L’antica Fiera di Senise (XV sec) – La via commerciale tra Jonio e Tirreno
di Antonio Bavusi – (Luglio 2023) – Creative Commons Attribuzione – Non commerciale citando la fonte
L’integrazione tra allevamento stanziale e cerealicoltura nel Medioevo creò il fenomeno dell’aggregazione antropica rurale denominata “casale”che evolvera verso l’unità produttiva agro-zootecnica della “masseria”, con la nascita della nuova rete mercantile delle “fiere” come luogo di vendita e acquisto dei prodotti

Resti murari della struttura del Mercato di Senise (XV secolo)

Stralcio cartografia Rizzi Zannoni (1807). Visibile la strada che collegava lo Jonio al Tirreno con il toponimo “La Fiera”

Cartografia storica dell’area della fiera con pianta del mercato anno 1830 (Op.cit)

Particolare relativo alla struttura del Mercato

Stralcio da Quadro di Unione catastale – Senise con la viabilità e la toponomastica locale. In rosso, la superficie relativa all’area del mercato (fg. 54, part.1)

Pianta del mercato (particolare)

Fiere durante il periodo Aragonese in Basilicata (A.Grohmann. Le Fiere del Regno di Napoli in età aragonese, Op.cit)

Lo stendardo del Comune durante la fiera

Dazi sulle transazioni Fiera di Senise nel mese di maggio 1488 (tratto da P.D’Arcangelo, Op.cit.)

L’antica professione dello speziale

Masseria fortificata Fanello del Duca Pignatelli Monteleone (XVI secolo), poco distante dall’area della fiera in località Bosco Pantano di Senise (G.Angelini, Op.cit). Nel 1915, durante lavori lungo la strada nazionale, furono rinvenuti in località Pantano i cosiddetti “ori longobardi di Senise”. La località è attualmente sommersa dalle acque dell’invaso di Monte Cotugno sul fiume Sinni realizzato tra gli anni 1970 – 1990

(tratto da P.De Grazia, Op.cit)

A Senise, nel XV secolo, era presente una comunità Ebraica dedita al commercio

Il commercio ovino avveniva per lo più attraverso mercanti locali. Dal 1600 a Senise operavano mercanti provenienti da Moliterno che smerciavano anche i loro prodotti caseari rinomati anche sulla costa Jonica

La fiera di Senise facilitò la nascita di una classe commerciale locale, con la vendita di prodotti durante tutto l’anno. In basso Pierantonio Sanseverino principe Bisignano e la moneta del carlino, utilizzata nel XV secolo per le transazioni

Stemma fam Clermont – chiesa S.Francesco d’Assisi – Senise (XIV sec.)

