Passaggio a Nord Ovest. Pandosia-Anglona crocevia tra oriente e occidente
di Pandosia (Giugno 2023) – Creative Commons Attribuzione – Non commerciale citando la fonte

Il luogo di passaggio è una porta
che unisce o divide gli uomini.

Da Pandosia-Anglona lo sguardo spazia
ad Ovest verso la valle del Sinni e il mar Tirreno.
A nord verso la valle dell’Agri
e i monti della Lucania.

La valle dell’Agri con i Calanchi di Tursi e i primi monti della Lucania sullo sfondo. Veduta da Pandosia-Anglona (Foto A.Bavusi 2023)

La valle del Sinni vista da Pandosia-Anglona. Sullo sfondo, in lontananza, la “Stretta del Sinni” e “Timpa del Ponte”nel comune di Valsinni dove passava la Via Istmica verso il Tirreno (Foto A.Bavusi, 2023)

Resti delle strutture fortificate medievali di Anglona (Foto A.Bavusi 2023)

Pianoro di Pandosia-Anglona ancora non completamente scavato dal punto di vista archeologico. Sullo sfondo la chiesa di S.Maria d’Anglona (Foto A.Bavusi, 2023)

Chiesa di S.Maria d’Anglona (Foto A.Bavusi, 2023)

Viabilità della Siritide. Elaborazione a cura della redazione di Pandosia. Effettuata su cartografia di Rizzi Zannoni (anno 1807)

Elaborazione relativa all’antica viabilità della Siritide effettuata utilizzando il Quadro di Unione Catastale del Comune di Policoro

Elaborazione relativa all’antica viabilità della Siritide effettuata utilizzando il Quadro di Unione Catastale del Comune di Tursi

Portale S.Maria d’Anglona

     San Pietro e San Paolo

Frammenti di “zodia clipeati” di forma rettangolare (su parete sagrestia). Appartengono al tipo descritto da D. Withehouse di formella rettangolare (vedi drescrizione) in abbinamento: 1) gallo + calice all’interno di circonferenza a sinistra – al centro: rosa a otto petali con fregi a forma di tralcio – cervo che mangia il serpente in circonferenza a destra; 2) fregio di vite cuoriforme a sinistra – pesce a rilievo in un rombo con lettere pseudo-cufiche. (Foto A.Bavusi, 2023)

“zodia clipeato” di forma rettangolare (Foto A.Bavusi,2023). Il gallo rappresenta la vittoria del giorno sulla notte e la rinascita attraverso la Comunione con il Corpo di Cristo (rappresentata dal calice)

Rappresentazione del simbolo del cervo che mangia il serpente (particolare S.Maria d’Anglona). Il cervo che mangia il serprente nel medioevo era simbolo di Cristo che sconfigge il male supremo. In basso la stessa rappresentazione in un bassorilievo presso il Vaticano e un mosaico presso il museo di Istambul. Dopo aver mangiato il serpente, il cervo deve bere alla fonte riacquistando le forze. Nel Codex di Cambridge il simbolo è spiegato come allegoria della Confessione.

Chimera

Leone. (Foto A.Bavusi, 2023)

Pesce con fregi cuoriformi e caratteri pseudo-cufici. Foto A.Bavusi, 2023

[foto in fase di inserimento]

Pandosia – Anglona, passaggio a Nord Ovest

“Passaggio” deriva dal termine antico francese “passage”, che deriva dal latino “passus”, participio passato del verbo “pandere ” che significa stendere, spiegare, aprire, rivelare. Il luogo sacro costituiva un crocevia di transito obbligato per quanti volessero raggiungere la valle del Sinni e il mar Tirreno, e a nord la valle dell’Agri, i monti della Lucania e la città di Roma. Pandosia (Πανδοσία), collina strategica situata nell’entroterra della Siritide, citata nel documento epigrafico greco della Tavola di Heraklea, avrebbe subito una prima distruzione da parte dei Lucani (il territorio era chiamato dai greci Λευκανία) che la credettero alleata di Alessandro il Molosso che quivi venne ucciso nel 334 a.C. sulle rive del fiume Acheronte (Acheros, Akiris, Agri). Giunto nella Megale Hellas per soccorrere la città di Taras-Taranto contro i Lucani (Cfr Tito Livio, Ab Urbe Condita) Alessandro il Molosso aveva occupato Siris, dopo un millennio di pacifica convivenza tra i popoli Eubulei e gli indigeni, nonostante l’oracolo di Dodoni gli avesse predetto di evitare le mura di Pandosia in Epiro.
Pandosia (ndr che da tutto) sarebbe riconducibile all’omologa città dell’Epiro (Comune di Parga) e alla ninfa rappresentata su alcune monete magno-greche. Nella mitologia antica sarebbe legata al culto di Demetra denominata la la “Pandoteira”, ovvero dispensatrice delle messi che venivano coltivate in località “Conca d’Oro” dove le venne dedicato un recinto sacro. Nel Medioevo sul sito di Pandosia venne fondata Anglona.

