di Franco Tassi
Sembra incredibile che, in questa società capovolta, anche l’animale forse più amato nel nostro Paese, l’Orso marsicano, sia diventato il bersaglio di efferati assassinii, tra ridicole contese politiche e penose sceneggiate, orchestrate con l’intento evidente di celare una triste realtà

Le indagini del Gruppo Orso stanno rivelando invece una realtà ben diversa. E alla nuova “casta”, quella degli “infallibili”(coloro che, con scrupolo ammirevole, stanno “secretando” ogni dettaglio di questa triste storia italiana) andrebbe ricordato, ad esempio, che il Parco della deprecatissima “vecchia gestione” disponeva di una eloquente scena ripresa con il tele- rilevamento, rivelatrice di cosa avviene nel caso di “incontri ravvicinati” di questo tipo. Perché non mostrarla pubblicamente? E poi: ma l’epoca degli amori non cade in primavera? Anche ammesso e non concesso che gli orsacchiotti fossero stati uccisi a quell’epoca, in autunno non si sarebbero potuti ritrovare che resti assai più miseri, qualche ciuffo di peli e un poco di ossa. E come mai tutti i più stretti collaboratori della Direzione, probabilmente al corrente di parecchie verità scomode, continuano a sussurrare a mezza bocca “ Noi non possiamo parlare”?
Chissà se la Magistratura, o una Commissione Parlamentare di inchiesta, o ancor meglio una Commissione Europea di indagine vorranno acquisire documenti e testimonianze in proposito, disponendo anche immediate perizie (giudiziali, e non di parte). Magari senza coinvolgere Parco né Forestale, divisi anche al loro interno, ma senz’altro tra gli attori principali sulla scena di questa “ tragedia all’italiana ”.
E va pure ricordato che nell’ambiente pastorale serpeggia il malcontento per il ritardato, mancato o inadeguato risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica (soprattutto orso e lupo). Le voci circolanti asserivano che l’Ente Parco conservasse in bilancio, tra gli avanzi di amministrazione, ingenti somme destinate ai risarcimenti (oltre un milione di Euro). Non sarà certo un caso che, proprio poco dopo le stragi, l’Ente Parco abbia pubblicamente annunziato di aver ripreso l’erogazione degli indennizzi: era ora! Ed è poi accertato che un paio di responsabili del Parco sono stati recentemente rinviati a giudizio, su denuncia di un allevatore locale, proprio in tema indennizzi non corrisposti,
Per quanti osservano il fenomeno con occhio aperto, obiettivo e distaccato, la situazione è tuttavia chiarissima. Per accedere ai finanziamenti pubblici, e soprattutto europei, l’orso marsicano è come una “chiave magica” di cui tutti vorrebbero appropriarsi. Non importa se con competenze risibili o scolastiche, operando magari non sul campo ma dalla scrivania, senza contatti con la realtà viva della montagna appenninica, ma con traboccante prosopopea. Oggi va di moda l’analisi del DNA, e ciò suonerebbe ragionevole se ci si limitasse a rilevarlo su qualche individuo. Ma la nuova pretesa è sentenziare che gli orsi dell’Appennino siano solo quelli di cui si è rilevato il DNA: ecco allora il “valzer delle cifre”, che ne calcola 20, e poi 30, 40 o 50 e via dicendo…
Per riuscire a conoscerli tutti, qualche ricercatore da biblioteca che aveva forse letto troppi studi sugli orsi nordamericani, viventi in situazioni ben diverse, ha pensato bene di imitare i trucchi più ingegnosi. L’ultimo grido è stato quindi quello delle cosiddette “esche olfattive”, collocate su fili spinati sparsi qua e là sul territorio. Voci locali parlano di pollame e cascami di pescherìa scelti perché capaci di stimolare, meglio di ogni altro cibo, il fine olfatto e l’appetito insaziabile del plantigrado. Se un orso fiuta a distanza qualcosa, abbandona gli itinerari abituali, collaudati da lungo tempo: e questo comporta già qualche rischio. Ma se assaggia un cibo nuovo e gradito, continuerà a ricercarlo dovunque: ecco quindi gli orsi che penetrano nottetempo nei pollai, spaventando la gente e acquisendo troppa confidenza con gli abitati. E qui il pericolo diventa reale: perché non va dimenticato che si tratta pur sempre di animali selvatici, i quali sono timidi e schivi, è vero, e normalmente fuggono l’uomo. Ma se si muovono a poca distanza da lui potrebbero anche, magari in un tentativo di fuga, fargli del male. E se per fortuna fatti del genere non sono mai avvenuti al Parco d’Abruzzo, le conseguenze a danno dei poveri animali non sono davvero mancate. Quello che è accaduto agli individui di orso “viziati”, detti anche “problematici” o “confidenti”, appare quanto mai eloquente: perché prima o poi tutti gli orsi che non evitano né fuggono l’uomo, da Serena cinque anni fa, fino a Bernardo nell’autunno 2007, finiscono barbaramente assassinati.
