Spalla Ponte d’Aguzzo, di origine romana. Sullo sfondo, il Toppo d’Aguzzo
Arcata del ponte di origine romana
Sul ponte d’Aguzzo. Verso Albero in Piano e Fonte Teora, sulla Via Appia (coincidente con la strada borbonica del Procaccio di Melfi)
Sarcofago romano rinvenuto presso la villa romana ad Albero in Piano, sulla Via Appia
Paracarro spalla del ponte, di probabile origine romana
Crollo della spalla del Ponte Daguzzo
Selciato sul Ponte Daguzzo da conservare e salvaguardare, unitamente all’intero tratto in sterrato/selciato della Via Appia, dalle località Tuppo Daguzzo ad Albero in Piano
Valle dell’Olivento con lo sfondo il Toppo Daguzzo (a sinistra) e il Monte Vulture. Recenti ed inopportuni impianti eolici hanno deturpato il paesaggio
Toppo Daguzzo, con l’area archeologica risalente al neolitico II-III millennio a.C. e struttura ipogea, forse un tempio solare.
Pianta del villaggio del neolitico antico del Rendina (VI-VII millennio a.C.), nella Valle dell’Olivento, con capanne e fossati
Statuetta femminile rinvenuta nel villaggio del neolitico antico del Rendina
Marchi per sigillare le “cretule” rinvenuti nel villaggio neolitico del Rendina
Villaggio del Rendina: base di Rhyton, vasetto che conteneva il sale per il rituale, oppure base di oikoi , il cofanetto femminile che conteneva unguenti e sale presso gli antichi popoli enotri
I cambiamenti climatici spinsero i popoli a migrare da oriente verso le coste del Mediterraneo, dando così origine alla cultura “natufita” (dal sito di Uadi el-Natuf, in Israele). I popoli orientali, durante il neolitico (VII-VIII millennio a.C.), a seguito dell’incremento demografico nei luoghi di origine, portarono i semi e le piante in occidente, sulle coste dello Jonio e dell’Adriatico, diffondendo l’agricoltura nell’entroterra Appulo-Lucano e nei territori della fossa Bradanica, associando tali pratiche al culto degli antenati e della madre terra (villaggi del Rendina e Toppo Daguzzo – vedasi la statuetta votiva femminile ritrovata in località Rendina). La Valle dell’Olivento costituiva lo snodo di antiche vie percorse dalle popolazioni mesolitiche locali, dedite prevalentemente alla caccia, che assimilarono le tecniche di produzione agricola (agricoltura stabile e selezione dei semi), l’addomesticamento e l’allevamento brado e transumante dai piccoli gruppi di immigrati giunti da oriente (sul fenomeno complesso della diffusione demica, leggasi di Ammerman & Cavalli-Sforza, la transizione neolitica e la genetica di popolazioni in Europa, 1973, 1984). Nella Valle dell’Olivento (il fiume e la valle omonima hanno origine dalla confluenza della Fiumarella di Venosa con la Fiumara di Ripacandida) sono presenti siti archeologici che testimoniano l’incontro tra le popolazioni locali e i gruppi orientali immigrati tra il VII e VIII millennio a.C., con il rinvenimento di villaggi con capanne recintati da fossati popolati fino al II millennio a.C.. Questi gruppi coltivavano il grano, producendo il pane utilizzando forni in fosse di cottura, tipici della cultura natufita, incidendo la pasta con particolari marchi utilizzati anche per tatuare il corpo e sigillare “cretule o bullae” contenenti “gettoni” in argilla dipinta (tokens) che servivano a comunicare le quantità di grano e derrate alimentari da scambiare con altri prodotti con gruppi tribali affini lontani. Fenomeno, questo, ancora poco studiato in occidente, ma che in origine è presente tra gli Assiri della Mezzaluna Fertile, costituendo l’origine della scrittura cuneiforme. Nel villaggio del Rendina sono stati rinvenuti basi dei Rython vasetti con figure antropomorfe che contenevano il sale per il rituale magico-religioso d’importazione balcano-orientale, o base degli oikoi, cofanetti femminili che contenevano unguenti, sale e collane tra i popoli enotri.
Il ponte Daguzzo e la viabilità antica
Durante il periodo romano la valle era attraversata dalle vie Appia, Herculia e Herdonia-Venusia. Gli ampi panorami della Valle dell’Olivento spaziano dal Vulture alla collina a Toppo d’Aguzzo (II -III millennio a.C.) che domina il passaggio tra le valli. La via Appia attraversava la Fiumara di Ripacandida (Arcidiaconata dal nome del mulino presente sul fiume nel XVIII secolo) sul ponte Daguzzo, collegando la colonia romana di Venusia alla valle del fiume Ofanto, attraverso i ponti Pietra dell’Oglio e Santa Venere. Dopo Ponte Daguzzo, la Via Appia proseguiva sulla sinistra orografica il Vallone Teora e la fonte omonima, verso Albero in Piano dove, ancora non indagata e studiata, è presente una villa romana appartenuta a famiglie di alto rango dell’aristocrazia romana, nei pressi della quale venne rinvenuto, durante il rifacimento della strada nel periodo borbonico nel 1856, il sarcofago di Emilia, figlia del Console romano Scauro (oggi presso il Museo Nazionale di Melfi). La potenza romana, dopo aver assoggettato con le armi i popoli indigeni e colonizzato con le centuriazioni il territorio circostante, guardava alla conquista del ricco Oriente.