Vicende ancora in bilico tra racconto mitico e realtà

L’origine e la scomparsa di Pandosia, situata lungo la ὁδός (strada) della Siritide verso l’entroterra, restano ancora non chiarite. A partire dall’omonimo sito di Pandosia creduto in Brutio da Strabone. Le ricerche archeologiche si sono limitate a saltuari saggi che non hanno ancora ricostruito le vicende storiche che hanno riguardato la Siritide e l’avvicendamento dei popoli greci, italici e latini con il ruolo di Pandosia, la cui esistenza è comprovata, a differenza dell’omologa in Calabria dall’incerta ubicazione, nelle Tavole in greco di Herakleia. La Siritide era attraversata fino a Pandosia-Anglona da due vie (oidos) o tratturi principali sui lati orientale e occidentale della “Valle Conca d’Oro”. A dimostrazione del ruolo strategico del sito di Pandosia, dominante il basso corso dei fiumi Agri e Sinni, da Pandosia-Anglona partivano le diramazioni verso la Val d’Agri (durante il periodo romano il prolungamento della via Herculia verso Grumentum) e verso il Golfo di Policastro. In località Conca d’Oro si sarebbe svolta nel 280 a.C. la battaglia di Heraklea tra le legioni romane di Publio Valerio Levinio e l’esercito di Pirro con l’appoggio dei Tarantini con la vittoria di questi ultimi, mentre nel 214 a.C. vide la presenza di Annibale durante la II guerra punica. Pandosia sarebbe stata definitivamente distrutta da Silla o da Lucio Papirio durante le guerre sociali, nella stessa epoca in cui fu distrutta Grumentum.