Particolare anomalo, ma significativo: le ricerche sull’orso sono state svolte in modo quasi clandestino, senza richiedere a suo tempo l’autorizzazione al Parco (che certamente non l’avrebbe concessa con queste disastrose modalità), ad opera di singolari “cordate” di parchi, istituzioni e università, accomunate da alcuni semplici fatti. Anzitutto, ospitare pochissimi orsi nei loro territori (e quindi averne poca o nulla esperienza). Poi, puntare a escludere il “nemico”, vale a dire l’Ente Parco (con il suo prestigioso Centro Studi Ecologici Appenninici, ora rinnegato e soppresso dall’Ente), l’unica Istituzione preposta per legge alla tutela del plantigrado, la sola che lo conosce, lo studia e lo difende da quasi un secolo.
Con la tattica del classico “rimpallo”, la politica aveva scaricato il problema dell’orso, come molti altri, nelle fameliche fauci di ricerche a lungo termine, dispendiose quanto interminabili, un vero e proprio “accanimento scientistico”, contro cui si è scatenata ormai l’ira dei locali (“Fallita la politica dei radiocollari!” titolava tempo fa un quotidiano, e forse non aveva tutti i torti). Gli orsi serviranno, anzitutto, a pubblicazioni e carriere: anche se magari cadranno, uno dopo l’altro, vittime dell’insulsaggine dell’uomo. Bernardo, Serena e molti altri in Abruzzo. Bruno in Baviera. Jurka in Trentino. Melba nei Pirenei. E molti altri…Un massacro che poteva certamente essere evitato, e che farà rabbrividire quando queste vittime innocenti saranno state completamente censite e rivelate.
Chi sa davvero quanti orsi marsicani sono stati uccisi nell’ultimo lustro? Il 1° maggio 2004, su un giornale locale, la Direzione del Parco ammetteva trattarsi, dal 2002 in poi, di almeno 16 individui: ma il Gruppo Orso Italia riteneva già che non fossero meno di una ventina. Altre 7 vittime sarebbero state riconosciute nelle ultime settimane, ma un’analisi obiettiva della situazione porterebbe a stimare a circa una trentina gli orsi perduti nel periodo 2002-2007. Sarebbe molto interessante raffrontare queste perdite con quelle del precedente quinquennio 1997-2001 (e non con il mezzo secolo precedente, come qualcuno, con facile ma tendenziosa manipolazione delle cifre e dei dati, ha tentato di fare), rendendo i risultati di pubblico dominio. Potrebbero forse scaturirne molte sorprese…
Quanto costano questi studi alla collettività, nessuno lo sa davvero. C’è chi afferma che la sola Unione Europea avrebbe sborsato nell’ultimo decennio qualcosa come 25 milioni di Euro ai soggetti più disparati: ma come siano stati spesi questi soldi, chi ne siano stati i reali beneficiari, è stato reso noto nel nome di quella “trasparenza” sempre proclamata? E perché non considerare in questo calcolo anche gli stanziamenti non esigui disposti dalle varie Istituzioni, e dai diversi Sponsor e Privati?
Chi ha rivelato la verità sul disastroso impiego delle cosiddette “esche olfattive”, un malaugurato espediente importato dal Nordamerica, dove però gli orsi non convivono con i villaggi e con le attività umane? Quali ne sono stati gli artefici, i promotori, gli esecutori e più tardi i “silenziatori”?
