di Franco Tassi (per gentile concessione dell'autore)
In decenni di battaglie naturalistiche, ho cercato di salvare migliaia di alberi ed intere foreste, sfatando l'opinione che il detto "pianta che non fa frutta, tagliala tutta", tipico del contadino toscano, rappresenti la vera saggezza popolare.
E' stata una lotta a colpi di idee e di civiltà contro scuri e motoseghe, che nascondono interessi e speculazioni enormi, assai poco note ed indagate dagli italiani. Nei 33 anni in cui ho diretto il Parco Nazionale più difficile, quello d'Abruzzo (prima che precipitasse nell'attuale sfacelo), avevo bloccato i tagli industriali, preso in gestione tutte le selve e le foreste (non per tagliare, ma per lasciar crescere e invecchiare in pace), rivelando il valore eccezionale dei grandi alberi, di quei patriarchi verdi plurisecolari che gli antichi adoravano come "sacri". E' stato calcolato che, grazie a questa strategia "controcorrente" che non mirava al profitto immediato, ma all'equilibrio e all'armonia con la natura, oltre 10 milioni di faggi siano stati sottratti al taglio. Ed è noto che proprio grazie a questo sistema idrogeologico sano, milioni di persone delle valli e pianure circostanti possono continuare a sfruttare acqua abbondante e di eccellente qualità. Molte ditte boschive e qualche forestale hanno masticato amaro, ma a tutti i Comuni proprietari dei boschi venivano riconosciuti equi indennizzi, che ancor ora rappresentano la base più solida dei loro bilanci. Eppure oggi l'aria è cambiata, e per qualcuno è ripresa la frenesia del taglio: magari per costruire piste da sci, là dove la neve non è più quella d'un tempo né la stessa delle Alpi, e dove d'inverno spesso ricrescono le margherite. Più in generale, comunque, ero forse riuscito a diffondere una cultura del bosco, con la riscoperta della ricchezza dell'albero e della foresta viva e vera. Perché, proprio come affermava Horst Stern, "L'uomo di tutto conosce il prezzo, di nulla conosce il valore". E poi ne paga le conseguenze, con alluvioni, frane e persino con una rapida corsa verso il riscaldamento globale, la desertificazione e la banalizzazione del paesaggio. Perché un bosco, cari professionisti del taglio, non può valutarsi solo a metri cubi di legname, ma per tutto ciò che ci dona ogni giorno in ombra, aria, acqua, suolo fertile e ricca biodiversità.
Ora che trascorro più tempo nella Maremma Toscana, resto sbigottito nel constatare quanto una regione così evoluta stia tornando indietro nella cura del proprio paesaggio e delle antiche, meravigliose querce che ad ogni scorcio lo caratterizzavano. C'è stata una forte campagna contro l'eccesso di autostrade: chi non ricorda la simpatica iniziativa della Regione? Una bella cartolina con "Tanti saluti dalla Maremma", ridotta poi dal megaviadotto a "Tanti saluti.alla Maremma". Oggi si dovrà lanciare un appello anche più profondo per la natura, del genere "Un saluto al paesaggio toscano"? Che se ne sta andando pezzo per pezzo, senza che molti se ne accorgano, e soltanto con poche flebili proteste. Dal Chiantishire alla Lucchesia, dal Pisano alla Maremma, molti stranieri considerano la campagna toscana come uno dei luoghi più favolosi dove vivere: e non si tratta certo degli ultimi arrivati, ma di scrittori, artisti, studiosi, giornalisti che hanno girato davvero il mondo. Forse dovrà partire proprio da loro l'allarme per il verde che scompare? Una volta avevamo un immenso Urwald (la foresta primigenia, misteriosa e inviolata). Poi lo trasformammo, con secoli di duro lavoro e unione con la terra, in un grande e ricco giardino, dove a campi coltivati, piccole fattorie e animali da pascolo si alternavano alberi colossali, fitte macchie e solenni boschi d'altofusto. Dove ci porterà il futuro? Sarà davvero la corsa verso lo Steckerwald (e cioè il bosco-stecchino, un alberello ogni 10 metri) – come disse una volta una signora bavarese che vive in Maremma – la nostra agognata meta finale?
Molti sintomi preoccupanti sembrano confermarlo. A parole tutti, sindaci, assessori, amministratori e forestali proclamano l'amore per la foresta e per l'albero. Di fatto, ci propinano poi nei canali televisivi privati una valanga di manifestazioni nel segno del taglio, con poderose motoseghe svedesi, per un bosco davvero "sostenibile", dove si ricaverà un bel po' di legname, facendo "pulizia" di tutto il sottobosco. Un ambiente quindi che non sosterrà né l'ecosistema, né l'equilibrio idrogeologico, né l'armonia del paesaggio: ma solo le tasche dei nuovi barbari, che passano razziando e lasciando soltanto la pallida ombra di ciò che avevano trovato."In Cina una muraglia di alberi contro la desertificazione", titolava tempo fa il maggiore quotidiano italiano: vale a dire una fascia di boschi di oltre 4.000 km, per proteggere le terre fertili. In Toscana, invece, si spalancano gioiosamente le porte ai vandali e al riscaldamento globale.
Maremma Toscana, estate 2003