Il luogo sacro di Pandosia-Anglona

Il centro abitato medievale di Anglona sorse secoli più tardi nel medesimo sito di Pandosia. Nel XIII secolo venne creata sul lato occidentale una piccola fortificazione con mura. Salvo alcuni saggi effettuati dall’Università di Basilicata e dagli allievi del Corso in Archeologia di Matera, il sito risulta non ancora indagato, nonostante le evidenze presenti sul terreno. Anglona continuò a svolgere fino al XV secolo un ruolo strategico militare, commerciale e religioso. Vi passava una importante via istmica percorsa da eserciti e carovaniere che muovevano dalla costa jonica verso l’interno della regione e il mar Tirreno. Dalla Siritide si raggiungeva, attraversando Pandosia-Anglona, la media e l’alta Valle del Sinni e Pixunte (attuale comune di Policastro Bussentino), sulla costa Tirrenica.  Pandosia, dall’età del bronzo al Medioevo, già costituiva la parte sommitale della “Conca d’Oro”, con un santuario dotato di recinto sacro dedicato a Demetra. Lo testimonia il rinvenimento di un deposito votivo con funzioni analoghe al tempio presente a Siris Herakleia. Il recinto sacro di Pandosia a Conca d’Oro venne indagato negli anni Sessanta con rinvenimenti successivi legati a culti di divinità femminili come quello di Artemis Bendis, dea lunare, spesso associata a Demetra, “protettrice delle spose e del parto” (Hierogamia).
Con l’anno Mille sul sito di Pandosia nacque Anglona (Anglonum in latino, Agnòne fu un’antica città di epoca tardo romana), il cui nome deriverebbe dal agno, che significa, corso d’acqua, rifacendosi alla grande ansa che l’alveo del fiume Sinni (la parola Siris – Sinni ha lo stesso significato di corso d’acqua) che scorre ad ovest ai piedi della collina.  Nel V secolo d.C 410 venne occupata e semidistrutta dai Goti di Odoacre. Verso la fine del IX secolo, con la riconquista dei Bizantini, la popolazione si accentrò sempre più a Tursi, mentre Anglona andava spopolandosi. Anglona segnò, nell’Alto Medioevo, il confine tra la chiesa latina e quella bizantina con la presenza stabile musulmana che si spinse fino a Tursi con la Rabatana. Importanti testimonianze della presenza dei culti latino e bizantino si attestano nell’iconografia degli affreschi interni alla chiesa e sulle cosiddette “formelle d’argilla” che riportano moduli cufici della cultura araba presente in Sicilia e nel sud Italia. Tracce del castello di Anglona rievocano invece la sua distruzione avvenuta nella seconda metà del XIV secolo. Nel 1092, la chiesa d’Anglona sarebbe stata visitata dal pontefice Urbano II, di ritorno dalla Calabria, epoca in cui il Vescovo Simone avrebbe sdoppiato le sedi episcopali di Tursi e Anglona.
Con diploma del 21 aprile 1221 Federico II di Svevia, confermava al Vescovo le concessioni dei suoi predecessori e gli assegnava in perpetuo il casale di Anglona. Nel diploma della regina Giovanna I di Napoli del 12 Luglio 1352, si rinnovava la concessione del feudo di Anglona ai suoi vescovi, per la devozione da parte della sovrana alla Vergine di Anglona. L’icona lignea, forse risalente al XIII secolo, è meta di devozione dall’epoca dell’intitolazione della chiesa, sul cui piazzale dal 1332 si svolgeva fino agli anni Sessanza una fiera di animali agli inizi del mese di Settembre.  Il Santuario di Santa Maria Regina di Anglona costituisce monumento nazionale dal 1931 ed elevato a basilica minore da papa Giovanni Paolo II, a ricordo del Sinodo dei vescovi, il 17 maggio 1999.

Vie antiche della Siritide

Lo studio della viabilità antica potrebbe consentire di ridefinire anche in quadro più organizzato i dati disponibili di tipo archeologico. Tra gli studi sull’antica viabilità, risulta illuminante quello svolto dal topografo e archeologo Lorenzo Quilici nella vallata del Sinni (Cfr L.Quilici. Dallo Ionio al Tirreno. Il percorso della Via istmica nella valle del Sinni). Nel 2023 abbiamo ripercorso, ricostruendolo lungo la costa, l’intero tracciato del Tratturo del Re, che ripercorreva la “Via Publica” medievale che a sua volta utilizzava tratti delle vie preistoriche, itinerari magno-greci e romani che da Taras (Taranto) arrivavano fino a Regium (Reggio Calabria) seguendo la linea della costa. Con l’arrivo dei romani nel territorio della Siritide erano presenti lungo la strada consolare le due statio di Heraclea e Semnum  indicati sulla Tabula Peutingeriana.  Quest’ultima località probabilmente era ubicata nel territorio attuale di Rotondella, sul Tratturo del Re all’altezza della località Trisaia nel luogo in cui il tratturo di Rotondella, prolungamento della Via istmica della Valle del Sinni, si connetteva al Tratturo del Re. La statio di Heraclea era  situata probabilmente presso il vado del fiume Agri, il cui attraversamento nei periodi piena avveniva con la scafa (zattera), fino alla costruzione di un ponte di cui si ha notizia (per i dettagli, leggere il testo il Tratturo del Re).  Un secondo e più antico itinerario di epoca preistorica venne riutilizzato nel periodo magnogreco e romano per collegare Siris-Herakleia (attuale Policoro) a Pandosia (attuale Anglona) partendo dalla Valle del Varatizzo alla Valle Conca d’Oro, costeggiando il torrente “La Trafana” (Toponimo indicato nella cartografia Rizzi Zannoni del 1807).

La chiesa di S.Maria d’Anglona

La chiesa di S.Maria d’Anglona venne eretta tra l’XI ed il XII sec. come ampliamento di una piccola chiesa  bizantina preesistente risalente al VII-VIII sec, in parte ancora visibile sul lato destro della chiesa attuale. Le vicende religiose si intrecciano con quelle politiche legate alle dominazioni e l’avvento del cristianesimo, tra oriente e occidente durante le fasi della presenza arabo-musulmana nel sud Italia, con continui rifacimenti e recenti demolizioni  che hanno alterato la possibilità di ricostruire l’originaria facciata dell’edificio di culto.