Catacombe ebraiche di Venosa. il simbolo del mĕnōrāh
L’antica Fiera di Senise (XV sec)
La fiera di Senise, istituita dagli aragonesi, si teneva ufficialmente dal 10 al 12 maggio ma poteva durare con il mercato dal 1 al 15 maggio. Si svolgeva sul piano di Senise in prossimità del fiume Serapotamo, affluente del fiume Sinni, lungo l’antica strada commerciale dei greci che collegava Siris sullo Jonio a Pixunte sul Tirreno. Questa strada dal Medioevo passava da Anglona e da Tursi, denominata in questo tratto “Procaccio di Tursi” nel XVIII secolo (vedi l’articolo su Pandosia dal titolo “Passaggio a nord-ovest). La fiera era dedicata alla compravendita di bestiame che si effettuavano all’interno del mercato costruito a Senise dai Sanseverino di Bisignano, luogo strategico per gli interessi commerciali di questa casata che gestiva numerosi feudi nell’area meridionale della regione dello Jonio. Il mercato di Senise (XV secolo) era dotato di un ampio recinto in muratura di forma rettangolare al quale si accedeva attraverso quattro porte (due principali e due secondarie), con spazi dedicati alla stabulazione degli animali, prevalentemente bovidi, equidi e maiali (dai documenti aragonesi non risultano compravendite di pecore) con fondachi e magazzini interni coperti sui lati adibiti alla vendita di mercanzie varie. I maiali con con i “neri” allevati “alla ghianda” allo stato brado nei boschi costituivano la specie maggiormente interessata da compravendite presso la fiera di Senise.
Commercio e commercianti nel XV secolo a Senise
A partire dal XIII secolo sorse in Italia la corporazione “Universitas mercatorum Italiae nundine Campaniae frequentiatium” (l’unione mercantile d’Italia e dei comuni campani) come effetto della partecipazione di mercanti italiani alle fiere europee in Francia (Champagne), nelle Fiandre e in Spagna. Già con Federico II nel 1234 si decise la creazione di un ciclo annuale di sette fiere nelle province continentali del Regno, probabilmente sull’esempio delle fiere di Champagne del sec. XII (il denaro di Provins circolava anche in Puglia nella seconda metà del sec. XII). Il ciclo si apriva in primavera nel nord del Regno e si chiudeva in autunno nel sud, con le fiere di Sulmona, dal 23 aprile al 3 maggio; Capua, dal 22 maggio all’8 giugno; Lucera, dal 24 giugno al 10 luglio; Bari, dal 22 luglio al 10 agosto; Taranto, dal 24 agosto all’8 settembre; Cosenza, dal 21 settembre al 9 ottobre; Reggio, dal 18 ottobre al 10 novembre. Ma è solo dal XIV secolo che, seguendo le rotte navali e quelle terrestri, le vie commerciali (platee) aprirono nuovi sbocchi ai prodotti, incrementando sul territorio lo scambio dei beni e la ricchezza. Furono le casate angioine e aragonesi nel Sud Italia con Carlo I, primo re di Napoli della Casa d’Angiò e Alfonso di Trastámara, detto il Magnanimo primo re di Napoli della Casa d’Aragona a riformare le prime leggi normanno-sveve in materia di commercio. Questi due sovrani, non senza difficoltà e in periodi storici differenti, tentarono di attuare un vasto programma di riforme amministrative nel regno di Napoli cercando di controllare i baroni e i funzionari locali attraverso il fisco. La politica Aragonese assumeva così la duplice funzione di rimpinguare le casse della corona e mantenere un efficace e capillare controllo dell’ordine pubblico sul territorio e soprattutto sui feudatari locali ribelli. Lo scontro tra la corona e i poteri locali si era già acuito durante i regni di Giovanna I (1343-1382) e Giovanna II d’Angiò (1414-1435).
il controllo delle strade e del territorio nel periodo aragonese
La monarchia aragonese con l’istituzione delle reti fieristiche regionali e sopraregionali, affrontò il problema della tutela dell’ordine pubblico mantenendo il controllo delle vie principali del regno con le “lictere Passus” (lettere di esenzione del pedaggio) e l’istituzione di dogane alle quali erano preposti agenti del Passus e doganieri. Il quadro delle vie di comunicazione esistenti nel Meridione nei secoli XIII-XV può fornirci una prima parziale visione dei possibili canali di distribuzione delle merci e dei prodotti interni del Regno limitate dalle vie di comunicazione. In Molise, Puglie, Basilicata, Calabria e costa tirrenica erano state autorizzate 230 fiere per lo più concentrate in due periodi (marzo – maggio e agosto-ottobre). In Basilicata, oltre alla fiera di Senise, nel periodo aragonese si tenevano quelle di Matera, San Mauro, Corneto (Corleto), Pescopagano, Lagunero (Lagonegro) Policoro, Tricarico, Muro, Potenza, Atella. Merci, animali e uomini seguivano itinerari spesso difficoltosi in condizioni climatiche e antropiche difficili.
La fiera e il mercato a Senise (XV secolo)
Alfonso il Magnanimo fece stabilire a Senise, forse proprio per esercitare un controllo nei confronti dei feudatari del luogo, i potenti Sanseverino, un ramo della famiglia Borgio che venne in Italia nel 1421. A Senise nacque, nel 1475, Girolamo Borgio da Antonio e Girolama Rufolo. Girolamo Borgio fu fedele, come tutta la famiglia, alla causa spagnola, combattendo contro i Francesi di Carlo VIII nel 1495, al comando di Gonzalo de Córdoba. Ma le sue ambizioni avevano carattere letterario. Trasferitosi a Napoli, divenne allievo di Giovanni Pontano, maestro di quell’Accademia di cui divenne il successore. Senise si trovava sull’antica via che da Taranto, lungo la costa Jonica (Tratturo del Re) risaliva da Anglona lungo la Valle del Fiume Sinni, fino alla costa del Tirreno (era stata l’antica strada dei greci). I Sanseverino di Bisignano consideravano la Contea di Chiaromonte e Senise, che ne faceva parte, il “baricento” commerciale per lo smercio dei propri prodotti e soprattutto lana, sale e le altre merci provenienti dai numerosi feudi calabro – lucani della casata. Sullo snodo di Senise confluivano presso la fiera e il mercato venditori e compratori lucani, pugliesi, campani ma anche esteri e di altri luoghi d’Italia (di seguito si riporta la tipologia del mercato presso la fiera di Senise tratta da documenti aragonesi).
L’edificio del Mercato (XV secolo)