E poi: ma davvero un orso esiste solo se lo catturiamo, misuriamo, pesiamo, e se ne analizziamo il DNA? Fino a poco tempo fa, si affermava con accademica sicumera che gli orsi sopravvissuti erano forse appena una ventina: ma allora com’è possibile che oggi si contino già una trentina di cadaveri?
Siamo sinceri, cari superstudiosi, e guardiamoci negli occhi: per voi conta più la salvezza dell’orso o il benessere del ricercatore? Come nel caso di molti altri animali in pericolo – dal rinoceronte alla tigre, dal leopardo delle nevi all’elefante – il vero “fattore limitante” della conservazione non risiede spesso nella carenza di ricerche scientifiche (in qualche momento sì, molto importanti, ma purchè ben dirette e poi meglio utilizzate), bensì nella mancanza assoluta di approccio ecosociologico e interdisciplinare, di capacità manageriale, di concretezza e di credibilità.
Molte delle considerazioni qui esposte erano contenute in un libro dell’Autore di quest’articolo, l’unico mai scritto sull’Orso marsicano dopo anni di esperienza diretta. Ma questo libro sembra ormai esaurito, scomparso, introvabile: e difficilmente in Italia qualcuno provvederà alla sua ristampa (“Orso, vivrai!”, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano 1990). Perché farebbe capire assai meglio in quale disastrosa situazione la conservazione dell’orso, dopo una brillante partenza, ha finito ormai con l’arenarsi.
Per quanto altisonanti e amplificati dai media, questi solenni proclami potrebbero non dissuadere i guastatori della natura. Un solo esempio basterà per illustrare la reale situazione. Quando, nel settembre 2003, una povera orsa venne trovata avvelenata con il suo cucciolo nel Settore Laziale del Parco, le indagini dei Forestali furono serrate ed efficaci, portando alla scoperta di un imprenditore della zona che deteneva micidiale carbammato. Fu avviato un procedimento, è vero: ma a distanza di anni qualcuno ne ha più sentito parlare?
E’ infatti lamentela generale che nel Parco dilaghino abusi d’ogni genere, edilizia e bracconaggio, tagli boschivi e discariche, fuoristrada e motocross. La sorveglianza è ai minimi termini: niente più servizi notturni e a sorpresa, niente pernottamenti nei Rifugi d’alta quota… L’invasione di bestiame domestico non viene contenuta: e non riguarda pochi pastori locali (quelli con cui una volta il Parco aveva stabilito speciali relazioni nei punti chiave, come a Passo Godi), ma piuttosto torme di “vacche sacre” di provenienza esterna, di allevatori nomadi e sfruttatori, spesso non privi di forti appoggi politici.
Ma al fondo di tutto, emerge un incredibile sfacelo organizzativo. Un Ente con dieci dozzine di lavoratori spesso male impiegati, niente più Campagna Alimentare per la fauna né Operazione Arma Bianca per fornire cani da guardia idonei alle greggi di pecore, Aree Faunistiche in deprecabili condizioni, Centri Visita chiusi o sciatti, nessuna innovazione nelle strategie di comunicazione e di coinvolgimento. E pensare che per oltre un trentennio questo Parco, da tutti imitato, era considerato il miglior punto ispirazione e di riferimento…
CONCLUSIONI
Ma c’è un risvolto meno doloroso: ed è che oggi, a differenza di trent’anni fa, il Paese e la comunità locale sembrano aver preso finalmente coscienza del suo valore, e forse il seme che sta oggi germogliando potrebbe trasformarli nei suoi più vigili custodi. Il dilemma “Uomo o Orso?” dovrebbe lasciare spazio al precetto “Uomo e Orso”, convincendo sempre più del valore della Natura, della convenienza di utilizzarne con discrezione le risorse, e soprattutto della necessità etica di rispettare il Creato.
Forse, domani, chissà. Un sogno, una speranza, un’utopia. Ma restando alla realtà attuale, una cosa sola è certa. Abbiamo perduto molti orsi. E l’Italia sta purtroppo tornando alla ribalta europea e mondiale da protagonista, come oltre mezzo secolo fa (risale infatti al 1964 la prima mozione di censura dell’UICN, l’Unione Mondiale per la Natura), di un vero e proprio “scandalo internazionale”.
Roma 9 novembre 2007