La torre campanaria, a base quadrata, è ornata bifore romaniche a doppia colonnina. L’ingresso della chiesa è costituito da un nartece quadrangolare con volta a crociera con colonne agli angoli (originariamente era inglobato in un portico che forse era adibito alla sosta dei pellegrini e viandanti. La facciata del nartece o ardica o protiro, struttura tipica delle basiliche bizantine aveva funzione di accogliere all’esterno i penitenti, prima del loro ingresso in chiesa ove è stato realizzato un arco con disegni geometrico a linea spezzata tipico del periodo angioino. Lo zooformo sull’ingresso presenta fregi in pietra raffiguranti l’Agnello con i simboli dei quattro evangelisti, un archivolto d’ingresso, ornato da testine umane e di animali. Ai lati del nartece due figure scolpite, forse quelli degli apostoli Pietro e Paolo.

L’abside, piuttosto profondo, presenta una finestra fiancheggiata, all’esterno, da due colonnine sotto un coronamento di archetti pensili, lesene e alcune formelle adorne di teste di animali mitici che il Valente attribuisce a maestranze locali operanti tra l’XI e il XII secolo.

All’interno la chiesa presenta pianta a tre navate a croce latina con il il transetto che non sporge rispetto al fronte delle navate che appaiono separate da dieci pilastri che reggono, a destra cinque archi a tutto sesto, a sinistra cinque archi a sesto acuto. La comprensione della struttura originaria di epoca normanna è compromessa da rifacimenti forse dovuti a crolli, terremoti ed interventi inopportuni.

Dal lato destro del transetto si accede, all’interno, in una piccola cappella (la fabbrica originaria della chiesa) a navata unica, con un abside semicircolare e con il muro di sinistra in comune con quello della piccola navata e del transetto.

Purtroppo, non si hanno documenti certi circa la data di costruzione della più antica fabbrica della chiesa. In origine la chiesa era completamente ricoperta di affreschi. Nella navata centrale si sviluppavano gli episodi vetero-testamentari e il ciclo cristologico, che si concludevano sulle pareti del vano d’ingresso.

Sulla controfacciata, invece, doveva svolgersi il tema del Giudizio Universale e, sulla parete delle due navate, le storie degli Atti degli Apostoli. Tali pitture erano, poi, integrate da una vasta antologia di santi sui pilastri divisori di navata e sulle pareti delle navate, di evangelisti sui pilastri di crociera e di profeti sui pennacchi delle arcate.

Oggi, gli affreschi residui si sviluppano, in sequenza, a partire dall’abside, sulla parte alta della parete di destra della navata principale e su parti dell’adiacente navata sinistra (crollata per cause imprecisate e ricostruita) restandone soltanto poche tracce in prossimità della crociera.

La decorazione dell’abside centrale è completamente perduta, mentre le absidiole conservano frammenti della testa di Pietro sulla sinistra, dell’Arcangelo Michele sulla destra.

La parete della navata è divisa in due registri; in quello superiore si sviluppano gli episodi della Genesi, con la Separazione della luce dalle tenebre, della terra dalle acque, la Creazione di Adamo ed Eva, il Peccato, la Cacciata dal Paradiso Terrestre, il Lavoro dei progenitori, Caino e Abele, l’Uccisione di Abele, Rimprovero di Caino; nel registro inferiore si susseguono gli episodi dell’Arca, di Noè ebbro, della Torre di Babele, dell’Ospitalità di Abramo, dell’Offerta di Abramo a Melchisedek, del Sacrificio di Isacco, della Benedizione di Giacobbe da parte di Isacco e della Lotta di Giacobbe con l’angelo.

Le scene neotestamentarie erano invece raffigurate sulla parete della navata sinistra.

Gli affreschi erano, un tempo, accompagnati – e ancora in parte lo sono – da iscrizioni greche, su cui se ne sovrapposero altre latine, conservate soltanto in pochissimi punti della parete e da fregi arabeteggianti, forse attribuibili a maestranze che contribuirono alle opere pittoriche.