Di particolare originalità architettonica è l’edificio del mercato. Si deve probabilmente la sua costruzione a Bernardino Sanseverino, padre di Pietro Antonio Sanseverino, principe Bisignano (il feudo di Bisignano in Calabria era stato acquistato da Luca Sanseverino il 26 marzo 1462 per la somma di 20.000 ducati. Alla sua morte avvenuta nel 1472, il feudo divenne proprietà del figlio Girolamo). L’organizzazione della locale “feria” (fiera deriva dal latino feria, “giorno di festa”) rientrava nel calendario aragonese. L’organizzazione interna alla fiera e al mercato che ne faceva parte, si svolgeva “ufficialmente”, secondo il calendario aragonese del 1488, dal 10 al 12 Maggio. L’organizzazione degli spazi e delle compravendite del bestiame erano invece demandati all’Università. Si apprende da un documento di reintegra del 1575 che richiama quella precedente del 1475 sullo “Status Principi Bisiniani in Terra Senisii” come l’edificio del mercato a Senise era stato costruito “ubi fuit forum seu Mercatum intus quod sunt domus principalis Curiae consistentes in pluribus et diversis membris inferioribus et superioribus, ac etiam apotechae fabricae quae tempore dieti fori locantur per Principalem Curiam mercatoribus et aliis dictum forum adeuntibus” ovvero “…dov’era il foro o il mercato entro il quale è la Curia composta da più e diversi membri inferiori e superiori e anche magazzini che vengono affittati a mercanti e altri che vengono al momento”. Da questa descrizione desunta da documenti presso il geografo Paolo de Grazia, nativo di Senise, è possibile desumere l’aspetto originario della struttura edilizia del mercato. L’edificio del Mercato – descritto dal geografo De Grazia in base a documenti da lui consultati riferiti al 1575 – indicava come la “fiera si fa distante da detta terra di Senise due terzi di miglia” e il mercato era formato “… da sette case, aperte sul davanti e chiuse da un muro con una grande porta, dette comunemente Logge del Mercato… ove è un luogo scoverto murato di forma quadrata bislungo con quattro porte, dove è solito smaltire li panni ed altro, da fuora di esso vi è un ospizio di case con magazzini e camere sopra per comodità dei ministri. Dalle due descrizioni emergerebbe che nel 1575 fossero rimasti solo sette edifici dei 36 totali e che il mercato fosse “scoverto” nella parte centrale. Gli edifici delle “apoteche”(botteghe) presumibilmente fossero coperti e disposti su due livelli.
La pianta del Mercato
Una “Pianta del Demanio del Mercato” realizzata nel 1830 a “penna aquerellato” dal regio agrimensore Nicola Maria Andriolli con la scala in “passi napolitani”mostra l’edificio rettangolare del mercato con 4 aperture ad arco in mattoni disposte ad arco su un muro perimetrale in pietra (due ingressi principali sui lati più corti e due secondari a metà circa dei due lati maggiori). La sua forma ricorda quelli analoghi presenti in Francia nel XV secolo. Dalla mappa è visibile all’interno la sequenza di 18 archi disposti su ambedue i lati interni per un totale di 36 (attualmente ne risultano visibili solo alcuni sul lato est) che dividono i locali coperti disposti su due livelli adibiti a fondachi e magazzini dalla piazza interna (ove probabilmente venivano effettuate le compravendite). Dal catasto terreni del Comune di Senise (Quadro di Unione Catastale – Comune di Senise, fg. 54, part.1) è possibile desumere la dimensione originaria dell’edificio adibito a luogo della contrattazione per la vendita e l’acquisto delle merci e del bestiame che forse venivano introdotti all’interno secondo un ordine prestabilito per lotti e categorie merceologiche. L’edificio misurava 104,59 mt. di lunghezza e 19,39 mt. di larghezza con una superficie totale di 2.028 mq (Cfr . Il Disegno del Territorio, Istituzioni e cartografia in Basilicata 1500-1800. Catalogo della mostra a cura di G.Angelini. Edizioni Laterza, Bari, 1988).
Secondo lo studioso locale Francesco Bastanzio (Cfr F.Bastanzio. Senise nella luce della storia. A cura di I.Corrado. Rubettino Editore, Catanzaro 2022)”...il Principe Pietrantonio molto si interessò per incrementare le nostre fiere. Cristoforo Pepe dice che la fiera di Castrovillari sminuì la sua importanza a causa
del Principe di Bisignano che possedeva molti feudi nei dintorni di quella città, e proibì a quei coloni di recarvisi per richiamarli alla fiera di Senise. Si celebrava il mercato di agosto e quello di maggio: i proventi del primo erano a favore dell’u- niversità, quelli del mercati di maggio cadevano in beneficio del Principe”. Del mercato di agosto trovo notizia in un atto del 1276.La fiera di Santa Lucia dovette essere istituita dopo il 1615, anno in cui vendettero i diritti della fiera di agosto ai Pignatelli”.
“Appena la fiera cominciò a perdere d’importanza – scrive il De Grazia – il materiale murario, caduto o fatto cadere, servì alle vicine costruzioni di case rurali. Il palazzo degli uffizi e quello dell’albergo non esistono piú; pezzi di muro s’intravvedono in fondo al fiume Serrapotamo e nell’estremo lembo della pianura. Gli ortolani della sponda opposta hanno deviato spesso dai loro orti le acque rapaci, e queste, in due volute, sbattendo sull’altra ripa, hanno inghiottito l’edifizio. Ancora ai tempi nostri, in questo stesso mercato, ma sotto baracche di tavole, si celebra la fiera, la quale in questi ultimi anni è ridotta a pochi animali e cianfrusaglie e dura un giorno e mezzo”.
Secondo Bastanzio la fiera ” …il nobile signore Gilberto De Nicheta da Senise, valletto e siniscalco del conte, assumeva obbligo col Sagittario che gli aveva concesso in enfiteusi la Chiesa di San Costantino, sita in territorio di Noia, con case, rendite, vigne, territori ecc. Di pagare quindici tarini di oro, ogni anno ben ponderati, il sesto giorno del mercato di San Giovanni in Senise, che cade nell’ultima settimana del mese di luglio. I giorni nundinali (di fiera) erano venti: avevano inizio all’ultima settimana di luglio, ma terminavano in agosto, onde il nome di Fiera di Agosto. La costruzione delle fabbriche che costituivano il mercato di Senise era imponente ed antica. Sul principio del 1900 i muri, in parte diroccati, chiudevano ancora tutto il perimetro e davano ancora chiara l’idea della vastità dell’edificio. Una concessione poco saggia ne permise l’abbattimento e l’utilizzazione del materiale quando venne costruito il ponte su Sinni. Ad una sessantina di metri, verso ovest, era un altro edificio a due piani, destinato al Maestro di fiera e alla forza necessaria per la tutela dell’ordine. Il Serapotamo, nel suo secolare lavoro, facendo gomito in quel punto – forse anche perché spinto e avviato dai ripari al Pantanello – l’inghiottì; ora resta ancora