direttrici circolari, si spostavano greggi e mandrie, “da e per” tutte le direzioni (una sorta di rotatoria per le greggi, mandrie e pastori di altre epoche), alimentando un’economia agro-pastorale con la produzione di carne, latte e formaggi. In epoche pre-romana e romana, nel sito dove venne edificata la cattedrale di Acerenza, era presente il tempio di Ercole, così come testimonia il ritrovamento negli anni 60 di una statuetta di bronzo dedicata all’eroe dei popoli dei pastori. Al semidio, uomini e animali affidavano la protezione della propria esistenza prima dell’avvento del cristianesimo. Il suo territorio e lo stesso centro abitato, ancora non del tutto esplorato sistematicamente dal punto di vista archeologico, potrebbe celare ulteriori scoperte che chiarirebbero il ruolo di Acerenza e del suo territorio nel contesto dei popoli antichi anche dal punto di vista religioso e militare. Tanto da erigervi una statua in onore di un imperatore Giuliano.

Attribuzioni ed ipotesi sul busto di Acerenza (da scheda esemplificativa presso data-base beni archeologici)