Il significato degli Zodia Clipeati in terracotta

La studiosa medievalista Elisabetta Scungio (Cfr E.Scungio, il Ciborio di San Paolo fuori le mura: osservazioni sulla decorazione interna. In Rivista Arte Medievale, anno VI, 2007 p.85-104) assimila le formelle in terracotta incastonate nelle pareti della chiesa di Santa Maria d’Anglona alle “rotae” disposte a reticolo prodotte su stoffe ad orbicoli presso il “tiraz” di Ruggero II a Palermo (1130-1154) su esempio di quelle islamiche e bizantine giunte in Sicilia dall’oriente. L’accostamento è anche alle decorazioni di mosaici pavimentali, come quelle di San Marco a Venezia o presso la chiesa cattedrale di Otranto. L’esempio tessile dei “rotati” vi si ritrova anche sulle mattonelle in terracotta inglobate nella muratura della chiesa di S.Maria d’Anglona ed inseriti postumi anche in quelli della canonica. Esse erano opera di artigiani islamici nel XI – XII secolo. La studiosa denomina queste rappresentazioni “zodia clipeati” ricollegandola ad espressioni artistiche di tipo iconografico degli animali clipeati (rinchiusi in cerchi) in voga presso i paesi arabi e portati da Bisanzio in Sicilia. Lo studioso medievalista Mario D’Onofrio (M. D’Onofrio. Struttura e architettura della cattedrale vicende costruttive e caratteri stilistici. In atti convegno, op.cit.) ipotizza che “le mattonelle in terracotta decorate, nell’area esterna della chiesa in corrispondenza del transetto e del coro…reimpiegate all’esterno della sagrestia e in parte conservate nel museo di Potenza” (ndr ivi rinvenute lungo l’edificio e portate al museo provinciale di Potenza dall’allora direttore, Vittorio Di Cicco) decorassero in origine l’intero edificio “…se così fosse stato, ne sarebbe sortito un effetto di straordinaria bellezza…si individuano ad Atene nella chiesa di San Teodoro dell’XI secolo dove più di un lato è decorato con piccoli pannelli in terracotta stampigliati con motivi aniconici e nella graziosa Panagia Gorgoepikoos…” .

Nel 1965 e nel 1969 l’archeologo britannico David Whitehouse (1941 – 2013), all’epoca borsista presso la British School at Rome (ne divenne in seguito direttore) effettuò i primi scavi ad Anglona rinvenendo tra l’altro un centro abitato composto da semplici capanne in legno (cfr D. Whitehouse. Santa Maria di Anglona: the archaelogical evidence. In Santa Maria di Anglona, atti del convegno internazionale di studio, 13-15 giugno 1991. Congedo Editore, Galatina – LE, 1996). Dal testo in inglese del Whitehouse emergono spunti interessanti e ipotesi sull’origine di Anglona e sull’insediamento umano, sia antico e sia medievale, che si ripropongono alla lettura, spesso frettolosa anche da parte degli addetti ai lavori “…l’Anglona medievale si ipotizza fosse una comunità relativamente piccola, semplice, che aveva poco in comune con le città del sud Italia. Questa osservazione mi porta a supporre, su basi puramente archeologiche, che la cattedrale di Santa Maria fu pagata, costruita e decorata da estranei. In effetti, le prove oggi disponibili suggeriscono che la scala e la costruzione della cattedrale e dell’episcopio, e la qualità delle pitture murali nella cattedrale, fossero in netto contrasto con la povertà dell’insediamento in cui furono creati. In altre parole, quel poco che sappiamo dell’insediamento medievale di Anglona ribadisce, piuttosto che rispondere, alla domanda: perché la cattedrale è stata costruita qui? Secondo le testimonianze oggi disponibili, non fu perché, nell’XI o XII secolo, l’insediamento di Anglona oscurò quello di Tursi; a quanto pare no. Da archeologo, quindi, ipotizzo che Anglona sia stata scelta come sede di una nuova cattedrale o perché, a quel tempo, si riteneva importante sostituire la cattedrale ortodossa (bizantina) di Tursi, o perché offriva qualcosa di speciale, un locale culto, forse, che Tursi non offriva”.  Da parte nostra ipotizziamo che il luogo fosse invece considerato strategico per la via di comunicazione molto frequentata (da eserciti, religiosi, commercianti, pastorizia transumante, etc). Era tappa obbligata e metteva in collegamento i mari Jonio e Tirreno e l’interno della regione. E’ lo stesso autore che analizzando il vasellame medievale ivi rinvenuto concluse nel suo intervento “…la comunità di Santa Maria di Anglona acquistava vasellame da mensa da fornitori la cui produzione somigliava a quella dei ceramisti che rifornivano i consumatori tarantini e salentini. Le evidenze disponibili non consentono di provare il punto, ma non è irragionevole supporre che i ceramisti che rifornivano Anglona fossero gli stessi che rifornivano Taranto e il Salento; e che è più probabile che abbiano operato vicino a un importante centro abitato che in un’area rurale. Il mio sospetto, quindi, è che gli occupanti di Anglona, Policoro e Pietra San Giovanni abbiano acquisito la loro ceramica a Taranto o nel Salento; se Santa Maria di Anglona ne dipendeva Taranto e il Salento per alcuni suoi prestigiosi prodotti di consumo, è lecito chiedersi se ne dipendesse anche politicamente…”.