visibile un pezzo del muro anteriore lungo m. 32. Per tradizione è noto che l’apertura del mercato si faceva con un’inaugurazione solenne. In anticipo si procedeva alla nomina del Maestro di Fiera con un decreto firmato da feudatario. Vessillo in testa, Maestro giurato, sindaco, eletti e popolo formavano corteo e si recavano al Mercato. Colà giunti, si sparava il rituale colpo di cannone, veniva issato il Vessillo sull’ingresso principale dell’edificio, che misurava la lunghezza di metri 200, con ottanta vani a volta, in cui si allogavano i rivenditori colle loro mercanzie. Nel centro era un vasto cortile in cui si accedeva per mezzo di quattro aperture. I primi giorni erano assegnati per la compra vendita del bestiame, nei giorni successivi si vendevano manufatti. Ecco le particolarità che rilevo dal Marino: in quanto alla fiera di Maggio, con tutti i suoi lucri, quale si fa distante da detta Terra due terzi di miglio, dov’è un luogo scoverto, murato di forma quadrato bislungo, con quattro porte dove è solito smaltire li panni et altro. Da fuori di esso è un ospitio di case con magazzino e camere sopra per comodità dei ministri e comincia detta fiera dal primo di detto mese e finisce alli quindici di detto mese colla dogana nello infrascritto modo: per qualsiasi panno, tela, velluto, drogheria, ferri lavorati e non lavorati, zucchero, cose di spezieria et aromatiche e altre robe per le quali si paga a detta Corte grana quindici per onza e si esigono dalli compratori carlini quindici a basso, si esige un tornese per carlino. Per qualsivoglia sorta di animali si paga dalli venditori grana dodici per onza, dalli compratori grana dieci. Per ogni cavallo, giumenta, mula e pulledro si pagano carlini quattro e cioè due dal venditore e due dal compratore. Per qualsivoglia somaro si pagano grana dieci dal venditore e dieci dal compratore; per qualsivoglia soma di rovagna grana cinque, per qualsivoglia soma di legname cioè tavole e altro, grana cinque. Si possiede pure dalla detta Corte che in detta Fiera non si possono consegnare animali né ricevere li prezzi di quelli se prima non sia venuto il Vessillo, atteso li venditori sono tenuti farne dogana e dichiarare il prezzo della vendita a detta corte e a quelli che contravveniranno si esige la pena contenuta ne li banni e duranti detta Fiera i cittadini della Terra sono tenuti custodire il Vessillo, si esige dalla detta corte che li cittadini sono tenuti quello accompagnare così nell’andare in detta Fiera, come il ritornare di detta Fiera. Esige detta Corte un grano da qualsivoglia persona che si parte da detta Fiera d’andarsene et si fa una cartella acciò non sia defraudata la dogana dei suoi diritti. Sono tenuti nel tempo di detta Fiera di detto mese di maggio custodire il passo li cittadini di Chiaromonte, Teana, Piscopia e S. Martino e ritrovando gente, con animali o senza, che se ne andassero da detta Fiera senza licenza, carcerarli. Li cittadini di detta terra sono franchi di dogana in detta Fiera e non possono essere convenuti fra di loro per cause civili, per privilegio concessoli da detto Sig. Duca, ma detti cittadini sono tenuti condurre in Fiera tutti li legnami necessari gratis. Li detti cittadini facendo taverna e infrascata in detta Fiera son tenuti a pagare a detta ducal Corte un tari per ciascuna taverna, nella quale Fiera li cittadini di Chiaromonte possono vendere il vino gratis. Di quei tempi erano numerosi gli allevamenti di bestiame e v’erano ottime razze, delle quali la fiera costituiva l’esposizione. I proprietari ne curavano il miglioramento ed ambivano presentare soggetti di pregio per accreditare gli allevamenti. Venivano le mandrie dei bovini coi campanoni di bosco: bestie indisciplinate e selvatiche, tenute in gruppi dagli urli e dalle verghe dei vaccari. I massari, in testa, cavalcando su bellissime giumente, andavano a scegliere il posto ove collocarle. Oltre gli animali della Corte del Principe erano rinomate le mandrie di vacche di S. Nicolò, del Sagittario e ancora si ripetono, per tradizione, i nomi delle bestie scelte, che ebbero gloria in vita. Tutte le famiglie senisesi, che si distinguevano per censo, allevavano bestiame: Antonello Rufolo aveva cento bovi da lavoro nella masseria e trecento “bacchi al ferro”. Le morre degli agnelli, con le loro candide lane sul dorso, invadevano il piano. Si agglomeravano gruppi di giumente, di asini, di puledri. Figuravano belle razze nostrane accanto a gli equini di Calabria, che venivano apprezzati, oltre che per la resistenza anche per la destrezza nell’inerpicarsi in sentieri alpestri. I mercanti, che viaggiavano a cavallo formavano squadroni. Seguivano il bestiame, sempre insieme, raccolti, ben armati per la difesa, in caso di aggressione di malviventi. E viaggiavano per giornate intere; per una settimana quelli che raggiungevano Napoli, soffermandosi alle varie tappe tradizionali, esponendosi alle ingiurie del tempo, qualche volta severe, attraverso le montagne. L’allenamento, più che un maggior vigore fisico, permetteva quell’impiego di forze nell’esercizio di una professione non scevra di pericoli, attraverso boschi, monti e campagne solitarie e tanto piena di travagli. La fiera coll’esposizione di tutte queste cose e animali interessava tutte le categorie di persone. Era infatti soltanto nella fiera che potevano farsi le provviste necessarie ad ogni famiglia. Vero che l’industria casalinga provvedeva largamente alla manifattura delle tele e dei panni pesanti di lana, poi quali lavorarono le gualchiere fino al principio di questo secolo, ma i tessuti fini venivano di fuori e quindi si acquistavano in fiera. Il movimento dei forestieri era enorme, magno adiacentum populorum, et totius regni provinciarum concursa, scriveva il Santoro. In grazia all’ospitalità comune per tradizione antichissima a tutti i paesi della Lucana (che voi che per lungo tralignar d’etade non ismetteste l’ospitai sorriso) parenti o amici, che di fuori si recavano a Senise, erano cordialmente ricevuti e ospitati in tutte le famiglie. Si faceva a gara per offrire agli intervenuti tutto il conforto necessario e in quelle evenienze si rinsaldavano amicizie e spesso, sorgevano le occasioni per stabilire nuovi vincoli di parentela. Quindi pranzi sontuosi, regali, strenne, una vera festa. Giornate di occupazioni gravi ma liete per tutti. La vita monotona usuale, s’interrompeva. Alle giornate di contrattazioni estenuanti, vivaci, clamorose per giuochi di interessi e movimenti di affari, con reciproco aiuto, seguivano le serate interminabili di conversazioni piacevoli e varie, a cui facevano le spese e offrivano materia di diversi paesi degli intervenuti: recriminazioni contro i feudatari, urti coj Conventi, di Chiese, di Signori. Era l’annuale rassegna della vita del distretto. S’ignora la data della sospensione della Fiera di agosto. La Fiera di Santa Lucia dovette essere istituita dai Frati Cappuccini, dopo il Seicento, perché nella relazione del Marino non se ne fa menzione. L’università volle certo così rifarsi della piazza d’agosto già venduta al Pignatelli“.