Il Villaggio di Toppo d’Aguzzo nell’età del bronzo
Toppo d’Aguzzo è una collina vulcanica cupolare, la cui sommità forma un’acropoli naturale, con terrazzamenti concentrici risalenti all’età del bronzo. L’insediamento si trovava tra la vicina Valle dell’Ofanto, il margine montuoso dell’Appennino Lucano e la pianura del Tavoliere, in un paesaggio agrario fortemente diversificato che permetteva di utilizzare risorse alimentari differenti (Cfr M.Cipolloni Sampò, l’Età del Bronzo nel Melfese. Foggia, 6 Maggio 1988). Il Toppo d’Aguzzo era attraversato dalla viabilità risalente al VII millennio a.C. Proprio grazie a questa ubicazione strategica, ricoprì nel III millennio a.C. fino al Medioevo un ruolo di centro per una rete di scambi a largo raggio. E’ presente sulla sommità della collina una fortificazione eneolitica, caratterizzata al suo interno da un’area sacra, con dromos e 4 ambienti ipogei, forse un tempio solare con “fori oracolari” simili ai templi maltesi (templi di Hagar Qim, Mnajdra e Tarxien) dove la luce solare, le fasi degli astri e il movimento dei pianeti facevano parte di un complesso rituale religioso, ancora poco studiato per quanto attiene Toppo d’Aguzzo, Nelle tombe ipogee sono state rinvenute sepolture femminili con monili di pasta vitrea, quarzo e ambra, a testimoniare il legame solare tra i defunti e gli uomini vissuti durante la media età del bronzo. Nell’acropoli è presente una struttura circolare gradonata in origine in parte ipogea, con un focolare centrale, forse utilizzata dall’élites civile, religiosa e dai guerrieri, a testimoniare la presenza di una organizzazione sociale evoluta. Queste presenze in un insediamento interno – secondo la studiosa Cipolloni Sampò – situato sull’asse di importanti itinerari di traffico commerciale, ripropongono il problema delle relazioni intercorse tra i Micenei e le comunità indigene dell’Italia meridionale nell’età del bronzo.
Il ponte romano durante il Medioevo
La via Appia, dopo Venusia, proseguiva in direzione di Taranto e Brindisi. Il ponte e la Valle dell’Olivento, il 17 marzo 1041, furono teatro della battaglia tra Bizantini contro i Normanni, che aprì la conquista del Sud da parte di quest’ultimi. Quattrocento cavalieri e cinquecento fanti Normanni guidati da Guglielmo Braccio di Ferro sconfissero l’esercito bizantino comandato dal catapano Duclinno, ben più numeroso di uomini. Dopo la battaglia, la città di Melfi rafforzò il proprio ruolo di capitale del regno normanno in Italia. In prossimità del ponte, la Via Appia seguiva una linea rettilinea lungo il Vallone Teora e, in senso opposto, verso oriente, seguiva il ripido “Tratturo vicinale Toppo d’Aguzzo” fino ad incrociare il “Tratturo vicinale Piano della Tesina”, proseguendo poi in direzione Venosa.
Il Ponte “Laguzzo”
Il “Ponte Laguzzo” così denominato (Relazione sul mantenimento delle strade nazionali, Roma, Tipografia Eredi Botta, 1886), venne realizzato all’epoca della costruzione della “Strada del Procaccio di Melfi” (il procaccio era l’addetto al servizio postale) che collegava Melfi a Venosa. Fu rimaneggiato nel 1869 “in muratura… costituito da una sola arcata a pien centro di metri 13,51 di luce”. La strada che lo attraversa, risulta ancora oggi imbrecciata e sterrata.