L’autore confermerebbe quindi l’ipotesi che Anglona fosse un luogo strategico di “passaggio”, sia sul piano politico-religioso e sia sul piano commerciale (è facile ipotizzare fosse frequentato da commercianti che risalivano la regione lungo le vie dell’epoca). Conclusioni queste che spesso non vengono prese in considerazione per confermare o confutare le ipotesi formulate. In genere si ci limita alla descrizione del singolo reperto o di quella dello scavo intesi come episodi a sè stanti. Sulle “formelle in terracotta di seguito si propone alla lettura il testo tradotto dall’inglese del prof. Withehouse, considerando che anche altri autori si sono cimentati con propri articoli sul significato simboli di alcune formelle come quella riproducente la “chimera” (Cfr C.A. Perretti. La chimera di Anglona. Una lettura per tempi di mutazioni genetiche. In Basilicata Regione Notizie. Rivista del Consiglio Regionale di Basilicata, a.1992) o  sulle cosiddette iscrizioni pseudo-cufiche riconducibili alle iniziali di “Allah” (Cfr V.Salierno. Iscrizioni pseudo cufiche in Basilicata. In Basilicata Regione Notizie. Rivista del Consiglio Regionale di Basilicata, a.1992 e S.Centonze. Le iscrizioni pseudo-cufiche nelle chiese lucano-pugliesi. La cristianizzazione del linguaggio decorativo islamico. In Mathera, rivista trimestrale di storia e cultura del territorio, anno II, n. 3, Matera, 2018).

Appendice 1: Piastrelle con decorazione stampata (testo tratto dall’articolo di D. Withehouse)

Gli oggetti più insoliti rinvenuti a Santa Maria di Anglona sono le mattonelle di terracotta con decorazioni a rilievo. Sebbene queste tessere non siano direttamente rilevanti per l’origine e la data dei dipinti o dell’edificio in cui i dipinti sono stati realizzati, i partecipanti alla conferenza ne hanno discusso e hanno cercato di stabilire dove e quando sono stati realizzati.

La maggior parte delle piastrelle sono costruite a casaccio nelle pareti della chiesa e nelle strutture adiacenti. Ad esempio, c’è un gruppo di piastrelle nel portico della chiesa e un altro gruppo molto più grande nel presbiterio. Durante gli scavi, abbiamo trovato ulteriori frammenti nei campi che circondano la chiesa. Altri esemplari sono conservati al Museo Provinciale di Potenza e al Museo Nazionale di Matera. «Le piastrelle sono di terracotta rossastra grossolana con sacche d’aria e piccoli ciottoli; non c’è smalto. Si dividono in due gruppi: (A) formelle quadrate con decoro a bassorilievo e (B) formelle quadrate o rettangolari con decoro nettamente definito e presente in formelle profondamente impresse.