L’organizzazione della fiera – mercato
La fiera nei documenti d’epoca è generalmente indicata indistintamente con i termini “fiera, feria, nundinae, mercatum, foro, paniere e mercato” anche se la differenza con il termine fiera è che quest’ultima consiste in un mercato che si svolge sempre in un determinato periodo dell’anno inteso come raduno organizzato di mercanti provenienti anche da lontano organizzato prevalentemente su diverse tipologie di merci. Le tre fasi della fiera erano rappresentate dalla presentazione delle merci, dalla vendita e dal pagamento che non avveniva quasi mai in contanti ma era dilazionato o alla prossima fiera nella stessa località o ad altra fiera pagando nei rogiti notarili in ducati, tarì, carlini, grani e cavalli. Da ciò il sorgere delle “lettere di fiera” che servivano a constatare le obbligazioni delle parti, le quali s’impegnavano a soddisfarle all’epoca in cui si sarebbe tenuta quella determinata fiera. Sempre il De Grazia descrive il cerimoniale della fiera di Senise, riprendendo alcuni dettagli dal Bastanzio. L’antica fiera era aperta dal Vessillo, portato dal Mastro d’Atti (addetto alla redazione scritta e custodia degli atti di compravendita) e da un Conestabile (Ufficiale di corte, con varie attribuzioni), gli eletti dal Capitano (in genere un ufficiale militare), che dovevano stabilire la dogana e dichiarare i prezzi di vendita alla Corte (era presumibile che l’accesso dovesse essere preceduto dalla dimostrazione di aver pagato i diritti della dogana). Per i contravventori dei prezzi erano stabilite le pene contenute nei banni (bandi). I cittadini di Senise dovevano custodire il vessillo, accompagnarlo nell’andata e nel ritorno. Le persone convenute, nell’andarsene, dovevano pagare una tassa, risultante da un cartello, acciò non sia defraudata la Dogana dei suoi diritti e debbono vigilare il passo dei cittadini di Chiaromonte, di Francavilla, di Signano (forse Teana), di Piscopia (Episcopia) e di S. Martino incarcerando i senza licenza. I cittadini di Senise non pagavano la dogana e non potevano essere convenuti in detta fiera in cause civili per privilegio, ma vi debbono portare gratis legna. Le loro taverne o infrascate pagano un tarí; non pagano i chiaromontesi per la vendita del vino. Nel tavolario sono stati riportati, dagli anni 1662 al 1665, i campi, le doganelle, la dogana delle merci e la dogana delle bestie che il Duca di Sangro (succeduto ai Bisignano) riscuoteva, tanto dai venditori quanto dai compratori. Tra gli Uffici del Catapano o Capitanio (ufficiale) era quello di dare le assise e presiedere ai “pesi e alle misure” della fiera ed organizzare il rafforzamento dei presidi da parte di milizie lungo le principali vie di accesso alla fiera. La grandiosa fiera durava dal 1 al 15 maggio, ciò che dà la misura della sua importanza: la vastità del piano ove era celebrata non era ancora in gran parte coperta da oliveti, le acque abbondavano nei fiumi Sinni e Serapotamo, che sono un dono di Senise. Le loro acque correnti erano però privilegio e consuetudine della Ducal Corte: nessun cittadino poteva derivarne per molino, deviarle dal corso senza licenza, ma poteva adacquarne i giardini (si chiamano ancora così gli orti), e altro, a maturar lini e cannavi senza licenza, eccetto che l’acqua, che va alla vigna del Duca, quale al presente è distrutta e serve per ortolizii» (Cfr P. De Grazia. Per la storia di Senise. In Archivio storico per la Calabria e la Basilicata. Anno XIII, MCMXLIII. Editore Aldo Chicca, Tivoli. La chiusura della fiera era annunciata dai sergenti di fiera col suono di tamburo o con la tromba per richiamare l’attenzione della gente e delle autorità sul termine legale per le contrattazioni.
Le contrattazioni del mese di maggio 1488
La fiera – mercato si svolgeva in Maggio, in occasione della transumanza primaverile dalle marine joniche verso i monti della Lucania. Si teneva ufficialmente, secondo il calendario aragonese, dal 10 al 12 maggio, prima della fiera di Policoro, che si teneva il 15 Agosto, giorno dell’Assunzione e dopo le fiere che si svolgevano in Puglia nei mesi di marzo-aprile secondo le esigenze della Dogana di Foggia. I possedimenti dei Sanseverino si estendevano dalle coste del Tirreno, allo Ionio, passando per la Basilicata e la Calabria, fruendo dei privilegi e le immunità familiari che gli garantivano l’esenzione fiscale per alcune tasse. Grazie a molte fonti di reddito feudale, come la fiera di Senise o la vendita della seta calabrese, Pietroantonio Sanseverino si confermava come uno dei principi più importanti nel Regno di Napoli e della Calabria Citeriore. Dallo studio sulle fiere aragonesi condotto da Alberto Grohmann (A.Grohmann. Le Fiere del Regno di Napoli in età aragonese. Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli, 1969) nella serie dei “Relevi della Sommaria” dell’Archivio di Stato di Napoli, si mostra il movimento nel maggio del 1488 presso la fiera relativo alle contrattazioni di bestiame. L’autore ipotizza però che “in tale raduno venissero trattati anche altri prodotti”. Ciò è confermato da una petizione del 15 giugno 1468 indirizzata dai mercanti Piero e Dominico de Ruczo dell’Aquila a Tristano de Queralt (ndr ricopriva la carica di magistro portulano di Puglia). I suddetti mercanti dichiarano di esser andati alla fiera di Senise “ con una salma di panni et non havendo spaczati tucti li dicti panni la reconduxe verso Trani et per non havere ad pagare fundicatura ibi, sinon vendea li dicti panni, non fece noticia a lo dohaneri de Trani… “. I detti mercanti volevano portare i suddetti panni alla fiera di Trani, ma i doganieri li avevano bloccati dichiarando la merce di contrabbando. Il tribunale della Sommaria ordinava di prendere notizie in merito disponendo il sequestro della merce e consegnandola presso Gabriele de Sarthiano da Milano, mercante in Trani. Il contrabbando era infatti ritenuto un grave reato nei confronti della corona che in tal modo non ricavava utili per le proprie casse. Pertanto, il controllo delle merci e degli animali veniva esercitato attraverso dogane e passi. Nel caso di Senise, i passi erano ubicati lungo il Tratturo del Re alla “scafa o ponte” sul fiume Agri a Policoro e, a sud, a Roseto e Amendolara sin dal 1469 (Cfr P.Dalena, Op.cit) applicando per essi l’editto “super passibus” del 1466 per i diritti spettanti al Regio Fisco rispetto a quelli che i baroni esigevano in forma illegale considerati “illiciitis exactionibus” (estorsione illegale). Erano pertanto numerose le contestazioni come quella riguardante la fiera di Senise citata in un esposto alla regia Camera della Sommaria del 22 maggio 1506, con il quale i certosini di Chiaromonte si lamentavano per esser stati costretti «come fossero seculari” dall’esattore degli introiti dei diritti della suddetta fiera, a pagare una tassa per certi animali «de loro maxarie ». In risposta a detta querela la Camera della Sommaria impose all’esattore di restituire ai monaci il diritto esatto, pena 25 once (A.Grohmann, Op.cit). Ma era anche rischioso viaggiare con le merci e denaro in territorii in cui era presente un banditismo diffuso, con furti frequenti e omicidi. Si ha infatti notizia, in occasione del fallimento del banco in Cosenza come un creditore, un certo “Agostino Belmosto volse de propria sua voluntà che manchasse per farsi lui ricco, a causa che se partì da quello con lettiche, carriagi et con molto fausto, dando ad intendere al pubblico ch’andava in fiera de Senise come Banco ad ricevere il denaro delli Mercanti che ivi negotiavano, et con detta partita così faustosa se portò seco tutti li denari contanti che lui volse, et lo publico stava con speranza che dovesse tornare, et non tornò più» (Cfr. Memoriale del 1595 in ASN, Processi antichi. Pandetta Nuovissima, n. 939/21.383, In G. Galasso, Economia e Società nella Calabria del Cinquecento. Guida editore, Napoli, 1992). In deroga ai privilegi, per le vettovaglie ed il bestiame era stabilito che i doganieri a Senise applicassero dazi. Lo attestano i registri relativi alla “Grassa d’Abruzzo e quelli della fiera di Senise” da pagarsi sugli animali estratti dal Regno per: un porco = 1 carlino; un vitello = 3 carlini; un bue = 10 carlini; una vacca = 3 carlini, una annecchia (ndr vitello) = 1,5 carlini; un marrone (ndr mucca)= 3 carlini; un castrato= 3 carlini e 4 cavalli (ndr Il cavallo era una moneta di rame emessa per la prima volta nel 1472 da Ferdinando I per Napoli e per la Sicilia. Al dritto portava la testa del re ed al rovescio un cavallo passante ; una capra= 3 grani e 4 cavalli; una giumenta= 10 carlini; un ronzino (ndr cavallo non di razza)= 10 carlini; un mulo= 10 carlini; un puledro= 10 carlini;un cavallo=10 carlini. Durante la fiera di Senise non venivano fatte compravendite di percore, essendo prevalentemente dedicata al bestiame che comprendeva “bovidi, equidi, maiali e caproni per la riproduzione”. Il Giustiniani, alla voce Senise del suo “Dizionario Geografico” indicava come “gli abitanti ascendono in circa 288. Essi fanno commercio, anche a cagione del passàggio, che ci fa il procaccio di Tursi. A maggio vi è una ricca fiera d’ogni sorta di animali e merci, due miglia distante dall’abitato in luogo appellato il mercato, ove si veggono alcune fabbriche dirute, che servirono come fondachi”. Alla voce Senise, il Giustiniani collocava il paese in “Terra in Basilicata in diocesi di Anglona e Tursi, distante da Matera miglia 40 e 20 dal Jonio. Il suo territorio è limitrofo con quelli di Colobrare, Santarcangelo, Roccanova, Battiferano, Chiaromonte, Noia, ecc. Quasi nel mezzo di detto esteso territorio ritrovasi il paese situato alle falde di un picciol monte, ove respirasi un’aria non molto insalubre. Vi passa il fiume Serapontino per lungo cammino, che va poi a scaricarsi nei Sinni, il quale pur circonda il territorio istesso… La tassa de’ fuochi del 1532 fu di 402, del 1545 di 524, del 1551 di 522, del 1595 di 274, del 1648 di 154 e del 1669 di 230”. Durante la fiera di Senise del 10-12 maggio 1488 furono stipulati 696 contratti; i compratori furono 350 ed i venditori 608 (la notevole disparità è dovuta alla diversa frequenza con la quale i singoli nominativi compaiono nelle contrattazioni ed al fatto che spesso le parti sono costituite da gruppi di soci). Durante la fiera del 1488, il venditore che ricorse nel maggior numero di contratti è un certo Favazo (o Favaza) il quale in 5 volte vende 87 castrati, 16 giumente e 26 buoi; 24 buoi vengono venduti, per 219 ducati, a Mirabile di Noia, il quale li acquista per conto della regia Corte. I contratti di vendita più rilevanti dal punto di vista del numero dei capi sono i due stilati a favore di Marco de Gauteri e Nardo di Monte Sion di Senise: il primo vende a lohanni Starnato dell’Aquila 566 porci per 603 ducati, il secondo vende a Giulio e Bartolomeo di Camerino 597 castrati per 237 ducati. I compratori che effettuano più numerosi acquisti furono Luca de Montoro (Avellino), Guarino de Gesualdo, Iacobo de Avellino, Matheo de Vico, Cola Bono, Silvestro de Mercugliano, Pellegrinomde lo Vecturale, Perro de Sarno. Circa i mercanti forestieri, il più nutrito gruppo proveniva dallo Stato della Chiesa: da Roma, Ancona, Camerino, Urbino, Perugia. Tra i venditori un certo Troyulo di Roma il quale vende un mulo. Tra i compratori: Tommaso di Ancona Bartolomeo, Giulio, Mariano e Martino di Camerino, Evangelista della Marca, Antonio, Iaccobo e Prospero di Perugia, Nicola di Urbino, ed ancora da Genova, Padova, Cremona, Firenze. Forestieri, questi, che è presumibile già risiedere nel regno. I locali presenti alla fiera provenivano da Senise, Ugiano (Ferrandina), San Mauro, Craco, Chiaromonte, Matera. in quanto agli animali comprati o venduti, essi riguardavano in prevalenza maiali (39,96%), vacche (15,63 %), caproni 10,95 %) e buoi (7,49 %) con un volume complessivo di animale contrattati per oltre 48.695 ducati circa. Durante i tre giorni della fiera furono contrattati un numero considerevole di animali pari a 8.991 capi. Accanto alla fiera, venivano organizzati soprattutto in occasione