Teatro di scontri armati dopo l’Unità d’Italia
Il tratto del Cammino del Procaccio di Melfi, tra il ponte di origine romana d’Avuzzo, i Piani della Rendina e la località Sanzanello, furono il campo di battaglia nel mese di luglio 1863 di uno scontro tra le bande brigantesche di Schiavone, Caruso e Gioseffi contro i Cavalleggeri Saluzzo della Guardia Nazionale comandati dal luogotenente Borromeo. Perirono nello scontro armato 22 soldati e un numero imprecisato di briganti. Lo storico Angelo Bozza (1821 – 1903), all’epoca capitano della Guardia Nazionale, nel suo diario riporta la descrizione del conflitto armato: “…giunti poco sopra il ponte di Toppo d’Avuzzo il maggiore ordinò che si facesse tappa in quel punto fino all’alba, per timore di qualche imboscata da parte dei briganti. Allora ci muovemmo tutti e, giunti finalmente all’ingresso della rotabile che porta a Venosa, dopo un centinaio di passi, trovammo i primi cadaveri dei cavalleggeri dei quali numerammo ventidue fino a Sansanello ove fu trovato l’ultimo; tutti nel fiore dell’età, intorno ai 20 anni, tutti belli che il cuore d’ognuno faceva sangue a vedere tanto strazio di gioventù …” (Cfr. A. Bozza, Op.cit.). Una lapide nel cimitero di Venosa (riporta la data A.D. 1863) ricorda l’avvenimento, così come una lapide affissa nel 1903 all’interno della stazione delle Ferrovie dello Stato di località Rendina, chiusa definitivamente nel 2016 così come la tratta Ferroviaria San Nicola di Melfi – Spinazzola-Gravina in Puglia-Gioia del Colle, che riporta i nomi dei soldati periti nello scontro a fuoco.
Il ponte “Laguzzo” nelle descrizioni e sulle cartografie
Il Ponte sulla Fiumara di Ripacandida (Arcidiaconata) è catastalmente denominato “Ponte D’Avuzzo” (dal toponimo del sito neolitico Toppo Daguzzo, rif. cartografico IGM25k). Non risulta riportato sulla cartografia storica, mentre la cartografia Rizzi-Zannone (1808) non riporta la rotabile, catastalmente denominata strada provinciale Melfi-Rendina. Quest’ultimo tratto venne descritto nel 1832 da Afan De Rivera, soprintendente del Real Corpo dei Ponti e delle Strade: “…dopo la fiumara di Ripacandida, che valica col ponte detto Toppo Laguzzo, costruito da una sola arcata a pieno centro di m. 13,51 di luce – risale, quindi, con lo stesso andamento di nord-est il contrafforte che divide la valle della fiumara di Ripacandida dal torrente Olivento, donde scendendo nel letto di quest’ultimo, lo attraversa, per rimontare, con incomodo rampeggio a forti pendenze e con due tornanti all’altipiano di Lavello (quota m. 342,96). Nel rapporto generale sulla situazione delle Strade del 1827 la strada descritta “…dopo il miglio 103 giugne all’osteria della Rendina alla quale si prolunga fino al miglio 105 con altre due miglia di strada costrutta. Dal miglio 105 con altre due miglia di strada naturale si perviene a Lavello, donde per le vie naturali che sono rotabili si va a Canosa, Minervino, a Gravina ed a Matera”. (su queste antiche strade leggasi: di A. Motta, Da Venusia a Venosa – itinerari nella memoria, Ed. Appia 2, Venosa, 1993). Osservando il quadro di unione catastale del Comune di Rapolla e più in particolare il foglio n.6, il “Ponte d’Aguzzo” si trova dopo le “Rampe di Giannella” sul tracciato della “vecchia Strada Nazionale”, come prolungamento della “Strada Provinciale Rendina Melfi”. Nella cartografia catastale è visibile anche la “Strada Nazionale Contursi Barletta” e il “Tratturo Casamicce” che collega il ponte Daguzzo al “Tratturo Regio Melfi Castellaneta”.
Il Ponte Daguzzo oggi
Non risultano studi attuali di approfondimento e ricerca in situ, atti a delineare l’antica rete stradale e i manufatti del ponte con le eventuali presenze archeologiche che attestino la frequentazione dell’area immediatamente a ridosso del manufatto, mentre progetti eolici stanno snaturando fortemente il paesaggio circostante e compromettendo la viabilità antica, oggi divenuta di servizio ai suddetti impianti energetici. Il ponte presenta una duplice situazione di degrado, benché la struttura ad arco si presenti apparentemente in buono stato di conservazione. Infatti, i contrafforti laterali in muratura e pietrisco, di origine romana, presentano diversi crolli che stanno minando le stesse basi di appoggio della struttura centrale del ponte. Sul versante orientale è visibile un importante cedimento che potrebbe compromettere l’appoggio della base dell’arco centrale. Cedimenti riguardano anche parte delle banchine laterali, ove sono visibili i paracarri cilindrici originari di calcare marnoso e la massicciata in pietra della sede stradale. L’opera necessiterebbe di essere liberata dalle strutture metalliche installate per la misurazione delle portate del fiume, che potrebbero essere installate più a valle, su di un ponte di più recente costruzione, offrendo in tal modo una immagine consona al manufatto monumentale per il quale sarebbero auspicabili urgenti interventi di restauro conservativo atti ad evitare crolli ulteriori, con l’apposizione del vincolo monumentale da parte del Ministero per i BB.AA.CC. competente.

Quadro di unione catastale – Rapolla – foglio VI – particolare (cliccare sull’immagine per ingrandire)
Fonte Teora