Le piastrelle del Gruppo A sono di circa 34 cm quadrati. Ciascuna lima presenta un tondo, di circa 30 cm di diametro, con bordo costituito da due cerchi concentrici separati da una fascia di bugne in rilievo. Le zone tra il tondo e gli angoli del mar sono riempite da semplici motivi vegetali. I tondi contengono uno dei tre motivi:

  • A1.San Giorgio, con un braccio alzato e tenendo una lancia; sotto i suoi piedi c’è il drago, che ha un lungo collo serpentino che si alza davanti al cavallo e al cavaliere e li affronta.
  • A2. Un’altra persona (non San Giorgio) a cavallo verso sinistra. Ho notato un solo esemplare, nel lato nord del coro, e senza pulire i dettagli sono illeggibili.
  • A3. Una sirena con la testa rivolta a sinistra, il busto mostrato frontalmente e la coda che si curva verso l’alto a destra; si afferra la coda con la mano sinistra e nella mano destra regge un oggetto non identificato.

Le tessere del gruppo B sono (raramente) di circa 17 cm quadrati o (molto più spesso) di circa 42 cm di lunghezza e 17 cm di altezza. Si verificano almeno quattro diversi modelli: uno su piastrelle quadrate e tre o più su piastrelle rettangolari orizzontali. I disegni, contenuti su pannelli quadrati o rettangolari profondamente impressi, sono i seguenti:

  • B1 Una piastrella quadrata contenente un pannello quadrato con un tondo in una cornice quadrata. Il tondo racchiude un fantastico animale leonino con testa umana, che si sposta verso sinistra mentre suona uno strumento musicale soffiato all’estremità. La cornice presenta agli angoli quattro gigli a motivi cuoriformi ed elementi pseudo-cufici schematici, appena riconoscibili, sporgenti verso l’interno dai lati”.
  • B2. Una piastrella rettangolare contenente due pannelli quadrati. Esempi si verificano nella parete sud del coro e nella parete est del transetto sud; nessun esemplare, invece, è leggibile da terra ei motivi nei riquadri non sono stati individuati.
  • B3. due rettangolari contenenti un pannello rettangolare con tre tondi in cornice rettangolare discontinua. Al centro della tavola è un tondo che contiene una rosetta a otto petali; sopra e sotto il tondo vi sono rami di vite volubili, che sono simmetrici intorno all’asse verticale. A sinistra, un tondo più grande contiene un gallo con cresta e timoniere prominenti, rivolto verso sinistra, davanti al quale è posto un calice. A destra, un secondo tondo più grande contiene un cervo che si muove verso destra guardandosi alle spalle e tenendo in bocca un serpente. I due tondi più grandi sono in parte circondati da motivi a cornice, che (come le cornici sulle piastrelle quadrate) hanno gigli in motivi a forma di cuore agli angoli e schematici elementi pseudo- cufici che sporgono verso l’interno dai lati.
  • B4. Una piastrella rettangolare contenente un pannello rettangolare con due scomparti rettangolari in una cornice rettangolare continua. Lo scomparto di sinistra contiene due motivi vegetali che includono palmette spezzate, rami di vite v volubili e a fleur-de-lys (fiordaliso). Il vano di destra contiene un pannello romboidale con pesce, foglie ed elementi schematici pseudo-cufici.

Una fotografia dell’Archivio dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma sembra mostrare un frammento di un quinto tipo di piastrella, decorata con un grifone. Il frammento comprende parte di un animale rivolto a destra, con un’ala protesa sopra la testa.

Le piastrelle dell’Anglona sollevano una serie di interrogativi: l’iconografia; la diffusione nel sud Italia e con cosa possiamo confrontarli; dove e quando sono stati realizzati.

Per quanto riguarda l’iconografia, non ho competenze e direi semplicemente che (a me) appare eclettica come altre arti decorative dell’Italia meridionale tra XI e XIII secolo. Nel gruppo A, San Giorgio e il drago hanno radici bizantine, mentre la sirena è molto più a schemi riconducibili al romanico. Analogamente, nel gruppo B, il cervo che mangia un serpente rappresenta il conflitto tra Cristo e il diavolo nell’iconografia bizantina, mentre il leone con testa umana ( la sirena) è romanico. Elementi pseudo-cufici molto diluiti potrebbero essere stati assorbiti sia dalla decorazione bizantina in Grecia o nel Mediterraneo orientale, sia dalle arti decorative della Sicilia o dell’Italia continentale”.

La risposta alla seconda domanda: le piastrelle decorate a rilievo sono comuni nel sud Italia? No, sono rari. In effetti, conosco solo una scoperta strettamente comparabile. Si compone di due piccoli frammenti scoperti da Domenico Ridola sotto il pavimento della cattedrale di Matera, che presentano volute vegetali come le volute delle tegole con il galletto e il cervo. (Gli unici altri gruppi di formelle meridionali con decorazione impressa, rinvenuti a Canosa e Gravina in Puglia, sono completamente diversi e sono attribuiti al VI secolo o poco dopo).