di ricorrenze religiose, i mercati di Santa Lucia e San Rocco, durante le quali venivano venduti panni, vettovagliamenti e spezie tra le quali il peperone giunto probabilmente a Senise nel XV secolo dalle Antille durante la dominazione spagnola che veniva ridotto in polvere per aromatizzare e conservare i cibi (indicato con il termine dialettale “zafaran”). E’ attestata a Senise la presenza di speziali. Lo speziale nel medioevo era colui che si occupava della preparazione delle medicine, solitamente aveva una bottega, definita spezieria, all’interno della quale effettuava anche attività di vendita delle spezie e delle erbe medicinali. Nella bottega dello speziale si trovavano inoltre i profumi ed essenze, i colori usati in pittura e dai tintori, la cera e le candele, la carta e l’inchiostro e spesso anche dolci speziati preparati dallo speziale stesso. L’attività dello speziale era, in epoca medievale, una delle più redditizie. In epoca comunale gli speziali erano raggruppati in corporazioni o arti, l’Arte dei Medici e Speziali è una delle sette arti maggiori delle corporazioni di età comunale (XIV secolo). Pietro Crocco (Chrocus) era uno speziale di famiglia di origine genovese a servizio dei principi Sanseverino. Per ricompensarlo gli assegnarono terreni seminativi nel territorio di Senise che era stata eletta residenza preferita da Pietro Antonio Sanseverino e dalla moglie Giulia Orsini considerandola «nostra solita residentia e dei nostri ascendenti».
Presenza a Senise di comunità e cittadini stranieri nel XV secolo
Posta su di un pendio che domina la valle del Serrapotamo, presso la confluenza di questo con il Sinni, Senise deriverebbe da un insediamento romano. Il centro abitato attuale è stato fondato sulla collina con probabilità dai Normanni, succeduti ai Longobardi, sotto i quali entrò a far parte della Contea di Chiaromonte. Nel 1494 era tassata per 400 fuochi. La Fiera richiamò ad insediarsi a Senise comunità estere e singole famiglie provenienti da altre province d’Italia, specializzate in attività commerciali e professionali. Nel 1442 con gli aragonesi a Napoli vi furono numerose comunità ebraiche insediatisi in Basilicata. Altri insediamenti di ebrei erano presenti ad Atella, Carbone, Castelsaraceno, Senise, Chiaromonte, Ferrandina, Forenza, Lavello, Miglionico, Montemurro, Oppido, Potenza, San Chirico Nuovo, San Severino, Saponara, Sarconi, Spinazzola, Tricarico, Tursi. I centri giudaici più importanti in questo periodo furono Venosa, Melfi, Saponara (dal 1932 Grumento Nova). Si trattava di comunità i cui membri svolgevano attività commerciali nelle fiere. Da alcuni documenti si apprende che, in occasione di tali raduni fosse prassi comune agli ufficiali cittadini delle Universitates regnicole, allestire “logie, banche, poteche, taverne”, poi locate a venditori, banchieri e cambiavalute, che costituivano anche un’importante fonte di reddito per l’Universitas (Grohmann, 1969, pp. 237-238). Ad esempio, nella documentazione relativa alla fiera di Senise del maggio 1488, troviamo quattro registrazioni assai indicative: “Per logie fabricate quaranta una locate per uno la logia a li mercatanti, secundo è solito ducati 41; Per logie trenta una coperte da tende locate ad carli cinque l’una a li mercanti, secundo è solito, ducati 15, carlini 2, grana 10; Per logie septe coperte de frasche più pizule de le sopra dicte locatesey ad tarì uno et mezo l’una et una per tarì uno a li merzari foro inla fiera, ducati 2; Per taverne quaranta facte in dicta fiera, locate ad tarì uno l’una secundo è solito, ducati 8”. Gli Ebrei presenti con una comunità a Senise erano agenti di cambio e spesso, non ufficialmente, lo prestavano non gratuitamente ma ad interesse. La comunità ebraica si era insediata nella zona periferica, nell’area denominata in toponomastica locale “Galilea”, in prossimità del torrente Serrapotamo (attuale area artigianale), nelle vicinanze della fiera indicata con il toponimo Mercato. Si hanno notizie sull’attività degli ebrei, prevalentemente dediti al commercio, al cambio di valuta e anche come medici a servizio dei signori locali e la comunità (sull’argomento Leggasi di C. Colafemmina. Minoranze etniche, linguistiche e religiose. Gli ebrei. In Storia della Basilicata, vol. 3, l’età moderna. Laterza Editore, Bari, 2000). Lo studioso Colafemmina scrive come “…a Senise nel 1484, Ventura de Momet si vide mettere sotto processo dal capitano della città per aver chiesto che un suo debitore, Domenico de la Uliva, gli pagasse gli interessi pattuiti e maturati sulla somma che gli aveva prestato. La Sommaria, a cui egli ricorse, si disse meravigliata di un simile procedere del capitano, il quale violava un capitolo concesso in materia ai giudei da re Ferrante, e gli impose di assistere l’ebreo nel recuperare con la maggiore celerità possibile quanto gli era dovuto Difficoltà con i debitori, e anche con l’università per tasse indebite, sono attestate anche a Tursi nel 1491… Un memoriale con l’accusa di inadempienza da parte dell’autorità locale nell’osservare i privilegi concessi agli ebrei fu presentato a Napoli nel 1494 da lacob de Trines di Melfi. Ci sono giunti anche dati sui contributi straordinari imposti in diverse occasioni ai giudei della regione. Nel 1458 essi parteciparono alla colletta per l’incoronazione di Ferrante I”. L’anno seguente – scrive lo studioso Colafemmina – gli ebrei di Tricarico, Atella, Melfi, Miglionico, Montemurro, Senise e Chiaromonte dovevano ancora 90 ducati per la conferma di alcuni privilegi e per «l’oro de la corona del Re». Della tassa di 3.000 ducati imposta ai giudei del Regno nel 1465, a quelli di Basilicata toccò una quota di 228 ducati, e della tassa di 2.000 ducati dell’anno seguente una quota di 152 ducati. Nel 1468 fu imposto ai giudei del Regno un contributo di 5.000 ducati, di cui 210 a carico delle giudecche di Basilicata. Il computo fu eseguito questa volta da una commissione formata da mastro David di Miglionico, Sabatino di Cosenza e Spina di Lecce, mentre l’incarico di riscuotere la tassa fu affidato a Leone di Senise e a mastro Elia Sacerdote di Tricarico. Dei 210 ducati, erano a carico dei giudei che abitavano nella provincia ducati 124, tari 1 e grana 8, mentre il resto spettava ad alcuni ebrei facoltosi, Nel 1482 gli eredi di Maumet, cioè i figli Regina, Ventura, Vita, Gentile e Iosep, dovevano ancora ducati 140, tari 