La risposta alla terza domanda: con cosa possiamo confrontarli? – è piuttosto più positivo. Decorazioni zoomorfe (comprese creature fantastiche come il leone con testa umana, elementi a forma di cuore contenenti fiori di giglio, viticci a volute e motivi pseudo-cufici sono presenti singolarmente o in combinazione in molte parti dell’Italia meridionale (e altrove): sulla scultura romanica, sui manoscritti, sulle porte bronzee della Tomba di Boemondo a Canosa, sui mosaici.

I mosaici esistono, o sono esistiti, nell’isola di San Nicola nel gruppo delle Tremiti, ea Trani, Bari, Brindisi, Taranto, Lecce e Otranto (tutte in Puglia), e a Rossano in Calabria. Con una sola eccezione (a Bari), sono costituite, o erano costituite, da mosaici pavimentali con decorazione policroma a tessere lapidee. Una caratteristica importante dei pavimenti è la presenza di animali in tondi, alcuni dei quali hanno bordi pseudo-cufici.

I mosaici ci portano alla terza domanda: dove e quando sono state realizzate le tessere? Al momento, ci sono due modi per affrontare la questione: (1) considerando la loro decorazione e (2) considerando la loro collocazione nella cattedrale. Il primo approccio può essere sviluppato come segue: data la presenza dei mosaici (e altri oggetti con ornamenti simili) nell’Italia meridionale, non c’è motivo di dubitare che le tessere siano state realizzate da qualche parte nella regione, presumibilmente da artigiani locali. Due mosaici contenevano iscrizioni con date: il pavimento di Brindisi (ora distrutto), realizzato nel 1178, e il pavimento di Otranto, realizzato nel 1166. Non è irragionevole, quindi, suggerire che le tessere siano state realizzate da qualche parte nel sud Italia intorno alla seconda metà del XII secolo.

I punti di partenza per il secondo approccio sono, in primo luogo, che le formelle si trovano nel coro e nei transetti della cattedrale (e nella successiva costruzione), ma non nell’edificio originario o nella (apparentemente precedente) Cappella del Sacramento; e, in secondo luogo, che la loro disposizione nel coro e nei transetti è più o meno casuale. Le osservazioni suggeriscono che le tegole sono più vicine all’ampliamento della cattedrale che alla costruzione originaria. Tuttavia, la disposizione casuale delle formelle (alcune delle quali rotte) suggerisce che non fossero state realizzate appositamente per il coro e il transetto. Se questo suggerimento è corretto, si deve concludere che il coro e il transetto sono stati ampiamente restaurati e che le tegole sono state riposizionate durante questa operazione, o che le tegole sono state realizzate per e probabilmente utilizzate in qualche edificio precedente sul sito (non nella struttura originale cattedrale, però, perché questa fu costruita di concio e muratura a sacco), o che siano stati portati in Anglona da qualche altro luogo. Per quanto riguarda la datazione delle formelle, queste incertezze ci lasciano con l’insoddisfacente conclusione che le formelle siano contemporanee alla costruzione del coro e dei transetti (presumibilmente alla fine del XII o all’inizio del XIII secolo), o che sono precedenti.

Fortunatamente (almeno in teoria), è possibile che un programma di analisi di laboratorio possa risolvere alcuni di questi problemi. L’applicazione della datazione per termoluminescenza (TL) potrebbe dirci se le piastrelle appartengono all’XI, XII o XIII secolo. L’utilizzo come materiale di controllo del forno scoperto di recente, l’esame pertrografico o l’analisi dell’attivazione dei neutroni (NAA) potrebbero dirci se le piastrelle sono state realizzate in o vicino Anglona oppure no. Le date stabilite da TL hanno un margine di errore: la NAA è relativamente costosa. Tuttavia, le risposte alle domande (dove sono state fatte, e quando?) sono importanti non solo per Santa Maria di Anglona, ma anche per domande più ampie sulle influenze culturali in Sud Italia. Le analisi, quindi, varrebbero lo sforzo e la spesa.

 

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