1 e grana 7 ed ebbero sequestrati panni e argenti; oltre 50 ducati dovevano essere riscossi da mastro Leone di Senise e alcune piccole somme dagli ebrei tricaricesi mastro Elia Sacerdote, Memmo de Moyses, Elia e Mordechay. La Regia corte non perdeva comunque mai di vista i suoi crediti. Così, quando fu sicura che gli eredi di Maumet non sarebbero più riusciti a pagare la somma residua – 46 ducati e 5 grana – la spartì fra tutte le giudecche di Basilicata. Nel 1482, però, gli ebrei di Senise e quelli di Taranto denunziarono ancora una volta che nell’apprezzo degli ebrei di Basilicata eseguito dal commissario Francesco de Nola essi erano stati aggravati e tassati più del dovuto, e ciò li aveva ridotti in estrema povertà; gli altri, invece, favoriti dal minor carico fiscale, diventavano sempre più ricchi. La Sommaria, stanca delle querele, ordinò di verificare a fondo la situazione, ristabilendo la giustizia anche facendo restituire le somme in più che erano state pagate, «in modo che omne uno venga ad supportare lo piso suo et l’uno non sia per l’altro gravato, procedendo in questo per tale modo che non bisogne altre volte dicti iudei havere recurso ad questa Camera». Dal “Registro contabile del segretario regio nella Napoli Aragonese (Cfr E.Russo. Registro contabile del segretario regio nella Napoli Aragonese. In Reti Medievali Rivista, n. 14, 2013) si apprende come un tal Mele, ebreo di Senise, versò 10 tarì annotandosi a margine del versamento “a cui abbiamo gentilmente ordinato di darli”, mentre sempre a Senise operasse il medico ebraico Bonafoux Astruc, alias Azarria ben Yosef. Vi era giunto nel 1429 da Perpignano in Francia dove forse tradusse in ebraico l’opera farmacologica “Il servitore dei medici”di Abu Al Kassim Ezzahrawi e per la propria versione si servì di una traduzione latina dell’opera eseguita da Simone di Genova e posseduta da un medico cristiano di Senise di nome Luis (Loise). Conosciuto anche come Azaria ben Iosef, Bonafoux Astruc era fuggito con il suo giovane figlio dalla nativa Catalogna, dove verso il 1415, sotto le pressioni dei Francescani era stato costretto a farsi cristiano e aveva preso il nome di Gabriel Catulla fuggendo in Francia. Rifugiatosi in Italia, sotto la protezione del principe di Taranto, Giovan Antonio Orsini del Balzo, potè ritornare alla fede dei suoi padri (Cfr Italia Giudaica. Voce “Senise”). A Senise, dove si teneva ogni anno nel mese di maggio una ricca fiera d’ogni sorta di animali e merci, frequentata anche dagli ebrei, nel 1476 Ferrante accolse una loro supplica in cui chiedevano di non essere tenuti né costretti a dover accompagnare la bandiera con cui si aprivano le fiere del Regno, tra cui appunto quella di Senise, quando tali fiere cadevano di sabato o in altri loro giorni festivi. A Senise, nell’area della “Galilea” e del “Mercato”, lungo il corso del torrente Serrapotamo e fiume Sinni, numerose erano le case a pianta quadrangolare realizzate con mattoni di fango impastata assieme alla paglia. Costituivano una tipologia di casa rurale con mattoni di argilla cruda asciugata al sole chiamati “ciùcioli“. (Cfr P. De Grazia. In La Casa Rurale nella Lucania. Forni Editore, Sala Bolognese, 2001)
I mercanti di Moliterno e il commercio interno
Secondo Francesco Bastanzio (F.Bastanzio, Op.cit.) “…il commercio di esportazione si esplica coi prodotti agricoli che superano i bisogni del paese. Fino a pochi anni fa eravamo alla mercé di piccoli negozianti, incaricati da maggiori commercianti di fuori che incettavano le merci, spesso senza nessuna concorrenza e che potevano quindi stabilire prezzo arbitrari e, più spesso ancora, occorreva attendere, specie per la vendita dei cereali, quando, esaurite le produzioni delle località, che offrivano mezzi di più facile trasporto per la vicinanza delle strade ferroviarie, si fossero rivolti alla ricerca dei nostri prodotti. Quelle stasi forzate formavano seri inconvenienti nelle amministrazioni degli agricoltori, che in generale non avevano capitale circolante in esuberanza e tale da sostenere anticipiper periodi lunghi ed indeterminati. Quando i compratori arrivavano erano sicuri dei loro buoni affari, poiché trovavano sempre gente disposta a vendere, pur di realizzare introiti per ridare l’abbrivio alle loro amministrazioni. Edotto da lunga esperienza, quando s’ingaggiò la battaglia del grano, in un breve articolo pubblicato sul «Gagliardetto Lucano», invocavo che, fra le altre provvidenze governative e insieme agli altri mezzi opportuni che erano stati proposti per raggiungere lo scopo, si ristabilisse la requisizione del prodotto da parte di enti, dal Governo autorizzati e controllati, allo scopo di sottrarre l’agricoltore alla fitta rete di parassiti viventi a suo carico. È così, come mi auguravo, per fortuna gli ammassi furono stabiliti ma pei concimi per cui invocavo la diffusione a prezzo unico, oscure convenzioni impedirono i provvedimenti. Col sistema degli ammassi l’agricoltore lavora serenamente, nella sicurezza di vedere, a raccolto compiuto, l’immediato realizzo delle sue spettanze. L’incremento del bestiame è contenuto in limiti ristretti e il commercio di esso ha presentato difficoltà ancora maggiori per le vendite di quelle che si sono osservate per i prodotti della terra, pel fatto che, nell’anno, due sole fiere si celebrano nel nostro comune e, quando gli animali non sono in essi esitati, è necessario andare in giro per le fiere dei paesi vicini, con perdita di tempo, spese, incomodi e gravi fastidi. Nel secolo scorso frequentavano le nostre fiere i mercanti di Moliterno che poi cedettero il posto, sopraffatti, a mercanti napoletani, i quali spessissimo, stabilivano accordi e compravano con prezzi veramente rovinosi pei venditori. Tale difficoltà di vendita ha costituito una delle ragioni importanti per ostacolare il progresso di un più esteso e meglio curato allevamento bovino. Qui esistono attualmente cinque macellerie che smerciano discrete quantità di carni ovine e suine ricavate da animali che, in massima parte, vengono allèvate sul posto. Non si macellano bovini perché lo smercio delle carni è difficoltoso. Il consumo per abitante, per quanto aumentato di molto pure si serba ancora in proporzioni ristrette, anche considerando il numero dei maiali che vengono macellati per provviste di famiglia. La massima parte quindi degli animali è destinata al consumo esterno“.